
03 Mar Il Mezzogiorno non è omogeneo
di Francesco Gastaldi e Vittorio Ferri*
Parlando del Mezzogiorno, nel dibattito pubblico recente, ha più volte fatto capolino una visione unitaria e un approccio tramite politiche omogenee, tralasciando che si tratta di una realtà territoriale molto articolata e differenziata. Pur se condizionato da politiche di sviluppo che hanno spesso bypassato il territorio, il Sud si rivela, oggi, particolarmente articolato rispetto ai modelli locali di sviluppo: ad aree in cui predomina un pesante deficit di natura socioeconomica fanno da contrappunto sistemi locali più attivi.
Studiare le politiche di sviluppo per il Mezzogiorno non può prescindere da un’analisi delle particolari modalità evolutive di questi ambiti, mettendone in evidenza pre-condizioni, caratteri, fattori attivanti e potenzialità. I punti di maggior arretratezza si rilevano in Calabria, nella Sicilia centro orientale e in alcune aree della Sardegna; in queste realtà si è assistito nel recente passato, ad una progressiva decadenza delle piccole realtà produttive locali. Molti analisti dello sviluppo hanno cercato di studiare i fattori che hanno originato e determinato i percorsi evolutivi meridionali.
Dopo le esperienze di alcuni poli di sviluppo attivati da industrie motrici (Perroux 1966) che hanno mostrato i loro limiti, il riferimento è all’economia del Mezzogiorno nella quale i flussi finanziari, l’inefficienza dell’approccio top-down, la dipendenza dalle politiche esogene, le degenerazioni dell’intervento speciale per il Mezzogiorno (Scarlato 2011, p. 716) e le successive difficoltà del passaggio dagli interventi straordinari a quelli ordinari, non hanno ridotto ma aumentato l’effetto della “pentola bucata” (Lo Cicero 2010, p. 769).
“Le regioni del Mezzogiorno italiano fanno spicco per l’entità sia del deficit esterno che per i trasferimenti dello Stato centrale” (Fratianni 2011 p. 100), per il loro utilizzo inefficiente e dannoso, compresi i fondi comunitari (Accetturo e De Blasio 2019). “I grandi impianti industriali localizzati nel Mezzogiorno, ad alta intensità di capitale e verticalmente integrati, hanno generato “sviluppo senza occupazione” e sono stati definiti polemicamente “cattedrali nel deserto” o addirittura “cimiteri industriali” (Scarlato 2011, p. 715). Di fronte al dualismo ed ai divari dell’economia italiana tra il Centro Nord e il Mezzogiorno va registrato il successo dei distretti della Terza Italia e del modello di sviluppo locale spontaneo dal basso in antitesi alle politiche di sviluppo centralizzate “calate dall’alto”.
In molte aree le politiche di industrializzazione centralistiche e dall’alto non hanno creato un tessuto industriale locale e non hanno avviato uno sviluppo endogeno autosostenuto, anzi l’ingente quantità di risorse che si sono riversate al Sud hanno alimentato circuiti assistenziali, legami di dipendenza rispetto ad altre aree del paese e di riconoscenza nei confronti dei gruppi di potere dominanti, provocando la demolizione della originaria struttura artigianale.
I divari di sviluppo economico tra Centro Nord e Mezzogiorno pongono una domanda: perché la differenza di salario reale tra le aree agglomerate del Centro-Nord non incentiva gli spostamenti delle imprese verso le aree poco agglomerate del Sud, mentre ha favorito la delocalizzazione, ad esempio dal Veneto verso i paesi dell’Europa dell’Est?
Due spiegazioni: la prima, di tipo economico, è che il divario salariale tra Centro Nord e Mezzogiorno è insufficiente, mentre può risultare rilevante con alcuni paesi dell’est Europa; la seconda, di tipo sociologico, è che il Sud dispone di scarso capitale sociale (Putnam 1993). Va tuttavia ricordato che i divari tra Centro Nord e Mezzogiorno sono significativi anche in termini di numero di imprese, dimensioni delle basi imponibili e di valore delle rendite degli immobili, in particolare per quelli ad uso produttivo, che alimentano la finanza dei comuni (l’IMU) e delle regioni (l’IRAP). Queste differenze hanno limitato la capacità e l’autonomia fiscale, lo sviluppo economico e gli investimenti dei governi territoriali del Mezzogiorno e richiedono meccanismi di perequazione finanziaria.
*Vittorio Ferri, Assegnista di Ricerca, Università IUAV di Venezia, è autore di numerose pubblicazioni fra cui il volume Governare le Città Metropolitane, Carocci, Roma, 2009.
Riferimenti
Accetturo A., De Blasio G., (2019), Morire di aiuti. I fallimenti delle politiche per il Sud (e come evitarli), IBL Libri, Torino.
Fratianni M., (2011), Sviluppo, rischio e conti con l’esterno delle regioni italiane: commenti e riflessioni, in Economia italiana, numero speciale, p. 97-103.
Lo Cicero M., (2010), Cause e conseguenze della trasformazione dell’economia meridionale in una “pentola bucata”, in Economia italiana, n. 3 pp757-778.
Scarlato M., (2011), Le politiche di sviluppo: effetti sulla convergenza o divergenza dei territori, in Economia italiana, n. 3 pp. 703-748.
Perroux F., (1966), L’economia del XX secolo, Edizioni di Comunità, Milano.
Putnam R., (1993), Making democracy work: civic tradition in modern Italy, Princeton University Press.
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