
20 Feb Foibe: 70 anni di rimozione per salvare l’anomalia del comunismo italiano
di Umberto Minopoli
Per chi, come me, è stato comunista italiano, convintamente, il giorno del Ricordo, quello dedicato all’eccidio delle foibe, ha un sapore particolare.
Ho trovato sbagliato, da parte di alcuni rappresentanti della sinistra aver reagito alle “strumentalizzazioni” della destra sulla Giornata, con lo stravagante argomento della differenza tra Shoà e foibe. Non perché non sia ovvia la differenza: niente davvero è paragonabile ad Auschwitz, il fondo del male nella condotta umana.
Ma chi si professa di sinistra deve stare attento ad indignarsi sulle “strumentalizzazioni”, da destra, sulle foibe. Purtroppo, su questa tragedia del passato, non siamo “innocenti”. Qual’è, infatti, la particolarità dell’orrore delle foibe? Diciamolo: è che un “crimine comunista” del passato, di 70 anni fa – un orrore della seconda guerra mondiale – abbia prolungato la sua ombra sinistra nei 70 anni di vita democratica del paese.
Silenzio e rimozione sulle foibe – in nessuna altra parte del mondo democratico questo è successo – significano una conclusione amara: il comunismo realizzato, la sua storia controversa, hanno goduto in Italia di un trattamento speciale, particolare, privilegiato. Fondato non tanto sulla rimozione di una pagina tra le più oscure della guerra mondiale. Ma sul fatto che tale rimozione abbia attraversato, pressoché intoccata, 70 anni di storia repubblicana.
Questa è, certamente, una tara, un limite della nostra storia democratica, un prezzo pagato alla particolarità del nostro processo di liberazione dalla dittatura: con il ruolo di un forte partito comunista in un paese-frontiera tra Occidente e Oriente. E’ una sorta di specialità della nostra storia terminata solo dopo il 1989, con il crollo del Muro e la fine del comunismo.
Questa condizione di “frontiera”, questa specialità del rapporto italiano con il comunismo e le sue tragedie è quasi fatta simbolo con l’orrore delle foibe: le controverse terre giuliane, la geografia di Trieste crocevia di confini fisici e di cultura, cleavage delle civiltà europee del Novecento si è proiettata, esemplarmente con le foibe, anche sulla relazione storica tra comunismo e democrazia in Italia, con una specialità particolare e controversa di tale rapporto prolungata per quasi l’intero secolo del 900: lunga, insomma, quanto l’intera durata storica del comunismo reale.
Questa particolarità della storia italiana deve servire a ricordare due altre verità connesse con la specialità del rapporto tra comunismo e libertà nella storia italiana: il ritardo con cui è maturato lo scioglimento, di questo nodo, la definitiva cesura dalla storia comunista. Coincisa, sostanzialmente, con l’esaurimento del campo del socialismo reale. E non con una coraggiosa anticipazione autocritica del maggior partito comunista dell’Occidente.
E, in secondo luogo, sul limite che la particolarità del rapporto tra storia italiana e comunismo reale ha impresso sui caratteri della sinistra italiana, anche nella sua incarnazione post-comunista: una identità riformista sempre in bilico, una propensione sempre minacciosa ad una pretesa “diversità” intesa come “alterità”, allusione a contrapposizioni di “sistema”, al mantenimento, sotto altre spoglie, di una logica e di una carica “anticapitalistica”.
A mio avviso, il silenzio per 70 anni sulle foibe, diventato una tara dell’intera storia democratica del paese, è segno di questa anomalia originaria della Repubblica: un compromesso con la realtà del comunismo internazionale che si è risolto troppo tardi. E, forse, neppure nel modo più giusto e convincente.
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