
15 Giu Immobili pubblici e rigenerazione urbana: quante occasioni sprecate
di Francesco Gastaldi e Federico Camerin
Anni fa l’Istituto Bruno Leoni (IBL 2011) ha stimato il valore del patrimonio immobiliare pubblico (Stato, enti territoriali, ASL, Regioni, Edilizia residenziale pubblica) in 450 miliardi di Euro[1].
La decisione di dismettere o non dismettere un bene pubblico non può essere affidata solo ed esclusivamente ad una “logica di cassa”, ma ogni ipotesi di dismissione dovrebbe prima passare attraverso un’attenta ponderazione circa la sussistenza di un interesse pubblico alla conservazione del bene (per destinarlo ad usi delle stesse amministrazioni o più in generale della collettività).
Ciò presuppone un elevato livello di consapevolezza circa le sue esigenze economiche e sociali del territorio, la dismissione dovrebbe essere una sorta di extrema ratio, la soluzione che resta dopo aver valutato tutte le altre alternative possibili.
Il tema della dismissione e valorizzazione dei patrimoni pubblici fa ormai parte del dibattito politico italiano da alcuni anni ed è legato alle esigenze finanziarie dello stato nazionale e degli enti pubblici locali (regioni, comuni, aziende sanitarie).
Nel dibattito politico-amministrativo il problema è prevalentemente tematizzato secondo questioni di natura contabile e attinenti politiche di riduzione del debito pubblico, sposta in secondo piano altri aspetti legati alla pianificazione, alla gestione urbana, ai processi di valorizzazione culturale e alla promozione del territorio.
L’ immobilismo che caratterizza il tema dei beni pubblici è in netta contrapposizione con la velocità estrema con cui il mondo politico ha cambiato e sovrapposto numerose disposizioni legislative. Le norme si sono sovrapposte senza affrontare il vero nocciolo della questione che sta alla base di ogni programma e strategia di azione politica, ossia la conoscenza.
Solo recentemente nel nostro Paese va maturando una maggiore sensibilità verso i manufatti architettonici prodotti a cavallo tra Ottocento e Novecento. A questo periodo appartengono molti edifici militari e pubblici di notevole valore architettonico, paesistico, simbolico e identitario, testimonianza di memorie collettive e individuali.
Si tratta di un patrimonio assai rilevante che si è formato a partire dall’Unità d’Italia inglobando immobili religiosi e conventuali, a cui ha fatto seguito la realizzazione di manufatti finalizzati all’organizzazione del nuovo assetto dello Stato.
Le azioni dovrebbero combinare insieme redditività economica, recupero e reinterpretazione virtuosa di tali patrimoni al fine di ridefinire la struttura e l’organizzazione di parti di sistemi urbani o territoriali.
Non esiste a tutt’oggi una seria e compiuta riflessione sul ruolo che potrebbe giocare il riutilizzo dei patrimoni pubblici, spesso edifici molto grandi, situati in aree già dotate di infrastrutture e dotati di ampie superfici di spazio aperto come opportunità per innescare o accompagnare processi di rigenerazione urbana e riorganizzazione territoriale, come occasioni di riconfigurazione di aree centrali ad alta valenza simbolica o come opportunità per contrastare ulteriori processi di consumo di suolo.
Non esiste inoltre una riflessione sulle difficoltà che si sono trovate ad affrontare le amministrazioni locali nella costruzione di processi virtuosi di recupero dei patrimoni pubblici.
Spesso i Comuni, oltre a non avere risorse economiche, non hanno risorse umane e competenze necessarie a seguire iter così complessi. L’assenza di chiare strategie di sviluppo territoriale chiare e fissate in documenti programmatici contribuisce ad ostacolare l’iniziativa imprenditoriale e l’interazione fra le diverse parti in causa.
Le vicende della dismissione e della valorizzazione degli immobili pubblici nel corso degli ultimi anni si sono rivelate una “spia” delle difficoltà del quadro normativo italiano a conciliare obiettivi statali e potenzialità locali. Un’occasione persa, almeno per ora. La crisi economica ha accentuato tendenze già in atto evidenziando ancora maggiormente l’inefficacia dell’azione istituzionale in questo campo.
Post Scriptum
Abbiamo parlato del tema nel volume: Francesco Gastaldi, Federico Camerin, Aree Militari e Rigenerazione Urbana, LetteraVentidue Edizioni, Siracusa, 2019, 224 pp. Link: https://www.letteraventidue.com/it/prodotto/367/aree-militari-dismesse-e-rigenerazione-urbana
Link
[1] http://www.brunoleoni.it/policy-paper-n-4-uscire-dalla-crisi-un-agenda-di-privatizzazioni
IBL (Istituto Bruno Leoni), Uscire dalla crisi. Un’agenda di privatizzazioni, IBL Policy paper, Milano, 2011.
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