
08 Mar Biotecnologie per un’agricoltura sostenibile: sfide e strumenti
di Deborah Piovan
L’agricoltura europea si trova da tempo in una situazione di profonda crisi. Dopo aver raccolto con successo la sfida di sfamare un continente devastato dal secondo conflitto mondiale; dopo essere stata sacrificata sugli altari degli accordi commerciali internazionali a favore dell’esportazione di merci a più alto valore aggiunto e della crescita di Paesi in via di sviluppo prettamente agricoli; dopo essere stata dimenticata da una popolazione ormai cittadina, e ricordata solo in narrazioni televisive che oscillano fra il fiabescamente bucolico e il marketing della paura, l’agricoltura affronta una crisi strutturale e di identità.
In Italia, sono molte le criticità specifiche del settore: dalla parcellizzazione delle aziende, all’invecchiamento degli addetti, alla necessità di formazione continua, all’esposizione inevitabile ai mercati internazionali, all’immagine distorta che l’opinione pubblica ha del settore, eccetera. Ci occuperemo in particolare del complicato rapporto con le innovazioni biotecnologiche.
E’ opportuno partire dalla considerazione che ciò che accade in agricoltura è faccenda che riguarda tutta la società. Nessun contesto politico infatti può pensare di non occuparsi di come viene prodotto il proprio cibo: ne va della stabilità sociale di un Paese, del continente tutto. E’ inoltre una questione che attiene alla sanità dell’alimentazione, alla salute delle persone e all’integrità dell’ambiente. Queste valutazioni, peraltro, convergono con molti degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) che l’Organizzazione delle Nazioni Unite si è data per il periodo 2015-2030, in particolare con quelli indicati come povertà zero, fame zero, buona salute e benessere per le persone, lavoro dignitoso e crescita economica, consumo e produzione responsabile, i cambiamenti del clima, vita sulla terra. Ogni decisione di politica economica è bene prenda le mosse da questi Obiettivi e alla loro realizzazione collabori.
Le sfide che attendono l’agricoltura italiana ed europea
Fatta questa premessa, il decisore deve essere a conoscenza delle sfide che attendono l’agricoltura italiana ed europea.
– La sfida economica. Il comparto agricolo italiano presenta una realtà così descritta (elaborazioni Ufficio Studi di Confagricoltura su dati ISTAT e EUROSTAT). Il valore medio della produzione per azienda è stato di € 57.664 nel 2017, contro i 218.000 della Germania. Il valore aggiunto medio per unità di lavoro nel 2017 è stato di € 28.088, il più basso tra i principali Paesi agricoli europei. D’altra parte il valore medio della produzione per ettaro è stato il più alto dell’UE: € 3.194. Per quanto riguarda la bilancia commerciale del comparto agroalimentare il saldo è positivo e in crescita ma è trainato dall’esportazione di prodotti alimentari trasformati, mentre il comparto prodotti agricoli ha saldo commerciale negativo e in continuo calo: – 7,69 milioni di €. Quindi un quadro a tinte in chiaroscuro, con criticità note ed evidenti, ma anche dei punti di forza nelle potenzialità attrattive del Made in Italy alimentare le quali non devono limitarsi a riguardare l’industria alimentare, ma trovare fondamento e giustificazione anche nella produzione agricola italiana.
– La sfida demografica. Il ritmo di crescita della popolazione mondiale sta diminuendo, ciononostante secondo le proiezioni delle Nazioni unite raggiungeremo la quota di 11 miliardi di persone sul pianeta intorno al 2100. Poi, per motivi legati alle dinamiche demografiche, la curva di crescita presenterà un plateau. Si potrebbe pensare che la sfida di sfamare dignitosamente un tale numero di persone non riguardi tanto l’Italia, Paese a crescita demografica zero, e che essa possa dedicarsi ai propri prodotti di eccellenza e alla loro esportazione, come indicato al punto precedente. E’ necessario però fare una riflessione sul livello di autoapprovvigionamento del Paese. Evidentemente l’Italia non può prescindere, data l’orografia che la caratterizza, da una certa dose di dipendenza dalle importazioni per quanto riguarda il proprio fabbisogno alimentare. Però affidarsi troppo all’estero espone a dei rischi, soprattutto con l’intensificarsi di fenomeni climatici estremi che potrebbero portare a situazioni di carenza di determinati prodotti, con conseguenti tensioni sui prezzi. Questo può portare a disagi nei territori a minor potere di acquisto, o per le persone a minor potere d’acquisto. In definitiva, quindi, la produttività rimane un fattore prioritario nel rilancio della crescita economica del comparto.
– La sfida climatica. I cambiamenti climatici in corso sono una minaccia per la stabilità delle produzioni agrarie, tanto che sono sempre più numerosi gli studi che effettuano simulazioni di impatto di eventi climatici avversi in zone a forte vocazione agricola, i “granai” del pianeta. In un recente articolo uscito su Nature si evidenzia come la probabilità di eventi meteorologici negativi occorrenti in contemporanea in diverse zone sia in aumento, proprio a causa dei cambiamenti climatici in atto (Zia Mehrabi, dicembre 2019). In un contesto così descritto, l’agricoltura necessita di varietà sempre più resilienti, tolleranti periodi di siccità, o di sommersione, ritorni di freddo, salinità di falde e terreni. Il miglioramento varietale, affidato alla ricerca in campo genetico e biomolecolare, risulta essere uno degli strumenti principali per rispondere a queste problematiche.
– La sfida patologica. I patogeni e gli insetti che minacciano le coltivazioni evolvono in continuazione. Nuove malattie e nuovi insetti periodicamente arrivano nei territori coltivati, sia a causa degli scambi con le aree di origine, sia a causa dei mutamenti delle condizioni climatiche che rendono le nostre latitudini più ospitali a specie alloctone. Per questi motivi la ricerca in campo fitopatologico e agro-entomologico non può mai fermarsi e ogni strumento per la difesa deve poter essere preso in considerazione.
– La sfida ambientale. Tutte le sfide sopra descritte vanno affrontate nel rispetto della sostenibilità ambientale, pur ricordando che questa è difficilmente garantita se non si pone come prioritaria anche quella economica. L’agricoltura deve produrre di più e meglio con meno e la logica del risparmio e uso efficiente delle risorse, più compiutamente la ottimizzazione dei fattori produttivi, dovrebbe essere alla base di ogni iniziativa di policy: l’alternativa significa spreco e questo non è sostenibile dall’ambiente, oltre che essere diffusamente identificato come eticamente inaccettabile. Non è pensabile infatti aumentare l’utilizzo di suolo e anzi le terre fertili coltivabili sono in diminuzione, sia a causa di fenomeni di urbanizzazione, sia a causa dei cambiamenti climatici, che provocano fenomeni come inizi di desertificazione, salinizzazione e in generale impoverimento delle aree marginali; l’opzione di disboscare ulteriormente per mettere nuove terre a coltivazione è in generale condannata per le conseguenze ecologiche e climatiche che comporta. Non solo il suolo è una risorsa limitata, ma anche l’acqua, per la quale competono usi agricoli, civili, industriali, turistico-ricreativi. E’ necessario quindi che la ricerca lavori per migliorare l’efficienza d’uso delle risorse da parte delle piante coltivate. C’è infine la questione dell’utilizzo degli agrofarmaci, che tanta preoccupazione desta nell’opinione pubblica. Le molecole utilizzate in Europa seguono un percorso di autorizzazione molto severo e sono sicure alle dosi e condizioni d’uso. Questo è certificato dalle Agenzie UE come EFSA e ECHA. Allo stesso modo, EFSA e autorità nazionali – il Ministero della Salute in Italia – pubblicano annualmente i risultati delle analisi su decine di migliaia di campioni di cibo prodotto in UE o importato; il nostro cibo è sicuro e i dati lo dimostrano. Ciononostante è forte la pressione da parte della società a ridurre l’uso di agrofarmaci. Se il decisore politico vuole tranquillizzare l’opinione pubblica sulla questione, oltre a promuovere una corretta informazione sulla sicurezza degli agrofarmaci, deve contribuire a creare un ambiente favorevole all’innovazione biotecnologica. Infatti dalla ricerca in tale ambito possono venire soluzioni ad alcune, forse a molte delle avversità che oggi non sono controllabili con gli agrofarmaci o comunque soluzioni che permettono di ridurne l’uso. Questo può essere particolarmente vero per la riduzione di anticrittogamici per alcune malattie fungine; più complesso il controllo degli insetti. Ben difficile invece pensare di rinunciare all’uso di erbicidi, se non affidandosi a pratiche agronomiche come le lavorazioni dei terreni ripetute, che però presentano un certo impatto ambientale in particolare in termini di emissioni di gas serra, consumo di carburanti fossili e perdita di sostanza organica per ossidazione.
– La sfida della comunicazione. E’ questa la sfida più difficile, dato il clima avverso all’innovazione in campo agroalimentare e il diffuso sentire ascientifico che trova facile ascolto nella società. Un approccio responsabile può essere quello di includere la società nel processo di innovazione, illustrando le problematiche che è necessario affrontare e i possibili strumenti a disposizione, affinché l’innovazione sia un processo – un percorso – non solo tecnologico ma anche sociale.
La cassetta degli attrezzi
Raramente esiste un’unica soluzione ai problemi. Le sfide che l’agricoltura deve affrontare non fanno eccezione. Agli esperti del settore piace usare la metafora della cassetta degli attrezzi per indicare la molteplicità di strumenti a disposizione, per sottolineare come sia importante avere accesso a tutte le tecnologie messe a disposizione dal progresso scientifico per trovare soluzioni efficaci ed efficienti. Le biotecnologie per il miglioramento genetico vegetale sono quindi un insieme di tecnologie alle quali si guarda con grande ottimismo. Esse comprendono tutte le tecniche messe a punto grazie alle sempre più approfondite conoscenze di biologia molecolare e di genetica a disposizione dei ricercatori. Un elenco di queste tecnologie non può che essere parziale, principalmente a causa del ritmo delle scoperte e delle invenzioni in questo campo, ma si tratta ed esempio di transgenesi, cisgenesi, intragenesi, ZFN, Talen, CRISPR, Prime Editing, ecc. Cioè tecniche di ingegneria genetica volte a migliorare il DNA della pianta ai fini della sua coltivazione e del suo utilizzo.
Alcuni distinguono fra i cosiddetti OGM di prima generazione – cioè quelli del DNA ricombinante che prevedono il miglioramento tramite inserimento di un carattere espresso da un gene estraneo alla pianta di partenza – e la correzione del genoma, comunemente indicata con l’acronimo di NBT (New Breeding Techniques) oppure come genome editing, correzione del genoma, di cui CRISPR è forse la tecnica più famosa. La normativa europea in materia fa capo alla Dir. 18/2001 e, grazie anche alla sentenza della Corte di Giustizia Europea del luglio 2019, accomuna tutte le piante ottenute con queste tecniche sotto l’etichetta di OGM. Questo appare corretto da un punto di vista strettamente giuridico, dato che la definizione di OGM è giuridica. Appare meno sensato da un punto di vista scientifico: da quasi un secolo il miglioramento genetico vegetale lavora modificando geneticamente le piante per aumentare la biodiversità varietale.
C’è un clima di forte avversione agli OGM fra i cittadini europei e di conseguenza fra i decisori politici, che temono per il consenso. Una possibile via di uscita può essere quella di autorizzare le prove in campo delle varietà OGM, per valutarne l’utilità e mostrare ai cittadini i risultati ottenuti.
Nel frattempo molti chiedono di esentare le piante ottenute con tecniche di correzione del genoma (NBT) dagli scopi della Dir. 18/2001, cioè chiedono che tali piante non siano considerate OGM ma frutto di mutagenesi, come in effetti sono.
Esempi di possibili applicazioni
Anche alla luce delle sfide sopra illustrate la ricerca e le successiva coltivazione di piante ottenute con NBT possono essere uno strumento importante di intensificazione sostenibile dell’agricoltura. A oggi esistono diversi esempi di applicazioni di uso delle NBT per il miglioramento genetico e molte interessanti ipotesi di lavoro, ne illustreremo alcuni qui di seguito. Si deve però ricordare che la ricerca europea nel settore è ancora frenata da vincoli normativi, per cui è lecito ritenere che non abbia ancora iniziato ad esprimere a pieno le proprie potenzialità per rispondere alle esigenze dei produttori, dei consumatori e dell’ambiente, per rispondere cioè alle sfide della sostenibilità.
– Riso resistente al brusone. Ottenuto da ricercatori dell’Università Statale di Milano, non necessita di trattamenti anticrittogamici per essere protetto dalla malattia fungina nota come brusone, responsabile del 30% delle perdite globali di produzione. Le varietà così ottenute sono perfettamente identiche a quelle di partenza, fatta salva la non suscettibilità alla malattia. Ovviamente, in attesa di un quadro normativo più moderno, non sono ancora in commercio. Lo stesso gruppo di ricerca sta lavorando anche sulla modulazione dell’epoca di fioritura del riso, utile per ampliare l’areale di coltivazione a diverse latitudini.
– Riso resistente alla batteriosi causata da Xanthomonas oryzae, patologia particolarmente aggressiva nel sud-est asiatico. Ricercatori delle Filippine hanno modificato con CRISPR-Cas9 tre geni, che non possono più essere attivati dalle proteine del batterio.
– Vite resistente a patologie fungine. Una quota importante degli agrofarmaci utilizzati in agricoltura è usato su vite, fungicidi in particolare: poter utilizzare la correzione del genoma per rendere le cultivar resistenti a patologie come oidio e peronospora significherebbe un netto miglioramento dell’impatto ambientale della viticoltura. Il vantaggio rispetto ad altre tecniche di miglioramento genetico è che con le NBT il patrimonio genetico di partenza rimane pressoché invariato, pertanto il risultato qualitativo alla vinificazione non cambia.
– Frumento a ridotto contenuto di glutine. Un gruppo di ricerca spagnolo ha inattivato con CRISPR buona parte dei geni responsabili della produzione di proteine pericolose per i celiaci, ottenendone una riduzione dell’85%. L’obiettivo è di eliminarle.
– Orzo e frumento resistenti a oidio, grazie ad azione sui geni mlo responsabili della suscettibilità dei cereali al patogeno. Permetterebbe di aumentare quantità e qualità delle produzioni risparmiando trattamenti antifungini.
– Mais waxy, cioè un mais in cui l’amido è composto soprattutto da amilopectina e scarso amilosio, utilizzato sia a fini alimentari che industriali e farmaceutici. Gli ibridi ottenuti con tecnologia CRISPR recentemente messi in commercio negli USA sono molto più produttivi di quelli ottenuti con gli incroci tradizionali, grazie al fatto che si corregge il genoma di ibridi performanti per migliorarne la produzione di amilopectina senza variare il resto del DNA.
– Pomodoro resistente a parassiti vegetali, orobanche in particolare. Lavoro di ricerca in corso in Italia presso il CREA.
– Siccità e nutrizione azotata. Diverse ricerche sono in corso per ottenere piante tolleranti periodi di siccità, come pure piante in grado di avere una gestione più efficiente dell’azoto, che consentirebbe una riduzione delle fertilizzazioni.
Sono questi solo degli esempi per dare un assaggio dell’ampio spettro di possibili applicazioni e obiettivi raggiungibili con l’utilizzo di queste tecniche, tutte utili a migliorare la sostenibilità del processo produttivo, sia ambientale che economica. Riuscire a veicolare questi vantaggi anche all’opinione pubblica sarà fondamentale per garantirne anche la sostenibilità sociale.
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