
23 Giu Crescita, la coesione conviene anche alle imprese italiane
di Ilaria Donatio
La competizione non è più l’unico brodo di coltura delle imprese. La coesione diventa sempre più importante. La Coop Lombardia ha reso i suoi store più inclusivi, realizzando il primo supermercato in Europa “autism friendly”, grazie al dialogo con un’associazione del terzo settore. Falck Renewables condivide i suoi impianti nel settore delle energie rinnovabili con le comunità dei territori in cui opera, generando ricadute sociali positive. Honda Italia, branca italiana del primo costruttore di veicoli al mondo, promuove crescita e innovazione grazie alla collaborazione continua dei propri dipendenti, che considera associati. Chiesi Farmaceutici trasforma i suoi fornitori in partner, sulla base di un documento condiviso di sviluppo, per migliorare insieme sostenibilità e qualità.
Durante la crisi da Covid-19, l’azienda alimentare cuneese Venchi, insieme ad Intesa Sanpaolo, ha favorito l’accesso al credito di circa 6 mila piccole e medie imprese del territorio legate alla filiera del cioccolato. Lago, produttore di arredamenti modulari, trasforma i suoi clienti in una comunità capace di concepire arredi empatici che rimettono la persona al centro dell’abitare. La cantina umbra Arnaldo Caprai accoglie e stabilizza nelle sue vigne di Montefalco i richiedenti asilo che si rivolgono alla Caritas. Noberasco, azienda alimentare nel settore della frutta secca, insieme a Coldiretti e Bonifiche Ferraresi, punta alla rinascita delle filiere abbandonate del made in Italy. Sono questi soltanto alcuni esempi di un mondo economico sempre più sostenibile che sperimenta nuovi modelli nell’uso delle risorse (economia verde, condivisa, circolare, bio) e delle competenze diffuse (open innovation, crowdsourcing), nell’accesso all’informazione (platform economy) e ai finanziamenti (crowdfunding, sustainable bond). Sfide fondate sull’alleanza tra imprese, comunità, istituzioni e cittadini.
Questa nuova economia è la protagonista del rapporto “Coesione è Competizione. Nuove geografie della produzione del valore in Italia”, realizzato da Fondazione Symbola, Intesa Sanpaolo e Unioncamere in collaborazione con Aiccon, Ipsos e Centro Studi delle Camere di Commercio Guglielmo Tagliacarne. «La coesione, come ha detto il presidente Draghi, è un dovere morale. Ma è anche un formidabile fattore produttivo», assicura Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola. Non è un caso, spiega, «che l’Unione Europea abbia indirizzato le risorse del Next Generation EU e larga parte del bilancio comunitario 2021-27 al rilancio dell’economia basata su inclusione, transizione verde e digitale». Le imprese coesive esportano di più (il 58% contro il 39% delle non coesive); fanno più eco-investimenti (il 39% contro il 19% delle non coesive); investono di più per migliorare prodotti e servizi (il 58% contro il 46% delle non coesive); adottano misure legate al Piano Transizione 4.0 (il 28% contro l’11% delle non coesive).
«Il Rapporto Symbola, realizzato con la collaborazione di Intesa Sanpaolo, evidenzia l’efficacia dell’approccio coesivo», dice Gian Maria Gros-Pietro, presidente di Intesa Sanpaolo. Durante la crisi pandemica, continua, «la collaborazione tra enti diversi ha portato risultati straordinari in campo economico, sociale e soprattutto della sanità. Intesa Sanpaolo crede nel valore della vita di comunità, sia essa di persone, di imprese, di Stati». In questa direzione, conclude Gros-Pietro, «vanno gli oltre 400 miliardi di euro di erogazioni a medio-lungo termine che la Banca destina a imprese e famiglie in ambiti come transizione ecologica e digitale, infrastrutture, trasporti, progetti di rigenerazione urbana, strettamente collegati al Recovery Plan».
Dal rapporto emerge pure che le imprese coesive sono le più sensibili al mondo della cultura con donazioni, sponsorizzazioni, partnership con istituzioni culturali e sono le più visionarie sul piano della transizione digitale. Si sono compiuti passi importanti anche nella parità di genere con un incremento delle donne nei cda delle società quotate passato da 170 nel 2008, il 5,9%, alle 811 di oggi, il 36,3%, mentre nei collegi sindacali si è passati dal 13,4% del 2012 al 41,6% del 2019, con 475 sindaci donne. Ma c’è dell’altro. «Più le imprese sono coesive più sono competitive e riescono a sfruttare al meglio le loro potenzialità», garantisce Giuseppe Tripoli, Segretario generale di Unioncamere. La coesione, insomma, conviene pure.
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