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Blairismo e dialogo con l’Ue: il ritorno al futuro di Keir Starmer

di Vittorio Ferla

 

Keir Starmer: appuntatevi questo nome. Il leader del Labour Party potrebbe diventare tra un anno il nuovo astro della politica progressista nei paesi occidentali, provocando una di quelle svolte che segnano la storia.

Il 16 settembre scorso Starmer ha partecipato a Montreal, in Canada, al Global Progress Action Summit, l’incontro aperto a personaggi di calibro della sinistra riformista occidentale. Oltre al padrone di casa, il primo ministro del Canada Justin Trudeau, erano presenti altre figure chiave del progressismo liberal-democratico. Da Jonas Gahr Støre, leader dei laburisti norvegesi e capo del governo della Norvegia, a Jacinda Ardern, già primo ministro della Nuova Zelanda. Da Tony Blair, ex primo ministro del Regno Unito, a Frans Timmermans, ex vicepresidente della Commissione europea che spera di prendere la guida del governo olandese. Da Sanna Marin, già primo ministro della Finlandia, ai diversi esponenti del jet set politico statunitense. Assente Elly Schlein, forse non a caso, vista la risaputa freddezza della segretaria del Partito democratico per i riformisti.

Dall’alto di sondaggi che gli danno quasi 20 punti di vantaggio sui conservatori, Keir Starmer si prepara a varcare la soglia del civico 10 di Downing Street: in patria lo chiamano già “Prime Minister in waiting”. E a Montreal ha detto esplicitamente che “gli elettori in Gran Bretagna e negli Stati Uniti potrebbero nel 2024 fornire voti decisivi per i governi di centrosinistra”, che c’è l’opportunità per un “progressive moment” a livello globale e che “ovviamente il presidente degli Stati Uniti Joe Biden è una parte importante in tutto ciò”.

Certo, la situazione dei suoi colleghi non è proprio così rosea. Justin Trudeau in Canada, Olaf Scholz in Germania e Anthony Albanese in Australia, sono tutti in qualche modo in difficoltà. Lo stesso Joe Biden è chiamato a fronteggiare il ritorno dell’incubo Donald Trump che incombe sulle elezioni per la Casa Bianca. Eppure, un quarto di secolo dopo che l’allora primo ministro laburista Tony Blair e il presidente democratico americano Bill Clinton avevano proclamato la loro “Terza Via”, segnando una fase importante della storia politica occidentale, Starmer si è ritrovato a un vertice di politici di centrosinistra dal quale potrebbe emergere come la nuova stella globale del suo schieramento.

La questione aperta per i protagonisti del summit riguardava la capacità di trasformare in voti le politiche progressiste su temi divisivi come il cambiamento climatico e la transizione verde, il governo dell’immigrazione e la politica industriale attiva, dopo anni in cui il centrosinistra è stato spesso bypassato e schiacciato dall’arrembaggio dei partiti populisti. In tal senso, la figura di Starmer attira molta curiosità proprio perché ha preso il volo nei consensi a scapito del partito conservatore al governo in Uk.

Lo ha fatto prima di tutto scrivendo la parola fine sulla stagione fallimentare di Jeremy Corbyn, che aveva illuso i suoi sostenitori radicali con le più trite proposte veterostataliste e antiliberali, allontanando però buona parte del suo potenziale elettorato. Oggi Starmer, come una sorta di Michael J. Fox di “Ritorno al futuro”, sta girando un “Zemeckis Moment” (dal nome del regista del film) della sinistra blairiana. Non soltanto con il recupero di una serie di figure competenti che furono protagoniste di quella stagione, ma pure con un programma di governo orientato alla crescita, alla produttività, all’innovazione e all’apertura piuttosto che alla tassazione, all’assistenzialismo, alle nazionalizzazioni e al protezionismo che avevano segnato il rovinoso esperimento di Corbyn che ha tenuto il Labour all’opposizione per una dozzina d’anni. A Montreal, Starmer si è focalizzato sulla necessità di affrontare un “asse dell’insicurezza”, fronteggiando la crisi del costo della vita, la guerra in Ucraina e il cambiamento climatico. Per Starmer, il Labour ha le migliori risposte per tutte e tre le questioni. Il leader laburista vuole lavorare con le imprese su una strategia industriale per sviluppare un’economia più verde e diffondere la ricchezza in tutto il Regno Unito. E con Bruxelles vuole ricostruire i legami cercando di rinegoziare l’accordo commerciale post-Brexit quando verrà rivisto nel 2025. In questa prospettiva non deve stupire la maggiore apertura di Starmer al dialogo con l’Unione europea. L’udienza di ieri all’Eliseo con il presidente francese Emmanuel Macron è un segnale importante in questa direzione. Benché i portavoce del presidente francese assicurino che non si tratta di un endorsement in vista delle elezioni britanniche ma soltanto di un confronto di opinioni, è chiaro il riconoscimento formale di Starmer come interlocutore di un futuro molto prossimo. Il capo del Labour Party punta su Macron non solo per intascare un primo accredito nelle cancellerie europee, ma anche per stringere alleanze con un fronte progressista liberal-democratico comune contro i partiti conservatori, reazionari ed euroscettici che non può certo creare con i populisti di sinistra di Jean-Luc Mélenchon né con i socialisti francesi in via di estinzione. In ballo, come ha spiegato Starmer in una recente intervista al Financial Times, c’è anche l’obiettivo di ottenere un “a much better deal” sulla Brexit, inclusa la ricerca di “relazioni commerciali più strette”. È evidente la critica alle politiche isolazioniste e guascone di Boris Johnson, l’ex premier britannico. Così come è evidente che la disponibilità al negoziato di Bruxelles sarà assai relativa, vista la rigidità delle norme europee. Tuttavia, sono i primi segnali di un Regno Unito che nell’arco della legislatura laburista prossima ventura potrebbe tentare il “ritorno al futuro” dell’Europa unita.

Vittorio Ferla
vittorinoferla@gmail.com

Giornalista, direttore di Libertà Eguale e della Fondazione PER. Collaboratore de ‘Linkiesta’ e de 'Il Riformista', si è occupato di comunicazione e media relations presso l’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale del Lazio. Direttore responsabile di Labsus, è stato componente della Direzione nazionale di Cittadinanzattiva dal 2000 al 2016 e, precedentemente, vicepresidente nazionale della Fuci. Ha collaborato con Cristiano sociali news, L’Unità, Il Sole 24 Ore, Europa, Critica Liberale e Democratica. Ha curato il volume “Riformisti. L’Italia che cambia e la nuova sovranità dell’Europa” (Rubbettino 2018).

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