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Basta divari e abbandoni. Non possiamo perdere i nostri ragazzi

di Anna Ascani

 

Immaginate un Paese in cui non si riescono a distinguere i fatti dalle opinioni, in cui si fa fatica a riconoscere le evidenze scientifiche, tanto che spesso si viene abbindolati da false credenze o impressioni. Un Paese fatto di persone che non riescono a esercitare compiutamente e attivamente la propria cittadinanza perché non opportunamente formati ed equipaggiati. Uomini e donne anagraficamente maturi ma inconsapevoli, sprovveduti. Che Paese sarebbe mai quello? E che vite a metà vivrebbero quei cittadini? Bene, partiamo da un assunto: non stiamo parlando di fantascienza. Quel Paese potrebbe essere il nostro. È per questo che stiamo lavorando per invertire questa pericolosa rotta. A partire dalla scuola. E con il contributo di tutti coloro che sono parte di questa emergenza, famiglie, amministrazioni locali, territori.

 

Un Paese a due velocità

Quando parliamo dell’Italia, molte volte ci troviamo di fronte alla fotografia di una realtà nazionale fortemente frammentaria, un Paese a due velocità, in cui ancora oggi permangono consistenti differenze territoriali, che portano in alcuni contesti a diseguaglianze e segregazioni. In sostanza, nel 2020 fa ancora la differenza nascere al Nord o al Sud, al centro o in periferia, essere donna o uomo, provenire da una famiglia abbiente o in condizioni di svantaggio economico. Fingere che non sia così è un esercizio di ipocrisia. E chi, come me, è al Governo ha una responsabilità precisa: affrontare la questione non come un’emergenza estemporanea ma come un problema strutturale che può e che deve essere gestito in maniera mirata e puntuale. Strategicamente.

 

Il pieno sviluppo della persona umana

L’Italia ha degli impegni precisi in tal senso e il primo è scritto nell’articolo 3 della nostra Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Quindi compito della nostra Repubblica è rimuovere gli ostacoli. Garantire a ogni persona di potere un giorno raggiungere i propri obiettivi, realizzare i propri sogni grazie al talento e all’impegno, a prescindere dal luogo in cui è nata, dalla famiglia di provenienza, dalle sue condizioni economiche.

 

I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza

C’è poi la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, ratificata dall’Italia il 27 maggio 1991 con la legge n. 176, che stabilisce: “Gli Stati parti si impegnano a rispettare i diritti enunciati nella presente Convenzione e a garantirli a ogni fanciullo che dipende dalla loro giurisdizione, senza distinzione di sorta e a prescindere da ogni considerazione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o altra del fanciullo o dei suoi genitori o rappresentanti legali, dalla loro origine nazionale, etnica o sociale, dalla loro situazione finanziaria, dalla loro incapacità, dalla loro nascita o da ogni altra circostanza. Adottano tutti i provvedimenti appropriati affinché il fanciullo sia effettivamente tutelato contro ogni forma di discriminazione o di sanzione motivate dalla condizione sociale, dalle attività, opinioni professate o convinzioni dei suoi genitori, dei suoi rappresentanti legali o dei suoi familiari”.

Infine, l’Italia è uno dei Paesi che hanno sottoscritto l’Agenda 2030 che al Target 4.7 pone l’obiettivo di assicurarsi entro il 2030 “che tutti gli studenti acquisiscano le conoscenze e le competenze necessarie per promuovere lo sviluppo sostenibile attraverso, tra l’altro, l’educazione per lo sviluppo sostenibile e stili di vita sostenibili, i diritti umani, l’uguaglianza di genere, la promozione di una cultura di pace e di non violenza, la cittadinanza globale e la valorizzazione della diversità culturale e del contributo della cultura allo sviluppo sostenibile”.

 

Il sistema di istruzione

In questi anni qualcosa è stato fatto a partire dal sistema di istruzione. Ma non sempre con i risultati sperati. Perché se è vero che la scuola è la principale istituzione nel nostro Paese che può cominciare a costruire condizioni di uguaglianza e pari opportunità, dobbiamo ammettere – e farlo è oggi più che mai necessario – che non può essere l’unica a combattere questa battaglia.

Don Milani diceva: “Se si perde loro (gli ultimi) la scuola non è più scuola. È un ospedale che cura i sani e respinge i malati”. Niente di più vero. Ma se in tanti decenni il nostro sistema di istruzione e formazione, che pure è di alta qualità, non è riuscito a debellare la piaga della dispersione scolastica – e quindi a rimuovere alcuni di quegli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo di ogni persona –, cosa c’è che non va? Dove e come dobbiamo intervenire per ottenere risultati significativi?

 

L’obiettivo di ridurre la dispersione scolastica

Intanto, partiamo dai dati. Parliamo spesso di dispersione scolastica come di un fenomeno dai contorni sfumati o insondabili. Falso: abbiamo una mole di informazioni che ci consente di avere un quadro piuttosto chiaro del problema. La dispersione scolastica è una questione che riguarda non solo l’Italia, ma in varia misura tutti i Paesi europei. Vuol dire che il nostro sistema non sempre è in grado di contenere al suo interno i ragazzi in formazione. Alcuni si perdono tra un ciclo e l’altro, altri abbandonano gli studi. Negli anni siamo riusciti a ridurre la percentuale di abbandoni, avvicinandoci all’obiettivo che gli Stati europei si sono posti per il 2020, quello del 10%. Nel 2017 il nostro Paese registrava una percentuale media del 14%, ma con forti differenze territoriali che preoccupano e vanno osservate con attenzione per interventi mirati.

 

INVALSI, lo stato di salute del sistema di istruzione

Il MIUR e l’INVALSI, l’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione, hanno fornito ai decisori politici e al mondo della scuola dati di dettaglio dai quali partire per definire un’azione di sistema risolutiva. L’INVALSI, nello specifico, grazie alle rilevazioni standardizzate offre ogni anno la fotografia dei traguardi raggiunti da alunni e studenti in determinati anni di corso e al termine dei due cicli di istruzione.

Contrariamente a quanto sostenuto dai detrattori delle rilevazioni, le prove non valutano in termini “punitivi” gli alunni, sono piuttosto un termometro dello stato di salute del sistema di istruzione e non è non guardando il problema che possiamo illuderci di averlo risolto. È questa la principale ipocrisia da combattere. Infatti è anche grazie a queste rilevazioni se oggi sappiamo che il fenomeno della dispersione scolastica è più complesso rispetto a come finora lo abbiamo inteso.

Quest’anno, ad esempio, per la prima volta l’INVALSI ha registrato la dispersione scolastica implicita, ovvero quel numero di studenti che completano il ciclo di studi ma con livelli di competenze di base assai inferiori rispetto ai traguardi attesi in uscita dal percorso di istruzione e formazione. Per intenderci, ci sono oggi in Italia diciannovenni che terminano la scuola possedendo il bagaglio di competenze di un quattordicenne. È allarmante. E, secondo le rilevazioni dell’Istituto di ricerca, gonfia quel 14% faticosamente ottenuto fino e oltre al 20%. Con l’aggravante del fatto che questo dato rimane ancora una zona grigia e diventa difficile intervenire con azioni di supporto specifiche.

Se questo è il quadro che abbiamo di fronte, come stiamo agendo? Il nostro sistema di istruzione è indispensabile per costruire le infrastrutture – quelle della conoscenza – utili a portare il nostro Paese nel futuro. È nostro dovere porre fondamenta solide.

 

I divari territoriali nelle competenze sono ancora rilevanti

Nonostante dal 2000 a oggi si siano succeduti tre cicli di finanziamento europei e sia stato introdotto nella programmazione PON 2007-2013 uno specifico obiettivo per contrastare la dispersione scolastica, i divari territoriali nelle competenze degli studenti non sono diminuiti sufficientemente. Per tutta una serie di motivazioni, tra cui la più importante, come già ho sottolineato, è che la scuola non può e non deve essere lasciata da sola a fronteggiare questo fenomeno. La dispersione scolastica dipende da una serie di concause e il sistema di istruzione non può essere l’unico argine alla marginalità sociale. Inoltre, in questi anni è mancato un efficace coordinamento con le amministrazioni locali e le famiglie, si sono sovrapposte finalità differenti, si sono moltiplicati o frammentati interventi, non c’è stato un effettivo e puntuale monitoraggio delle azioni in campo.

 

Un Piano per la riduzione dei divari territoriali

È per questo motivo che il 21 gennaio 2020 abbiamo presentato al Ministero il Piano d’intervento per la riduzione dei divari territoriali. Un piano organico, che parte dall’analisi dei dati a disposizione e fa tesoro delle criticità che finora hanno ostacolato l’effettivo contrasto alla dispersione scolastica. Basta interventi sporadici, progetti a tempo, fondi a pioggia. Abbiamo riscontrato che spesso le scuole che si trovano in contesti di svantaggio non hanno bisogno soltanto di finanziamenti quanto piuttosto di un maggiore orientamento e di un supporto professionale adeguato. Oltre che, naturalmente, di un coordinamento migliore con famiglie e territorio.

Partiamo con alcune scuole in difficoltà e in forte difficoltà di cinque regioni: Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia. Il Piano sarà coordinato tra gli enti promotori del progetto, condiviso, dinamico, ovvero regolato e integrato nel tempo, partecipato, aperto al dialogo continuo tra territorio e istituzioni scolastiche.

Sarà articolato su più fronti: punteremo alla condivisione di buone pratiche, in modo tale da far sì che scuole in condizioni simili possano essere da supporto le une alle altre e si possano diffondere modelli di contrasto e di azione che abbiano già dato risultati positivi. Sosterremo la formazione dei docenti sulle metodologie e sulle strategie didattiche che si sono rivelate più efficaci per migliorare i risultati degli studenti. Ci impegneremo a innalzare le competenze dei giovani senza forzare la didattica ma cercando di conseguire l’obiettivo con percorsi adeguati agli alunni. Supporteremo l’autonomia scolastica e gli insegnanti: in molti casi, nelle scuole collocate in contesti sociali fortemente problematici sono già i docenti e i dirigenti scolastici a fare la differenza. Ma non sono adeguatamente sostenuti. E questo non può essere permesso.

Inoltre, interverremo anche sulle strutture scolastiche, poiché anche gli edifici in cui si formano i nostri studenti concorrono al loro apprendimento. L’edilizia scolastica è una nostra priorità certamente in termini di sicurezza, ma l’attrattività delle strutture, la loro funzionalità in termini di apprendimento e di innovazione non sono secondarie.

Forniremo alle scuole uno strumento in grado di valorizzarne l’autonomia, un “Cruscotto unico per la riduzione dei divari territoriali”, ovvero un software di analisi che consentirà di monitorare le azioni in atto e di intervenire per tempo per regolarne l’efficacia, con il solo obiettivo di garantire il successo formativo di ogni bambino e di ogni ragazzo del nostro Paese.

 

Non possiamo perdere i nostri ragazzi

Tornando a quello che diceva Don Milani a mo’ di rimprovero: “La scuola ha un problema solo. I ragazzi che perde. La vostra ‘scuola dell’obbligo’ ne perde per strada 462.000 l’anno. A questo punto gli unici incompetenti di scuola siete voi (insegnanti) che li perdete e non tornate a cercarli”.

Quel rimprovero deve risuonare nelle nostre orecchie e deve richiamarci a una responsabilità precisa. Non possiamo più far finta di non sapere cosa succede nelle nostre scuole o dove si perdono i nostri giovani perché non siamo in grado di trattenerli nelle maglie del sistema. Dobbiamo assumerci la responsabilità di risolvere una volta per tutte la questione. Siamo qua per questo, per tornare a cercare chi si è perso lungo il cammino e garantirgli una strada.

 

Anna Ascani
ascani@perfondazione.eu

Anna Ascani è Vice Ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Umbra, nata a Città di Castello nel 1987. Laureata in Filosofia (specializzazione "Etica, Politica e Scienze delle Religioni"), studentessa presso la LUISS del XXIII ciclo di Dottorato in Politiche: Storia, Teoria, Scienza. Ha pubblicato nel 2014 "Accountability. La virtù della politica democratica" presso Editrice Città Nuova e nel 2019 “Senza Maestri - Storie di una generazione fragile” presso Rubbettino Editore. Nel gennaio 2016 è stata indicata da Forbes tra i trenta personaggi under 30 più influenti della politica europea. Deputata del Partito Democratico nella XVII e XVIII legislatura, attualmente è Vicepresidente del PD. È stata responsabile nazionale del Dipartimento Cultura del Partito Democratico e Capogruppo Pd in VII Commissione.

1 Comment
  • Elefteria Morosini
    Pubblicato il 10:54h, 02 Febbraio Rispondi

    Tutto molto giusto. Sono indicati con chiarezza settori e strumenti di intervento ma si trascura un aspetto di sistema fondamentale per far uscire la scuola dall’emergenza: la formazione iniziale dei docenti. Solo formando coloro che intraprendono la professione docente si possono ottenete risultati solidi anche sulla prevenzione della dispersione. Il problema va affrontato dall’inizio, prima che si presenti. Si può fare con docenti preparati, capaci di innovare e riflettere su sé stessi e sul sistema scuola, capaci di sperimentare e ricercare in un mondo che cambia.
    Occorre una formazione iniziale stabile e strutturata. Come può ancora mancare in Italia?
    Elefteria Morosini – ANFIS Associazione nazionale formatori insegnanti supervisori

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