
24 Nov Il veto di Polonia e Ungheria contro lo Stato di diritto
di Vittorio Ferla
La settimana scorsa gli ambasciatori di Ungheria e Polonia hanno posto il veto all’accordo sul bilancio dell’Unione europea 2021-2027. E questo perché il 10 novembre, su iniziativa della Germania, il Parlamento europeo e il Consiglio europeo (dove siedono i 27 stati) si sono accordati per condizionare l’accesso ai fondi europei al rispetto dello Stato di diritto da parte dei Paesi membri.
Ma così non si può neanche approvare il NextGenerationEu. E se non si trova rapidamente una soluzione, lo spiegamento di finanziamenti vitali per i paesi colpiti dal coronavirus – primo tra tutti l’Italia – potrebbe essere ritardato fino al 2021. “Poiché i paesi affrontano la seconda ondata di Covid e l’Europa si avvia verso una doppia recessione tutto ciò sarebbe disastroso e destabilizzante. In Italia, dove sono scoppiati disordini sociali in città come Napoli e Torino, i 209 miliardi di euro stanziati dal fondo rappresentano un’ancora di salvezza economica”. A scriverlo in un editoriale non firmato è addirittura il Guardian, quotidiano britannico che, vista la Brexit, dei problemi dell’Europa potrebbe pure disinteressarsi. E invece no. Il fatto che l’Ungheria e la Polonia “per anni, con sfacciato disprezzo per Bruxelles, hanno minato l’indipendenza della magistratura e dei media dei loro paesi e si sono abbandonati a uno sfacciato clientelismo”, disturba anche gli inglesi. Entrambi i paesi, inoltre, “hanno sfruttato il potere così maturato per condurre guerre culturali contro i diritti delle persone LGBT e dei migranti”. E adesso non accettano che la condizione per ricevere i soldi da Bruxelles sia proprio il rispetto della democrazia. Parlando attraverso i loro rappresentanti, i premier Orbàn e Morawiecki hanno lasciato aperto uno spiraglio: la discussione decisiva si farà nel Consiglio europeo del 10 dicembre che vedrà al tavolo i 27 leader in persona. Ma il Consiglio europeo funziona per ‘consenso’. Ciò vuol dire che ogni decisione va presa all’unanimità. L’ipotesi di cedere ai ricatti delle cosiddette ‘democrazie illiberali’ sarebbe un disastro per la credibilità dell’Europa ed è altamente improbabile. Le soluzioni mediane – accordo intergovernativo per fare tutto senza Polonia e Ungheria oppure cooperazione rafforzata tra 25 Stati escludendo chi non ci sta – incontrerebbero ostacoli tecnici e politici. La soluzione radicale – l’esclusione di Polonia e Ungheria dall’accesso ai fondi – è assai improbabile: si ritorcerebbe contro l’Unione nel suo complesso.
Visto che la Germania detiene la presidenza di turno dell’UE, l’onere di trovare una via d’uscita ricadrà su Angela Merkel. “È possibile che una riformulazione giudiziosa della clausola sullo Stato di diritto possa consentire l’emergere di un compromesso”, scrive il Guardian. Altrimenti il prezzo di un’impasse prolungata sarà pagato in termini di posti di lavoro, mezzi di sussistenza e livelli pericolosi di debito nazionale. Ma, ammonisce ancora il Guardian, “è di vitale importanza che l’Ungheria e la Polonia non siano autorizzate a ricattare gli altri Stati membri”. D’altra parte anche le opinioni pubbliche dei due paesi, a partire dai sindacati, rifiutano questa posizione sovranista e stanno organizzando pressioni sui loro governi. “Nel cuore dell’UE, i governi ungherese e polacco cercano di creare uno spazio protetto per un modo intollerante e illiberale di fare politica. Non si può permettere che duri indefinitamente”, conclude il Guardian. Ma la Merkel sa che Polonia e Ungheria – tra i paesi che più godono degli aiuti comunitari – hanno bisogno di quei fondi. E sa come usare il tempo per ricondurli alla ragione.
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