
22 Feb Draghi: un liberale-sociale o un neo-keynesiano?
di Francesco Gastaldi e Vittorio Ferri*
L’incarico per la formazione del nuovo Governo (e il successivo varo dello stesso) all’ex presidente della BCE Mario Draghi, ha suscitato un ampio dibattito sulla collocazione politica e culturale in materia economica dello stesso. Un vasto dibattito si è sviluppato su giornali e media, molti interrogativi sono sorti con riferimento alla sua lunga carriera istituzionale e sulle posizioni assunte nei diversi incarichi avuti. Da più parti si è ricordato uno dei primi incarichi con il ministro Goria (sinistra DC), anche la sua vicinanza a Guido Carli (area liberale della DC, una foto di fine anni 80 ritrae Carli e Draghi seduti accanto), ma l’ex DC (e protagonista di quella stagione politica) Bruno Tabacci ha affermato in una trasmissione radiofonica che il riferimento di Draghi in quegli anni era il PRI di Ugo La Malfa.
Molti osservatori hanno ricordato che Draghi si è laureato con un “keynesiano sociale” come Federico Caffè e i suoi rapporti al MIT con Franco Modigliani. Giampaolo Galli su Il Riformista lo ha definito un “keynesiano pragmatico”, Valdo Spini ex ministro su Repubblica propende per la definizione di “socialista liberale”, Luciano Capone e Carlo Stagnaro su Il Foglio ricordando la definizione “enigmatico” riferita a Mario Draghi dal Financial Times propendono per la definizione di “neo-keynesiano” che “crede nell’uso terapeutico della spesa pubblica in tempi di crisi, ma ritiene che le fasi di espansione vadano usate per mettere i conti in ordine”. Molti commentatori hanno ricordato alcuni recenti interventi dell’ex presidente BCE in cui uno dei punti cardine è la distinzione fra “debito buono” e “debito cattivo”.
Ma quindi chi è Mario Draghi? In modo arbitrario possiamo distinguere le seguenti quattro grandi famiglie di liberali (i libertari, i liberali ortodossi, i liberali sociali, i socio-liberali), ma è raro che un liberale appartenga a una sola. I libertari. Alla base del pensiero libertario c’è l’individuo. I diritti individuali devono essere garantiti, i mezzi per farli rispettare sono liberamente negoziati tra i suoi membri e non c’è bisogno di rappresentazione pubblica di un livello superiore (lo stato) per organizzare le garanzie dei diritti dei cittadini.
Per i libertari, i mezzi collettivi permettono a tutti e a ciascuno di godere dei diritti naturali, che devono essere fondati su un contributo volontario di natura contrattuale. Ogni imposta è per sua natura una violazione e le politiche pubbliche sono mezzi dello stato per esercitare un’oppressione sui cittadini. I libertari si oppongono alla rappresentazione della democrazia così com’è normalmente intesa perché la rappresentanza (politico-democratica) crea le condizioni per la violazione dei diritti individuali.
I liberali ortodossi si distinguono dai libertari perché credono che lo stato, purché rispetti i diritti liberali, è il mezzo più adatto per garantire i diritti individuali. Esso deve creare un quadro di certezze tale da consentire agli individui di agire liberamente, di contrattare, di scambiare, ma non deve intervenire in questi contratti e scambi. Le leggi non possono essere votate se ledono i diritti individuali e pertanto essi attribuiscono un ruolo fondamentale alle costituzioni che difendano questi diritti e quelli delle minoranze. Per gli ortodossi, le imposte, la violazione dei diritti di proprietà, devono essere democraticamente votate, “minimizzate” e unicamente destinate a garantire i diritti individuali. I cittadini sottoposti a tassazione devono avere il diritto alla rendicontazione dei risultati ottenuti.
I liberali sociali sia per “generosità” sia per “pragmatismo” auspicano che una società moralmente ambiziosa debba lottare contro la povertà e tendono a “suscitare” i mezzi di lotta contro di essa, ma concedono un prelievo fiscale supplementare sul reddito delle persone per finanziare un sistema di sicurezza sociale minimo. Tuttavia, questa protezione non dovrà essere ottenuta a qualsiasi prezzo perché l’ineguaglianza non è il problema principale, così come la redistribuzione della ricchezza. In questa direzione gli aiuti agli individui sono considerati preferibili all’intervento pubblico per realizzare gli obiettivi sociali. I liberali sociali possono essere considerati “ortodossi contrari” o “pragmatici”:
I socio-liberali sono prima di tutto dei social-democratici per i quali l’obiettivo dello stato è di favorire l’uguaglianza – o piuttosto una debole dispersione dell’ineguaglianza – delle risorse materiali accessibili agli individui e di proteggere le libertà individuali.
Il trade-off fiscalità-prestazioni dovrà essere fortemente redistributivo e la tassazione dei redditi dovrà essere di conseguenza fortemente progressiva. Questa è la principale differenza rispetto alle posizioni dei liberali-sociali descritti in precedenza. Per il resto essi considerano che i mezzi del mercato e dell’iniziativa individuale sono superiori all’intervento statale per realizzare gli obiettivi sociali fissati dallo stato.
La crisi drammatica del Covid si è innestata su una situazione più profonda e già compromessa. Alla luce di quanto detto, saranno le scelte del nuovo Governo, i processi e i metodi di costruzione delle politiche e, soprattutto, i risultati conseguiti, a dirci chi è davvero Mario Draghi.
*Vittorio Ferri è attualmente Assegnista di ricerca presso l’Università IUAV di Venezia, ha conseguito il dottorato di ricerca in Politiche pubbliche del territorio presso la stessa università. È stato docente a contratto presso l’Università di Milano Bicocca, le Università di Pavia e Ferrara, autore di numerose pubblicazioni fra cui il volume Governare le Città Metropolitane, Carocci, Roma, 2009.
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