
11 Mar Il governo della Georgia ritira la legge sulle interferenze straniere, mentre i cittadini sognano di unirsi all’Europa
di Vittorio Ferla
Con 35 voti a uno, il parlamento della Georgia ha formalmente revocato ieri un controverso disegno di legge sull’‘influenza straniera’ che ha suscitato nei giorni scorsi la vibrante protesta di decine di migliaia di persone. Due notti di scontri a Tblisi, con i manifestanti a sventolare le bandiere blu-stellate dell’Unione europea. Giovedì, Sogno Georgiano, il partito al governo del paese, aveva annunciato il passo indietro travolto dall’accusa che la legge non fosse altro che un tentativo riuscito di ingerenza della Russia per bloccare lo sviluppo della democrazia nel paese. La controversa legislazione chiedeva alle organizzazioni che ricevevano il 20% o più del loro reddito annuo dall’estero di registrarsi come ‘agenti stranieri’ e di presentare una dichiarazione finanziaria annuale. La mancata presentazione di tale dichiarazione sarebbe stata punita con una multa di 9.500 dollari. L’iniziativa va letta come il maldestro tentativo, ispirato dal Cremlino, di impedire quella che è considerata come l’ingerenza dei paesi europei e degli Stati Uniti nella società civile georgiana. In questi mesi, il governo di Tblisi ha promesso un avvicinamento sempre maggiore alla Ue, ma con l’altra mano ha cercato di tranquillizzare Mosca sul fatto che la sua capacità di influenza non avrebbe subito contraccolpi. Quando la Russia invase l’ex repubblica sovietica quindici anni fa, lo stile era stato ben diverso: una pioggia di missili su Tblisi, l’annessione di fatto di Abkhazia e Ossezia, i carri armati alle porte della capitale. Tutto questo per bloccare l’aspirazione euro-occidentale del paese. Questa settimana la pressione russa si è realizzata in maniera più subdola, attraverso l’esportazione delle tecniche antidemocratiche già sperimentate e promosse da Vladimir Putin nel proprio paese e in quelli circostanti. Il disegno di legge della Georgia, infatti, non era altro che l’imitazione della medesima disciplina introdotta da Putin in Russia nel 2012 per schiacciare la società civile. Grazie a quella legge, il despota di Mosca ha cominciato a soffocare la società civile russa precipitando il paese nella dittatura e ha cominciato a boicottare le rivoluzioni ‘colorate’ in tutta l’ex Unione Sovietica (la prima delle quali fu proprio la Rivoluzione delle Rose del 2003 in Georgia). Un’operazione simile fu condotta proprio in Ucraina nel 2014. In quella occasione, il presidente corrotto dell’Ucraina, Viktor Yanukovich, per reprimere le crescenti proteste di piazza, annunciò la “Legge sulla dittatura”, con una serie di misure che prevedevano tra l’altro i limiti agli “agenti stranieri” nei media e nella società civile. Travolto dalle proteste della popolazione, Yanoukovich fuggì in Russia poche settimane dopo. E sappiamo com’è finita poi in Ucraina.
“Putin ha capito che ciò che non ha fatto attraverso i carri armati può essere fatto in un altro modo, attraverso una presenza politica, e ora questo progetto si sta realizzando”, aveva denunciato nei giorni scorsi Armaz Akhvlediani, membro del Parlamento ed ex leader di Sogno Georgiano. A sua volta, Salome Zourabichvili, la presidente di origine francese della Georgia, durante una visita ufficiale questa settimana negli Stati Uniti, ha rotto nettamente con il partito che aveva sostenuto la sua candidatura presidenziale nel 2018: “questa legge di cui nessuno ha bisogno ed è stata avviata dal nulla, se non da qualche direttiva di Mosca, deve essere annullata a tutti i costi”. A dispetto dell’intrusione di Mosca, ha detto la presidente, la Georgia “vede il suo futuro in Europa e non permetterà a nessuno di portare via il suo futuro”.
Dal canto suo, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha detto ai giornalisti che la decisione della Georgia di ritirare il disegno di legge è “carica di provocazioni” e ha negato l’influenza russa nella proposta di legge. “La situazione che è servita da innesco per questi disordini popolari e manifestazioni insurrezionali non ha nulla a che fare con la Federazione Russa”, assicura Peskov, aggiungendo che “la Russia non ha nulla a che fare con questa iniziativa né nella sostanza né nella forma. Non interferiamo negli affari interni georgiani”. Viceversa, Peskov rigira la frittata contro l’occidente, accusando gli Usa di interferenza: dietro a tutto ciò ci sarebbe lo zampino di Washington che tenta di “aggiungere un nuovo elemento anti-russo”.
È difficile dire con certezza se la “legge sugli agenti stranieri” appena abortita rappresenti più un segnale che la Georgia è tornata nell’orbita di controllo della Russia o più il tentativo del partito al potere di rimanere al governo a tempo indeterminato. Resta il fatto che, ancora una volta, sembra chiaro l’orientamento popolare. “Questa è una vittoria per il nostro popolo”, dice Tamar Jakeli, uno degli organizzatori della protesta, dopo il ritiro della legge contestata. E chiarisce: “Siamo stati dispersi molte volte, ma siamo tornati con un’idea europea e nazionale comune. La richiesta principale della protesta era di far fallire il disegno di legge, ma la nostra aspirazione è che la Georgia diventi un membro dell’Unione Europea”. Finora la Georgia, dopo l’indipendenza dall’Unione Sovietica nel 1991, ha cercato di trovare un equilibrio diplomatico tra la proiezione europeista dei suoi cittadini e le ambizioni geopolitiche della Russia. Oggi però il sogno europeo diventa sempre più forte. I leader dell’Unione hanno accolto con favore la decisione di accantonare il disegno di legge e incoraggiano il parlamento georgiano “a riprendere le riforme pro-Ue”. È vero, infatti, che alla Georgia – che ha presentato domanda di adesione nel marzo 2022 a seguito l’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca – è stato finora negato lo status di candidata. Tuttavia, il Consiglio europeo ha promesso di concederlo se il paese realizzerà le riforme necessarie. In sostanza, la crisi in Georgia è solo l’ultimo smottamento della faglia che attraversa i paesi orientali che gravitavano nella sfera di influenza di Mosca. Dopo il crollo dell’Urss molti di questi paesi hanno conquistato l’indipendenza e, in alcuni casi, sono entrati nell’Unione europea o nella Nato. I fatti di questi ultimi anni – primo tra tutti il ‘casus belli’ ucraino – ci spiegano che il processo di smottamento dell’influenza russa non è ancora finito e continuerà dei prossimi anni. A dispetto della volontà di potenza di Mosca, la promessa di libertà, democrazia e benessere che viene dall’Europa è sempre più attrattiva.
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