
04 Mar Che cosa è disposto a fare l’Occidente di fronte all’escalation di Putin?
di Alessandro Maran
Inizialmente, l’eroismo del presidente ucraino Volodymyr Zelelensky e del suo paese di cittadini-soldato aveva suscitato la speranza che l’invasione dell’Ucraina voluta da Putin si potesse respingere. Ma mano a mano che le forze armate russe prendono di mira obiettivi civili si comincia a capire che molto probabilmente il futuro riserva al paese un destino terribile. L’obiettivo dell’operazione della Russia – ha detto ieri Putin a Macron – è quello di “prendere il controllo” dell’intera Ucraina e secondo il presidente francese “il peggio deve ancora venire”. Anche a Washington sono in molti a ritenere che stiamo per assistere ad una politica della “terra bruciata”, che potrebbe radere al suolo le città ucraine e causare una crisi umanitaria creando milioni di rifugiati. L’ex direttore della CIA, il generale (in pensione) David Petraeus, prevede che i russi che assediano Kiev, frustrati dalla resistenza ucraina e dai fallimenti logistici, “prenderanno a pugni la città; la distruggeranno pezzo dopo pezzo. Faranno morire di fame la gente, la spopoleranno”.
Di fronte all’aggressione di Putin, gli ucraini hanno scoperto di essere pronti a morire per un principio: l’idea che tocca a loro scegliere il proprio destino. “Per un dittatore cinico deve essere incomprensibile. Per il resto dell’umanità è fonte di ispirazione”, scrive l’Economist. Non basterà, tuttavia, il coraggio del popolo ucraino a porre fine aI combattimenti, osserva anche il settimanale inglese. Il presidente russo non si ritirerà così facilmente, purtroppo. La guerra di Putin promette soltanto un’escalation. “Il che significa che qualunque cosa faccia il resto del mondo, Putin minaccia di essere più violento e più distruttivo, perfino, ringhia, se ciò dovesse significare ricorrere all’arma nucleare. Perciò insiste che il mondo si faccia da parte mentre affila il coltello e si accinge a compiere un massacro. Ma non bisogna cedere. Il mondo deve tenergli testa. Non solo perché abbandonare l’Ucraina al suo destino sarebbe sbagliato ma anche perché Putin non si fermerà qui. L’escalation è un narcotico. Se Putin dovesse prevalere oggi, il prossimo passo sarà la Georgia, la Moldavia o i paesi baltici. Non si fermerà finché non verrà fermato” (
https://www.economist.com/…/when-vladimir-putin…).

L’idea che, tra Russia e Ucraina, il peggio debba ancora venire costringe gli osservatori a ragionare intorno a due questioni non da poco, scrive oggi Claudio Cerasa commentando le parole di Emmanuel Macron.
“La prima questione è, se vogliamo, culturale e riguarda ciascuno di noi: siamo pronti o no a considerare la crisi in Ucraina come un conflitto non più di carattere locale, destinato cioè ad avere conseguenze esclusivamente sul popolo ucraino, ma come un conflitto di carattere globale, capace cioè di coinvolgere non solo economicamente il resto dell’Europa?”. L’Ucraina, ha detto infatti Joe Biden l’altro giorno nel suo primo discorso sullo stato dell’Unione, è “la prima battaglia unificante nel duello tra la democrazia e la tirannia” (il tema che, a ben guardare, inquadra la sua presidenza fin dal suo insediamento). Si tratta di un conflitto regionale, ha aggiunto, “ma le sue implicazioni sono universali”.
La seconda questione, scrive Cerasa, “direttamente collegata alla prima, riguarda un tema che prenderà forma oggi in tre incontri multilaterali convocati simultaneamente: il G7, il Consiglio europeo, la riunione dei ministri degli Esteri della Nato.E quel tema è così sintetizzabile: se il peggio deve ancora venire, l’occidente libero che strumenti ha, oltre a quelli già messi in campo, per rispondere all’escalation di violenza? E nel caso specifico, se l’escalation di violenza dovesse manifestarsi in forme non accettabili per l’occidente libero, fino a che punto i paesi della Nato sono disposti a spingersi per mettere i propri stivali nella guerra contro la Russia?”. Da leggere (
https://www.ilfoglio.it/…/secondo-macron-il-peggio…/).

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