
30 Dic Città e archistar, quale futuro dopo la crisi Covid?
di Francesco Gastaldi
Le crisi sta avendo effetti indubbi sui processi di trasformazione urbana e in Italia non sono rari i casi di grandi progetti rinviati o decaduti per difficoltà degli operatori proponenti o, nel caso di opere pubbliche, per problemi di bilancio delle amministrazioni locali. Con il Covid c’è stata una messa in dubbio delle centralità urbane e della città compatta, ci si è interrogati in modo critico sul “modello Milano”, si è parlato di ritorno delle periferie grazie al boom dello smart-work.
I primi anni Duemila hanno segnato, anche in Italia, una diffusione di progetti di archistar, ma oggi si potrebbe verificare come molti siano rimasti sulla carta, solo alcuni si sono realizzati (spesso con costi molto più alti rispetto alle previsioni) e molto spesso polemiche molto accese si sono manifestate. Spesso si tratta di progetti ambiziosi che non si limitano al disegno architettonico degli edifici, ma assumono una grande rilevanza, talvolta perfino nell’ambito di strategie di rilancio o di ridefinizione dell’immagine complessiva di un sistema urbano.
L’archistar è un professionista di fama mondiale con studi in diversi paesi del mondo e fatturati molto rilevanti. Il loro grande successo è particolarmente legato a una notorietà già esistente e alla capacità di saper presentare soluzioni progettuali diffuse all’interno di mezzi di comunicazione e/o riviste specializzate. Con l’affermarsi del processo di globalizzazione, gli “architetti mediatici” sono entrati a far parte della scena mondiale: a sua volta, lo Star System dell’architettura ha provveduto alla loro costruzione, lancio e promozione, attraverso efficaci sistemi divulgativi. Un’ulteriore problematica riguarda la facilità con la quale gli amministratori pubblici assumono modelli urbani già sperimentati, per poi calarli indifferentemente in altri luoghi.
Dagli anni Novanta, la dimensione degli interventi (spesso aree industriali dismesse e da riqualificare), i soggetti coinvolti (spesso grandi gruppi imprenditoriali o finanziari, banche e assicurazioni, aziende con brand internazionali o del Made in Italy) e le aree interessate , centrali o a forte valenza simbolica interessate dai progetti e il battage mediatico sulle operazioni immobiliari, hanno decretato il grande successo delle archistar, come ideatori di progetti a forte valenza simbolica, in pratica dei nuovi monumenti contemporanei.
A prima vista si sarebbe portati a dire che i progetti delle archistar hanno riscosso un notevole successo tra le amministrazioni comunali dei più diversi colori politici e fra i più eterogenei soggetti imprenditoriali per il fatto di saper presentare, al momento giusto, progetti eclatanti, di (vera o presunta) qualità architettonica e capaci di attrarre gli investitori finanziari dei mercato internazionali accelerando il processo di realizzazione, in un paese come l’Italia dove la realizzazione di progetti è notoriamente lenta e difficoltosa. Le cose stanno veramente così?
Se in una prima fase si credeva che l’archistar potesse velocizzare tempi e prassi burocratiche, numerose evidenze empiriche di ciò che è accaduto in numerose città italiane sembrano dimostrare il contrario. Le crisi (quella post 2007-08 e quella del Covid) e le difficoltà economiche di molti operatori e le difficoltà del mercato immobiliare hanno accelerato tendenze già in atto. L’economia italiana sta attraversando la peggiore recessione, per intensità e durata, dal dopoguerra, tutti i fattori elencati potrebbero annullare il ruolo di propulsore delle trasformazioni urbane giocato dalle archistar, o quantomeno ridurlo notevolmente. Forse potrebbe esserci un’occasione per riflettere sul fatto che molte delle aspettative che soggetti pubblici e privati hanno avuto nei confronti degli architetti mediatici, sono state più presunte che reali.
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