
30 Lug De-sincronizzare le città: il futuro urbano dopo la pandemia
di Francesco Gastaldi
E’ ormai comunemente condiviso il fatto che vi sia una necessità di cambiamenti rispetto al mondo pre-pandemia. Ma se dietro ogni problema c’è un’opportunità, allora anche questo periodo può rivelarsi un’ottima occasione per riflettere sul futuro.
Necessariamente anche le politiche urbane e territoriali, a scala locale, regionale, nazionale dovranno tenere conto di quanto è avvenuto. In questo ultimi mesi, da diverse posizioni politiche e culturali, sono emerse critiche e riflessioni sul ruolo (e ingerenza) dello Stato e degli enti pubblici nei confronti delle libertà individuali e sull’adeguatezza delle forme istituzionali e di democrazia rappresentativa rispetto al periodo emergenziale. Siamo ancora smarriti, incerti, come in un tempo sospeso, siamo in attesa, ci illudiamo che quando il Covid-19 sarà sconfitto, si tornerà alla vita di sempre.
Occorrerà molta flessibilità, de-sincronizzazione e estensione dei tempi di apertura giornaliera o settimanale delle attività commerciali e dei servizi. La città post industriale e post novecentesca si caratterizza già in questo modo, le precarietà lavorative, le riorganizzazioni produttive, il gravitare su più città, le instabilità relazionali e affettive, tutto ci rende continuamente soggetti a ridefinizioni spaziali e temporali. Ma occorrerà fare di più, ci attende una fase di rimodulazione di orari e spazi di vita e di lavoro, ulteriore sviluppo delle varie forme di part time, di orari flessibili e di quello che viene un po’ enfaticamente viene definito smart work (lavoro prestato al di fuori dell’azienda).
Andremo verso nuove forme di cambiamento sociale? I “fatti sociali formati nello spazio” (come classificati dal sociologo Arnaldo Bagnasco) saranno diversi nel post pandemia? Cambieranno le interazioni che si instaurano fra fenomeni sociali e trasformazioni fisiche dei luoghi? Che ruolo avranno le politiche pubbliche nel generare tale cambiamento? La natura dei processi sarà differenziata a seconda dei territori e le diverse aree del nostro Paese? Si allargheranno disuguaglianze, alcune aree sapranno reagire meglio di altre, gli ambiti marginali ne usciranno ancora più deboli?
Non si parlerà più di densificazione urbana, tornerà a crescere l’urbanizzazione diffusa? Si lascerà spazio al distanziamento all’interno dei luoghi e al ripensamento della vita sociale con gli standard qualitativi nuovi e necessari? Ci si deve preparare, a livello nazionale e locale, ad altri modelli socio-economico? La dimensione di quartiere tornerà a “resistere” e continuerà ad occupare una certa rilevanza nel cambiamento metropolitano, soprattutto nelle pratiche degli abitanti che si sposteranno in minor numero verso il centro città?
Si andrà verso scenari di qualità e riequilibrio territoriale? Vedremo vede imporsi alcune traiettorie di sviluppo in cui il territorio e la tutela dell’ambiente e l’attenzione alla qualità dell’abitare (inteso in senso lato: quartieri, spazi pubblici) assumono un ruolo centrale nella ridefinizione del modello di sviluppo a scala nazionale e locale. Osservare (e imparare) i nuovi comportamenti non sarà facile, ma ci insegnerà a capire come riadattare gli spazi e come perfezionare il modo in cui viviamo la socialità, la salute e il benessere. Qualcosa di diverso resterà. Gli urbanisti, da soli, oggi non bastano per ripensare l’urbano e se “nulla sarà come prima” e se questa pandemia rappresenta “una grande opportunità” per cambiare le nostre città, ovviamente in meglio, serve il contributo di tutti.
Alberto Cappato
Pubblicato il 14:52h, 30 LuglioConcordo pienamente, sono sicuro che l’evoluzione delle aree urbane seguirà questo percorso