Apprendimento continuo: quale formazione nel futuro del lavoro? - Fondazione PER
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Apprendimento continuo: quale formazione nel futuro del lavoro?

di Alessandra Spagnolo 

 

Lo scenario che si è aperto con la crisi sanitaria esplosa a Febbraio 2020 si è caratterizzato per una forte accelerazione di fenomeni già in corso, che avevano bussato alle porte del nostro Paese trovando fino ad allora un’accoglienza parziale, per cause che, generalizzando, potremmo sintetizzare in una certa resistenza al cambiamento del nostro sistema socio-economico. La pandemia ha forzato gli argini e vinto indugi e remore, mettendoci tutti davanti alla sfida di sviluppare la competenza forse più preziosa, quella di saper apprendere continuamente.

Così, una parte di quel “futuro del lavoro” che fino ad allora aveva timidamente fatto capolino, è arrivata di colpo nelle nostre vite inseguendoci fin nelle case in cui ci siamo rinchiusi. Uno scenario incertissimo e talvolta drammatico ha messo lavoratori dipendenti e autonomi, manager d’azienda, imprenditori, davanti alla sfida di reinventare forma e sostanza dell’agire nel mondo del lavoro.

 

La drastica riduzione delle ore di formazione

Nello stesso periodo le restrizioni sanitarie hanno comportato una drastica riduzione delle ore di formazione dedicate alla formazione. infatti, al di là dei casi virtuosi, la maggior parte delle aziende non è riuscita a riorganizzare i piani di formazione in corso con modalità a distanza. Complessivamente si è registrato un calo verticale del monte ore dedicato alla formazione continua nelle aziende, con impatti immediati sulla tenuta delle società di formazione. Non appena saranno disponibili delle analisi attendibili su questo, sarà interessante comprendere meglio a quanto ammonta il calo e quali cambiamenti abbia comportato nella composizione del mercato della formazione. Oggi possiamo comunque riflettere sul fatto che, mentre tanti lavoratori erano in Cassa Integrazione, mentre manager e imprenditori fronteggiavano criticità del tutto nuove, molti di loro non erano coinvolti in attività formative che ne allenassero le competenze e favorissero un effetto di resilienza.

 

La questione delle competenze

Quanto alle competenze digitali in particolare, è pur vero che negli ambienti di lavoro con buona disponibilità di strumentazione si è realizzata una sorta di stress test collettivo, che ha generato un avanzamento di competenze molto più veloce di quello che sarebbe stato il risultato di molte ore di formazione tradizionale, a conferma del fatto che in generale l’apprendimento è favorito dal mix di informazioni, strumenti disponibili, sperimentazione sul campo. Laddove queste componenti non erano presenti, le persone sono state maggiormente esposte al rischio di espulsione dal mercato delle competenze, vedendo ridotto il loro grado di occupabilità. Peraltro, l’esperienza collettiva della pandemia ci ha resi più consapevoli del fatto che le competenze digitali abbiano una funzione abilitante non solo rispetto al lavoro, ne abbiamo colto infatti la portata nell’esercizio di tanti diritti/doveri della vita quotidiana.

Guardando le cose dal punto di vista delle imprese, possiamo dire che la contemporaneità dei fenomeni (emersione di maggiori fabbisogni di competenze e decremento degli investimenti in formazione) abbia dimostrato che la formazione non è poi così indispensabile? Certo che no. È più probabile che la realtà emerga prossimamente, mettendo in evidenza la differente capacità di competere sul mercato tra le aziende che hanno continuato ad allenare le competenze dell’organizzazione e quelle che hanno vissuto in uno stato di “apnea” che ha precluso loro qualsiasi iniziativa diversa dalla richiesta del sostegno in logica di “ristoro”.

 

Il Fondo Nuove Competenze

Poi sul finire del 2020 si è registrato l’effetto dell’avvio del Fondo Nuove Competenze di cui all’art.88 del D.Lgs n. 34 del 18 Maggio 2020 (cd. Decreto Rilancio), reso operativo con Decreto MLPS_MEF a Ottobre. A dispetto della incerta natura dello strumento, nato in un contesto di politiche attive del lavoro ancora confuso e fermo al problema irrisolto delle competenze concorrenti tra Stato e Regioni, il Fondo Nuove Competenze ha avuto il merito di rappresentare un caso in cui la formazione ha ritrovato centralità, pur all’interno di uno strumento che non è diretto a finanziarla e che nei confronti delle imprese fa spesso leva sul fatto di essere un parente stretto della Cassa Integrazione. Il finanziamento è infatti rivolto al costo del lavoro per quella quota di orario di lavoro che viene destinata alla formazione sulla base di un contratto sottoscritto tra azienda e rappresentanze dei lavoratori.

Tra gli effetti positivi che lo strumento determina sul progetto di sviluppo, va annoverata l’aderenza al principio della centralità della domanda: il progetto formativo è strettamente legato alla realtà aziendale, essendo il risultato dell’analisi che l’azienda fa sui fabbisogni di competenze necessari ad accompagnare lo sforzo di superamento della crisi. Non è frutto dell’adesione ad un’offerta pre-esistente né un’adesione indotta dall’esistenza stessa di un finanziamento, come talvolta è accaduto invece nell’ambito dei finanziamenti pubblici alla formazione.

 

La formazione al centro dei progetti

Siamo davanti ad uno strumento che, pur non abbandonando del tutto la logica degli ammortizzatori sociali e prestandosi al rischio che la priorità aziendale sia assegnata alla ricaduta sul costo del lavoro, valorizza un modello che nel 2021 si ritrova anche con il Contratto di Espansione: definisce una cornice dentro la quale azienda e rappresentanti dei lavoratori sono chiamati ad uno sforzo di progettualità per disegnare la ripresa dell’azienda. Esercizio a cui il Decreto Sostegni Bis pubblicato il 27 Maggio u.s. invita a partecipare anche le imprese che superino i 100 dipendenti, che possono accedere al Contratto di Espansione aggregandosi come filiera ed elaborando un piano strategico finalizzato a superare la crisi attraverso un’operazione di ricambio generazionale accompagnata da un piano di sviluppo delle competenze dell’intera organizzazione.

È curioso notare come in questo momento il presente e il futuro prossimo della formazione siano caratterizzati da politiche che non finanziano la formazione. Il che attiene, d’altronde, al fatto che i provvedimenti citati si portino dietro in entrambi i casi benefici finanziari ben più rilevanti di quello che deriverebbe dal solo finanziamento dei piani formativi.

Quanto agli obiettivi specifici dei progetti, va detto che spesso i piani formativi messi in atto per accedere ai benefici del Fondo Nuove Competenze e del Contratto di Espansione non si limitano all’aggiornamento professionale, ma si estendono allo sviluppo di competenze più trasversali, che trovano un’applicazione più ampia nel mercato del lavoro e che non a caso risultano coerenti con priorità e input contenuti nel Piano Next Generation EU, nonché del nostro Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. in questi casi si possono creare le condizioni per sviluppare le competenze necessarie ad operare nel contesto tecnologico e digitale, a partire dalla conoscenza delle caratteristiche di questo contesto, alla comprensione dei fenomeni che influenzano direttamente l’azienda e i mercati a cui si rivolge. Tutti aspetti non secondari che concorrono all’efficacia dell’intervento per il lavoratore e per l’azienda.

 

L’autosviluppo della persona

Laddove la sensibilità dell’imprenditore o del management lo consenta, questi nuovi strumenti trovano quindi alcuni casi di applicazione particolarmente virtuosi, caratterizzati da un effettivo bilanciamento tra le convenienze dell’impresa (certamente non meno interessata alle ricadute sui costi del personale che il FNC può avere) e quelle del lavoratore, qui identificate prioritariamente con il miglioramento dei fattori che ne determinano l’occupabilità, sin dalla consapevolezza di quali sono le competenze richieste oggi dal mondo del lavoro e della necessità di una spinta della persona all’autosviluppo.

Quanto alle modalità di fruizione della formazione, possiamo dire che in maniera analoga allo svolgimento delle attività lavorative, anche per la formazione, dopo una fase di forzato ricorso alle modalità a distanza in assenza di alternative, si intravvede l’inizio di una fase di “nuova normalità”, in cui la scelta si sposta via via verso formule bilanciate tra formazione sincrona in presenza, sincrona a distanza e asincrona, dove quindi la scelta tra le diverse modalità didattiche torna ad essere semplicemente una conseguenza della proposta metodologica e delle valutazioni sull’efficacia dell’esperienza formativa e sull’efficienza organizzativa.

 

Verso una ‘nuova normalità’

Per le stesse considerazioni fatte a proposito del Fondo Nuove Competenze e del Contratto di Espansione, è auspicabile che nei prossimi tempi attraverso la Missione 5 del PNRR si mettano in campo dei meccanismi di sostegno ad una formazione centrata sulla domanda, ovvero rispondente ai fabbisogni di competenze delle imprese e magari che queste ultime possano essere parte attiva di tali iniziative, così come già avviene in pochi limitati contesti, come quello dei percorsi formativi finanziati dalle Agenzie per il Lavoro attraverso il Fondo FormaTemp e nel sistema ITS.

E’ necessario ad es. che il Programma denominato GOL – Garanzia Occupabilità dei Lavoratori – non sia soltanto una replica del precedente Garanzia Giovani e che l’esperienza porti ad individuare soluzioni per valorizzare un’adeguata composizione dei servizi proposti ai disoccupati, limitando lo spettacolo di creatività campanilistica in cui spesso si producono le amministrazioni regionali su questa materia e favorendo l’attuazione di servizio personalizzato a seconda della condizione di partenza dell’utente, che dev’essere adeguatamente orientato e, laddove sia utile, coinvolto in un iter “intensivo” che preveda anche bilancio delle competenze e interventi formativi adeguati a potenziare competenze esistenti oppure a costruirne di nuove.

Inoltre saranno da monitorare gli sviluppi del Piano Nazionale Nuove Competenze, a cui – da quanto previsto nella Missione 5 del PNRR – è assegnato l’obiettivo di rafforzare il sistema della formazione professionale. Un sistema spesso influenzato da logiche tutte interne. Come si fa a privare la formazione di appesantimenti ideologici e liberarla da posizioni opportunistiche?

 

Che cosa serve per favorire i processi di apprendimento

In concreto, solo per accennare ad alcune delle molte questioni a cui sarebbe utile porre attenzione nei prossimi tempi, evitare posizioni ideologiche significa riconoscere che l’efficacia del processo di apprendimento non è garantito semmai minacciato dagli effetti della iper-regolamentazione, soprattutto quando questa è pensata da burocrati o da esperti del settore non perfettamente aggiornati sulla realtà delle imprese e del mondo economico. Significa agevolare la cooperazione delle imprese con le strutture formative, anche rinunciando, in questa fase economica ancora incerta, ad utilizzare il criterio del placement come unico fattore di misurazione dell’efficacia. Si può pensare ad una regolamentazione che agevoli l’impegno dell’azienda nel mettere a disposizione docenze e/o attrezzature/laboratori integrando con il proprio contributo l’attività delle strutture formative per agevolare la flessibilità dell’offerta. In sostanza, alcune delle formule già adottate nel sistema ITS, nei Competence Center e nell’ambito della regolamentazione del finanziamento FormaTemp, dovrebbero trovare una forma adeguata anche in altri ambiti della formazione finalizzata all’occupabilità.

Da ultimo, evitare posizioni opportunistiche significherà, ad esempio, resistere alla tentazione dell’assistenzialismo, che in questo settore ha una duplice direzione, tanto verso i fruitori dei servizi formativi tanto verso gli stessi enti erogatori dei servizi. 

Alessandra Spagnolo
spagnolo@per.it

Business Development Manager in Mylia - The Adecco Group. Ha collaborato con Mediterranea Onlus e Cooperativa Informa e ha gestito l’avvio e della gestione di sportelli “InformaGiovani” all’interno dei servizi comunali. In Adecco Italia prima nelle attività di recruitment e selezione del personale, poi branch manager. Nel 2001 partecipa allo start up di Adecco Formazione S.r.l. Nel 2011 nel ruolo Business Development Manager ha dato vita alla struttura interna dedicata al monitoraggio dei finanziamenti pubblici alla formazione, alla progettazione e alla gestione di piani formativi. Dal 2018 segue il progetto MADE - Competence Center 4.0 - coordinato dal Politecnico di Milano, dove è componente del Comitato Tecnico Scientifico. 

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