
18 Apr Francia, Italia, Germania: come cambia l’Europa dopo la pandemia
di Michele Marchi
Si vede la luce in fondo al tunnel nel Vecchio Continente? Virologi ed epidemiologi affermano che molto dipenderà dal ritmo delle campagne vaccinali da qui alla fine dell’estate. I Paesi devono essere messi in sicurezza e deve essere scongiurata l’esplosione di quella che sarebbe la quarta e devastante ondata.
Ammesso che il futuro sanitario possa virare al sereno, occorre riflettere su quello politico. Gli Stati Uniti sembrano essersi garantiti la sicurezza sanitaria così come quella politica ed economica con la svolta dello scorso novembre. La luce è ben visibile in fondo al loro tunnel. L’arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca ne è l’emblema.
Per la “vecchia” Europa i tempi si sono colpevolmente allungati ma oramai il conto alla rovescia è partito: tra settembre 2021 e aprile 2022 si deciderà la possibilità di trasformare il dramma pandemico in un rilancio paragonabile solo a quello del dopo Seconda guerra mondiale. Sullo sfondo del dispiegarsi del Recovery fund e in maniera intrecciata a questo si consumeranno tre decisivi passaggi politici, nei contesti interni dei tre principali Paesi membri dell’Ue.
Prima la scelta di colei o colui che sostituirà Merkel. Se da settembre 2021 si passa a febbraio 2022 occorre ricordare l’elezione del presidente della Repubblica italiana, figura chiave nella nostra Repubblica parlamentare a correttivo presidenziale. E infine nella primavera del 2022 a Parigi si correrà per l’Eliseo. Insomma, anche per l’Europa, il tempo della politica si staglia all’orizzonte.
Occorre prima di tutto soffermarsi sul caso tedesco. Molti osservatori hanno in maniera provocatoria, ma in realtà corretta, sottolineato che tra cinque mesi l’elettorato tedesco sceglierà il titolare della “poltrona più importante di Bruxelles”. Il peso politico di Berlino è noto e se possibile il voto del 2021 varrà doppio, considerata l’uscita di scena di Angela Merkel, in sella da sedici anni, sedici come quelli del suo “padre politico Kohl”, due anni in più di quelli trascorsi alla guida della Repubblica Federale da Adenauer e tre in più di quelli vissuti da Franklin Delano Roosevelt alla Casa Bianca. Proprio il partito della cancelliera non sta facendo nulla per nascondere le proprie criticità. La concorrenza di recente annunciata tra il presidente della CDU Laschet e quello della “cugina bavarese” CSU, Söder, ne è la testimonianza più evidente. In tempi brevi è atteso il passo indietro di uno dei due, ma la situazione potrebbe restare incerta.
I sondaggi dicono in maniera inequivoca Söder, uomo forte della Baviera e soprattutto sempre posizionato al fianco di Merkel nel corso della pandemia. Laschet, padre padrone del Land Nord-Reno Vestfalia sembra aver mostrato un atteggiamento troppo ondivago nel corso della pandemia e si trova ora a rincorrere. Candidare il leader della CSU per la cancelleria federale resta una scelta azzardata. I precedenti parlano chiaro, Strauβ nel 1980 e Stoiber nel 2002 rimediarono due sonore sconfitte dai rispettivi candidati socialdemocratici, Schmidt e Schröder.
Il caos nel fronte democristiano, in generale dato in forte calo nei sondaggi, potrebbe essere un vantaggio per i Verdi, ma potrebbe anche favorire Alternative für Deutschland, che di recente ha ribadito la sua posizione anti-euro e anti-immigrati. Il riferimento ad AfD è utile anche per ricordare che proprio il suo fondatore è alla base del ricorso presso la Corte di Karlsruhe che sta bloccando la ratifica tedesca del Recovery Fund. Fonti interne danno per scontato un via libera imminente, però condizionato all’utilizzo dei fondi europei solo per il periodo pandemico. Questo significherebbe uccidere sul nascere qualsiasi possibilità di sviluppo di eurobond permanenti da utilizzare nel post pandemia. In definitiva all’incognita politica rischia di sovrapporsi pericolosamente quella economica.
Archiviato il voto tedesco e ammesso che si possa giungere rapidamente ad un accordo di governo post-elettorale, toccherà all’Italia essere al centro dell’attenzione continentale per l’elezione di quell’inquilino del Quirinale che, da fine anni Settanta, costituisce l’asse centrale attorno al quale ruota il funzionamento istituzionale della nostra Repubblica parlamentare. Molto dipenderà da come il Paese e le sue forze politiche giungeranno a quell’appuntamento. Ma allo stesso modo non poco conteranno i negoziati precedenti e il numero di scrutini necessari all’elezione del nuovo capo dello Stato.
Stiamo parlando del Paese che riceverà la tranche più generosa di prestiti e di finanziamenti a fondo perduto del Recovery Fund. O per essere ancora più espliciti il Paese che necessita maggiormente di quei fondi e di un suo utilizzo virtuoso. Bisognerà “fare bene e fare presto” e soprattutto trovare una soluzione a quello che si profilerà all’orizzonte come un dilemma: avere il candidato migliore per il Quirinale il quale è anche imprescindibile per il ruolo che sta, e presumibilmente starà svolgendo, come Presidente del Consiglio. La soluzione potrà essere trovata in un compromesso che porti Draghi sul Colle più alto e il Paese ad elezioni anticipate, possibilmente vinte da una maggioranza univoca? Difficile in questo momento fare ipotesi. La sola certezza è che il passaggio sarà delicato, quanto decisivo.
Il terzo tassello, in una sorta di rimbalzo tra le Alpi, si giocherà a Parigi nell’aprile 2022. In realtà la campagna elettorale per le presidenziali si aprirà nel prossimo giugno, quando tra il 20 e il 27 si svolgeranno contemporaneamente i due turni delle elezioni dipartimentali e regionali. Pur trattandosi di un voto locale, il presidente Macron potrà rendersi conto sia dell’effettiva crescita del Rassemblement National di Marine Le Pen (oggi data praticamente alla pari in un ballottaggio con il presidente uscente), sia delle possibilità di una sinistra unita, con gli ecologisti alla guida e ciò che resta della tradizione socialista al traino, sia infine se vi sia spazio di agibilità politica per una tradizione post-gollista e post-giscardiana, al momento in cerca di un leader (l’ex Primo ministro Edouard Philippe prima o poi scioglierà la sua riserva) quanto di una base programmatica. Al netto di tutti questi “se”, la campagna elettorale transalpina potrebbe essere uno strumento di nuova legittimazione per un Eliseo in prima linea sul fronte dell’approfondimento sul tema degli eurobond e di una “sovranità” europea, ma anche tramutarsi in una pericolosa fase di incertezza politica a livello continentale.
Il nodo della questione è tutto qua. Se, come si spera, in tempi brevi arriveranno le dieci ratifiche nazionali mancanti sulle cosiddette “risorse proprie”, entro il mese di luglio la Commissione europea andrà a raccogliere sui mercati tra i 15 e i 20 miliardi di euro al mese, per ottenere gli 800 miliardi (da qui al 2026) indispensabili per “immunizzare l’economia e la società europea”. Le scelte politiche nazionali di Germania, Italia e Francia tra settembre 2021 e aprile 2022, nel segno della stabilità e senza traumi, conteranno non poco in questo “percorso di immunizzazione”. Salute, politica ed economia procedono in maniera congiunta. Il futuro è adesso. Non sono previsti passi falsi, ma soprattutto non esistono seconde chances.
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