
27 Mag Il “ventennio triste” del nostro Paese secondo Gianfranco Viesti
di Francesco Gastaldi
Le gerarchie territoriali non sono un destino irreversibile, possono cambiare grazie a intelligenti politiche pubbliche. Questo però non è però ciò che è avvenuto in Italia negli anni Dieci, le politiche hanno spesso assecondato e non contrastato il declino e l’aumento delle disparità. Questo in estrema sintesi il contenuto del nuovo volume di Gianfranco Viesti, professore ordinario di Economia applicata dell’Università di Bari (Gianfranco Viesti, Centri e periferie. Europa, Italia, Mezzogiorno dal XX al XXI secolo, Laterza, Bari-Roma, 2021). Un’analisi di ampia prospettiva corredata da dati e casi concreti, indispensabile per chi voglia trarre indicazioni per ripensare un’Italia più competitiva, specie dopo la grande pandemia.
Dal libro emerge una Italia complessa e multiforme con molte disparità interne, nonostante molto letture semplicistiche che costantemente appaiono nel dibattito giornalistico e politico. L’autore risponde così all’esigenza di individuare un quadro più ampio entro cui collocare lo sviluppo regionale italiano, comprendere le ragioni delle disparità, collocarle nel presente ma anche definire le prospettive dello sviluppo. Per comprendere il perché di questi fenomeni occorre collocare le vicende del nostro Paese, attraverso analisi comparate, nel contesto dei grandi cambiamenti internazionali: l’allargamento a Est dell’Unione Europea, la deindustrializzazione, i nuovi servizi avanzati nelle città, il mutamento demografico, le migrazioni. Già precedenti lavori di Viesti – per esempio, Come nascono i distretti industriali, Laterza, Bari-Roma, 2000 – hanno raccolto evidenza empirica della presenza di una serie di sistemi locali distrettuali molto diversi fra loro che differiscono non solo nelle specializzazioni di prodotto e di fascia di mercato, ma anche nell’organizzazione industriale, nel grado di internazionalizzazione, nel ruolo della subfornitura.
Nel testo si richiama la cogenza per le politiche pubbliche di non disperdere una storia legata a processi economici di lungo periodo, senza la quale appare difficile costruire le condizioni del futuro entro cui possono avverarsi “processi di sviluppo più soddisfacenti per l’intero paese, migliorando la vita e le opportunità di tutti i suoi cittadini”. L’autore si occupa delle trasformazioni della geografia economica dell’Europa e delle sue regioni dal Novecento al nuovo secolo. In questo quadro analizza le trasformazioni italiane, con particolare attenzione a quelle del Mezzogiorno senza veicolare una rappresentazione univocamente negativa di Sud bisognoso che potrebbe alimentare un ulteriore sentimento di rivendicazione da parte del Nord, ma evidenziando anche potenzialità inespresse. Purtroppo, le trasformazioni internazionali hanno messo in difficoltà una parte rilevante dell’apparato produttivo italiano, più intensamente laddove era più fragile, per specializzazione settoriale, assetti dimensionali, capacità di innovazione.
L’Italia è stato un Paese con performance economiche modeste negli ultimi vent’anni, in particolare nelle sue aree più deboli; così che il Mezzogiorno è stata la parte d’Europa con i peggiori andamenti nel nuovo secolo; la forte caduta della domanda interna ha penalizzato le attività non esportatrici: entrambe le circostanze sono state più rilevanti nel Mezzogiorno.
Secondo Viesti la patologia del capitalismo italiano è stata non aver creato nuove attività, soprattutto nell’industria più avanzata e a maggiore intensità di innovazione e in quel vasto ambito dei servizi avanzati cresciuti nelle regioni europee più forti. Anche questa tendenza, non sorprendentemente, ha penalizzato il Sud, dove le aree urbane sono meno dotate delle condizioni favorevoli alla nascita di nuove attività terziarie, in termini di diffusione dell’istruzione e presenza di economie di agglomerazione. Anche vasti territori del Centro e in parte del Nord del paese, pur partendo da livelli di sviluppo maggiori, hanno subìto le stesse dinamiche negative. I flussi di popolazione, dall’estero e interni al paese, sono stati collegati alle diverse opportunità di lavoro che si sono determinate e hanno contribuito ad aggravare questi squilibri.
Un’analisi importante, di ampia prospettiva storica, che aiuta a comprendere le radici dei divari regionali in Italia all’interno del contesto europeo e a far chiarezza sulle sfide che ci attendono. In sintesi, Viesti sembra invitare a parlare di Italia nelle sue articolate differenze e necessità territoriali (che non riguardano solo il Sud) e ribadisce il ruolo delle politiche pubbliche (più o meno adeguate) nei percorsi di sviluppo territoriale.
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