Il Rapporto Ocse-Pisa rivela la patologia cronica del nostro sistema di istruzione - Fondazione PER
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Il Rapporto Ocse-Pisa rivela la patologia cronica del nostro sistema di istruzione

di Giovanni Cominelli

 

Il 3 dicembre 2019 l’OCSE ha presentato a Parigi il Rapporto Ocse-Pisa 2018, mentre l’Istituto Nazionale di Valutazione del Sistema di Istruzione (Invalsi) ha resi noti in contemporanea gli esiti italiani dell’indagine. PISA è un acronimo che sta per “Programme for International Students Assessment”. Al Programma di valutazione internazionale degli studenti hanno partecipato 79 Paesi, ben oltre i confini dei 37 Paesi dell’Ocse. Sono infatti coinvolti anche Paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America latina.
Oggetto della valutazione sono gli studenti quindicenni; si tratta di verificare in quale misura essi abbiamo acquisito le conoscenze e le competenze-chiave essenziali per la partecipazione alla vita sociale relativamente a Lettura, Matematica e Scienze e alla cosiddetta “competenza globale”.
La literacy di Lettura è stata il campo di indagine principale, Matematica e Scienze quello secondario. Pisa 2018 ha rilevato anche la literacy finanziaria. L’Italia non ha partecipato alla rilevazione della competenza globale, ma a quella della literacy finanziaria.

Chi voglia documentarsi ulteriormente su contenuti e metodi dell’indagine Pisa nel mondo e in Italia deve consultare il Rapporto. Certamente non l’hanno fatto quei giornalisti italiani incompetenti e irresponsabili, che hanno confuso Pisa con l’omonima città dalla Torre pendente. Qualcuno, poi, leggendo i dati a capocchia, ha aggiunto che in Italia solo un 1 alunno su 20 sarebbe capace di Lettura, confondendo i dati degli alunni in generale con la fascia particolare dei “top performer”, che in Italia sono appunto 1 su 20.

Quali sono i dati più rilevanti? A livello mondiale basterà solo una notazione: le province cinesi di Beijing (per noi Pechino!), Shanghai, Jiangsu, Zhejiang (B. S. J. Z.) e Singapore ottengono un punteggio medio superiore.

 

L’Italia nel Rapporto Ocse-Pisa

Per quanto riguarda l’Italia, l’istantanea delle prestazioni  degli studenti italiani in Lettura, Matematica, Scienze li colloca a punti 476 in Lettura, inferiore di 11 punti rispetto ai 487 della media Ocse; in Matematica stanno a punti 487, sotto di due rispetto alla media Ocse; in Scienze la media italiana è di 468, quella Ocse è di 489.

Quanto ai “top performer”, mentre sono 1 su 10 nella media Ocse, in Italia, come detto sopra, sono 1 su 20. Difettiamo, insomma, non tanto di capacità di Lettura, ma, all’interno di ben 7 gradini di valutazione, sono pochi i ragazzi che occupano le posizioni più elevate.

In Italia Nord e Sud si allontanano ancora di più: gli studenti delle aree del Nord ottengono in Lettura i risultati migliori (Nord Ovest 498 e Nord Est 501, sopra la media Ocse), mentre i loro coetanei delle aree del Sud arrivano a 453 e quelli del Sud-Isole a 439. I quindicenni del Centro conseguono un punteggio medio di 484. Questa frattura Nord-Sud non si ricompone lungo gli anni: i dati Ocse confermano, al riguardo, quelli forniti ripetutamente dall’Invalsi.

Le prestazioni in Lettura per indirizzo scolastico,  i Centri di formazione professionale arrivano a 404 punti (media Ocse 487, media Italia 476), gli Istituti professionali di Stato vanno clamorosamente peggio con 395 punti, gli Istituti tecnici stanno a 458, i Licei a 521.

Stiamo migliorando o peggiorando? La comparazione con le sei rilevazioni triennali precedenti, a partire dal 2000, mostra una sostanziale continuità nella Lettura, mentre in Matematica si è registrato un miglioramento tra il 2006 e il 2009, ma poi si è fermato là. In Scienze il peggioramento è netto: da 475 del 2000 a 468 del 2018.

Le differenze di genere si confermano per le preferenze dei ragazzi per Matematica e Scienze e delle ragazze per Lettura, che vanno a riflettersi nella scelta degli indirizzi e delle conseguenti professioni. La scelta delle professioni STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) in Italia resta bassa. Solo 1 ragazzo su 4 fra gli studenti con alto rendimento in Matematica e Scienze prevede di lavorare a 30 anni come ingegnere o professionista nell’ambito delle scienze; per le ragazze solo 1 su 8. Sempre allo stesso livello di competenze degli studenti che hanno più probabilità di andare all’Università,  le professioni sanitarie attraggono 1 ragazza su 4, a fronte dell’1 su 9 dei ragazzi.

Quanto alle differenze di prestazione, correlate a quelle di status economico-sociale, il nostro Paese ne registra minori. Ma sarebbe una conclusione frettolosa sostenere che l’Italia sia più equa degli altri. In realtà, accade che i ragazzi che hanno uno status economico-sociale più alto raggiungano livelli di prestazione più bassi rispetto agli omologhi Ocse. Si tratta di un’equità tendente al basso. Pertanto, anche i nostri studenti con risultati più alti – soprattutto i “meritevoli privi di mezzi”, dunque socialmente svantaggiati – manifestano ambizioni basse: non si aspettano di terminare l’istruzione terziaria come invece accade ai loro coetanei degli altri Paesi.

E i migranti? L’Ocse non usa il termine “immigrati”. Nel nostro sistema scolastico sono passati dal 6% al 10%. Anche se più della metà si colloca fra i socialmente svantaggiati, il 14% arriva al quartile superiore di prestazioni in Lettura. Come a dire: chi sta in basso dal punto di vista economico-sociale spinge verso l’alto delle performance, chi sta in alto tende al basso.

D’altronde, è un sintomo la gerarchia dei quattro criteri usati dai genitori per la scelta della scuola per i propri figli: per 3 genitori su 4, la scala è la seguente: ”C’è un ambiente scolastico sicuro”, “C’è un clima scolastico attivo e piacevole” “La scuola ha una buona reputazione” e “La scuola si concentra sull’insegnamento delle lingua straniere”. Solo 2 genitori su 3 hanno valutato come importante o molto importante che ”i risultati scolastici degli studenti nella scuola siano alti”.

 

Che fare?

Se la massa di dati offerti dal Rapporto Ocse-Pisa 2018 richiede uno studio lungo e approfondito, alcune macro-conclusioni si possono già trarre.

Siamo al ventinovesimo gradino su una scala di 37 Paesi dell’Ocse; eppure siamo la seconda manifattura europea e tra le prime dieci potenze industriali. Questa contraddizione non durerà a lungo: o saliamo in prestazioni scolastiche o scenderemo lungo la gerarchia della produzione, dell’occupazione, del benessere. La discesa è già incominciata.

La faglia italiana Nord-Sud si allarga, nonostante proclami, investimenti, gridi di dolore e “gride” governative.

L’emergenza educativa si è ormai trasformata in patologia cronica del sistema nazionale di istruzione, formazione ed educazione.

L’inverno demografico, che colpisce l’Italia e l’Europa, combinato con una generazione giovane sempre meno istruita, con tassi di analfabetismo funzionale in aumento – il 28% dei ragazzi che escono dalla Scuola media soffre già di analfabetismo funzionale – è largamente predittivo del declino fatale del Paese.

Sulle vie d’uscita la discussione è vivace da molto tempo, almeno dall’epoca del DPR n. 275 dell’8 marzo 1999 e della Legge n. 30 del 10 febbraio 2000 di Luigi Berlinguer.

A vent’anni di distanza da quelle riforme rimaste sulla carta, restano tuttora valide un paio di indicazioni di contenuto e di metodo per la rifondazione del sistema educativo nazionale, costruito dalla Legge Casati n. 3725 del 13 novembre del1859, parzialmente modificato dalla Legge-delega Gentile n. 1679 del 31 dicembre 1922, n. 1679 e dai successivi cinque Decreti attuativi, ulteriormente modificato dalla Legge n. 1859 del 31 dicembre 1962 (Nuova scuola media unificata), modificato dal DPR n. 104 del 12 febbraio 1985 (Nuova scuola di base), ulteriormente modificato ecc… ecc…,senza che mai venisse radicalmente messo in discussione il modello prussiano-napoleonico di inizi ‘800.

E’ noto che le tessere fondamentali del puzzle educativo-formativo sono quattro: il sapere, sotto forma di competenze-chiave, che si vuole trasmettere alle giovani generazioni; l’ordinamento; l’assetto istituzionale ed amministrativo; la formazione-reclutamento-carriera del personale docente e dirigente.

L’esperienza dimostra che nessuna riforma del sistema approda a risultati se, appunto, non si prende atto che si tratta di un sistema. Il riformismo puntiforme è fallito.

Ma è anche noto che nessuna riforma – tampoco quella del sistema educativo – è realizzabile, senza un governo forte e stabile, che sia in grado di spezzare le resistenze corporative degli insegnanti, dei dirigenti, dei sindacati, dell’amministrazione ministeriale, centrale e periferica, delle famiglie, degli intellettuali. Il sistema educativo nazionale è uno dei luoghi dove queste resistenze si sono particolarmente addensate.

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Giovanni Cominelli
cominelli@perfondazione.eu

E’ stato consigliere comunale a Milano e consigliere regionale in Lombardia, responsabile scuola di Pci, Pds, Ds in Lombardia e membro della Commissione nazionale scuola, membro del Comitato tecnico scientifico dell’Invalsi e del CdA dell’Indire. Ha collaborato con Tempi, il Riformista, il Foglio, l’ Avvenire, Sole 24 Ore. Scrive su Nuova secondaria ed è editorialista politico di www.santalessandro.org, settimanale on line della Diocesi di Bergamo. Ha scritto “La caduta del vento leggero”, Guerini 2008, “La scuola è finita…forse”, Guerini 2009, “Scuola: rompere il muro fra aula e vita”, BQ 2016 ed ha curato “Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria?”, Guerini 2018.

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