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Crisi, democrazia e transfughi. Ecco cosa può succedere al Senato

di Salvatore Curreri

 

È un film già visto quello cui stiamo assistendo. Si apre una crisi di governo (politicamente, non istituzionalmente finché il Presidente del Consiglio non rassegnerà le dimissioni al Capo dello Stato) e i gruppi politici ed i loro componenti entrano immediatamente in fibrillazione. L’ultima riprova l’abbiamo avuta proprio in occasione della formazione dell’attuale governo (agosto-settembre 2019), quando si registrarono ben 48 passaggi di parlamentari da un gruppo ad un altro (33 deputati e 15 senatori) nonché la (in certa misura conseguente) nascita dei gruppi parlamentari di Italia Viva per scissione dal Partito democratico sia alla Camera (26 deputati, ora 30) che al Senato (15 senatori, ora 18).

Verrebbe da dire, parafrasando la celebre battuta di Humphrey Bogart, è il parlamentarismo compromissorio, bellezza, e non ci si può fare niente. Per carità: non è che ai tempi del parlamentarismo maggioritario, e cioè fino a quando il sistema politico bipolare permetteva di fatto agli elettori di scegliere il governo del paese, non esistessero casi di transfughismo parlamentare ma questi erano tutto sommato contenuti e solo rare volte comportavano il passaggio da uno schieramento all’altro (talora ignominiosamente prezzolato).

Da quando invece il sistema è diventato tripolare, con l’affermazione del M5S, gli elettori, per riprendere una efficace immagine del politologo francese M. Duverger, non decidono più chi deve vincere, e cioè chi è maggioranza e chi opposizione, ma si limitano a dare le carte (voti) ai partiti (giocatori), i quali sono i veri protagonisti della partita, decidendo la nascita e la morte dei governi. Da qui la formazione di maggioranze diverse attraverso la continua scomposizione e ricomposizione del quadro politico attraverso accordi di coalizione. Un sistema di governo, peraltro, reso necessario dall’esistenza nel quadro politico di profonde fratture su temi cruciali (Unione europea, immigrazione, sicurezza, gestione del debito pubblico) da superare attraverso il confronto parlamentare.

È in questo scenario, dunque, che va inquadrata l’attuale crisi di governo. Ha quindi, in un certo senso, ragione il ministro Franceschini quando afferma che non siamo più in un sistema bipolare, con due candidati premier, in cui i cambi di schieramento venivano bollati con il marchio infamante di ribaltone. Ma, in altro senso, ha torto dato che il problema del passaggio dei parlamentari da un gruppo politico ad un altro, magari appositamente costituito, è questione che attiene, ancora prima che alla governabilità del paese, alla rappresentanza politica degli elettori da parte degli eletti attraverso il partito che li ha candidati e per cui sono stati votati.

Questa è stata la ragione di fondo che ha ispirato nel 2017 la riforma del regolamento del Senato sulla costituzione dei gruppi parlamentari: il loro dover essere espressione di forze politiche presentatesi agli elettori, e non di accordi post-elettorali tra senatori, seguendo la direzione bottom up e non top down tracciata dall’art. 1 della nostra Costituzione secondo cui la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti da essa previsti.

Ma – si sa – in Italia fatta la legge, trovato l’inganno, per cui al Senato Italia Viva (nata come detto dopo le elezioni politiche del 2018) si è potuta ugualmente costituire in gruppo parlamentare, unendosi ad un partito (il socialista di Nencini) che vi si era presentato, sfruttando la non proprio perfetta formulazione della disciplina regolamentare (nella fattispecie dell’art. 14 R.S.) e la innata tendenza dei Presidenti delle Camere a dare ad essa un’interpretazione estensiva (in certa misura indotta dal fatto che il gruppo di Italia Viva si era potuto costituire alla Camera dove basta l’adesione di almeno 20 deputati). Una decisione che ha dato la possibilità ad Italia Viva di poter operare come gruppo autonomo in entrambe le camere, con tutti i vantaggi che ciò comporta in termini di visibilità politica, di risorse finanziarie e strutturali a disposizione nonché, non da ultimo, di poteri procedurali, aumentando peraltro come detto all’inizio il numero dei componenti.

Ma ora – ci si chiede – quale sarà la sorte di tale gruppo al Senato se, come pare prevedibile, il Partito socialista dovesse ritirare il suo simbolo? Secondo alcuni, il gruppo potrà rimanere in vita finché costituito da almeno dieci senatori; solo infatti se si scende al di sotto di tale soglia è espressamente previsto il loro scioglimento (art. 14.6 reg. Senato). Ma tale disposizione va coordinata (i giuristi direbbero interpretata sistematicamente) con il precedente quarto comma secondo cui ciascun Gruppo, oltre a dover essere composto da almeno dieci Senatori (requisito numerico), deve anche, come detto, rappresentare un partito presentatosi alle elezioni (requisito politico). Attenzione: composto, non costituito. Il che significa che, a mio parere, tale requisito politico deve essere presente non solo per la costituzione di un gruppo ma anche per la sua permanenza. Del resto, a concludere diversamente, nulla vieterebbe che il simbolo di un partito presentatosi alle elezioni possa essere sfruttato più volte per costituire in corso di legislatura più gruppi di almeno 10 senatori, i quali rimarrebbero comunque in vita anche dopo il ritiro del simbolo, in chiarissima ed evidente frode della ratio della riforma che vuole che i gruppi corrispondano a partiti politici presentatisi alle elezioni.

Ergo, tutto lascerebbe propendere per lo scioglimento del gruppo Psi-Italia Viva, se Nencini dovesse ritirare l’uso della denominazione e del simbolo. Il condizionale è d’obbligo visto che in simili decisioni il dettato regolamentare può subire torsioni per interessi politici. Il che sarebbe l’ennesima, frustrante dimostrazione, per chi ha la (s)ventura di occuparsi di simili temi, della incapacità degli organi istituzionalmente preposti e delle forze politiche di saper rispettare le regole che ci si è dati. Causa non ultima del declino del nostro Parlamento.

Salvatore Curreri
curreri@perfondazione.eu

Professore in Istituzioni di Diritto pubblico – Libera Università degli Studi di Enna “Kore”

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