
05 Nov Per l’innovazione nella scienza servono istruzione, comunicazione e risorse
di Stefano Covino
Se volete rendervi conto di quello che è la rivoluzione, chiamatela Progresso; ma se volete rendervi conto di quello che significa progresso, chiamatelo Domani; ora, il Domani compie irresistibilmente l’opera sua, e la comincia oggi, arrivando sempre al suo scopo, nei modi più strani.
I miserabili – Víctor Hugo
Il progresso si svolge “nei modi più strani”, scrive Victor Hugo (1). Identificando, con sensibilità di raffinato osservatore della realtà, quale era, il carattere non lineare, non facilmente prevedibile, del progresso. E l’ambito più strettamente scientifico, neppure tecnologico, non fa eccezione. Si tratta di un processo talvolta caotico e conflittuale, una sorta di distruzione creativa (2), che rompe passati paradigma per creare nuove metafore. Una nuova coscienza della natura. In questo senso, evidentemente, il progresso scientifico, o se vogliamo l’innovazione, non è solamente un inventare “nuove cose”, o comprendere “nuovi fenomeni”. Sono questi passi necessari e fondamentali. Ma l’innovazione presenta aspetti più profondi che vanno a ridefinire le nostre stesse relazioni con l’ambiente fino a livelli profondi. Investendo le nostre, come esseri umani, credenze e convinzioni filosofiche-religiose con influenze dirette, ma egualmente complesse, nell’economia e negli ambiti sociale e politici. Il contesto della ridefinizione delle metafore, come processo di digestione ed assorbimento di nuove idee anche, o soprattutto in tempi moderne, scientifiche non è certo nuovo. Solo per rimanere nell’ambito dei pensatori moderni, Ludwig Wittgenstein (3) parla del filosofo come, essenzialmente, un produttore di nuove metafore (4).
Tuttavia, il carattere per certi versi tumultuoso, non singolarmente prevedibile, dell’innovazione in ambito scientifico non dovrebbe guidarci a considerare la ricerca scientifica come un ambito sostanzialmente caotico. Al contrario, anche se le direzioni dell’innovazione non le sappiamo, ed in effetti non siamo neppure in grado veramente di prevederle, esistono tutta una serie di condizioni “al contorno” che rendono l’innovazione stessa una specie di investimento a guadagno garantito.
Il talento è favorito dal contesto
Riflettiamo su questo punto. La popolazione europea (5) intorno all’anno mille si stima fosse sui 40 milioni di individui. Più o meno il doppio 500 anni dopo e circa 200 milioni ad inizio ‘800. 500 milioni nei primi decenni del ‘900 e ormai fra 7 e 800 milioni negli anni 2000. Tralasciando i dettagli della, per altro interessante, evoluzione demografica, è comunque immediato vedere che, a tutti gli effetti, la gran parte degli europei della storia è attualmente vivente o la troviamo nelle passate 4-5 generazioni. Eppure, nell’antichità, nel medioevo, nel Rinascimento, ecc. abbiamo avuto straordinari pensatori, artisti, filosofi.
Come è stato possibile, si potrebbe dire, avere avuto tale ricchezza di intelletti dovendo pescare in un bacino potenziale, la popolazione, così ridotto rispetto all’attuale?
L’argomento, non nuovo, assume un aspetto più significativo se si osserva come, in aggiunta, i grandi talenti dell’umanità sembrano “germinare” con particolare facilità in situazioni specifiche: la Firenze del Rinascimento, la Francia di fine secolo decimonono, il bacino di lingua tedesca di inizio ‘900, ecc. Senza entrare in dettagli ora inessenziali di sociologia ed antropologia, la più semplice chiave di lettura di queste osservazioni è che, contrariamente ad un sentire comune, nella popolazione umana speciali qualità nelle più varie arti e discipline, dalla musica alla letteratura alla scienza, non sono rare. Sono invece molto diffuse, probabilmente persino comuni. Quello che favorisce, o impedisce, il maturare di tali talenti è il contesto, le condizioni al contorno appunto, che porta individui con le giuste attitudini a poter esprimere appieno le loro potenzialità (6).
L’innovazione non appare all’improvviso
Per cui, tornando al nostro tema principale, più che il “prodigioso” apparire di un’idea nuova sviluppata da un talento scientifico o artistico, abbiamo scenari in cui date le opportune condizioni al contorno, l’innovazione, non solo scientifica, compare.
“L’innovazione non appare semplicemente – è progettata da umani per umani” (7), scrive Angela Beausoleil. E continua “Mentre gli economisti discutono nuove teorie, gli scienziati sviluppano nuove tecnologie e gli industriali sviluppano nuovi mercati, il processo di innovazione è primariamente e fondamentalmente costruito socialmente” (8).
Ma quali sono quindi queste condizioni al contorno, quelle condizioni che nella scienza, ma in senso traslato in ogni aspetto del sociale, rendono possibile o anche, più correttamente, probabile lo sviluppo di un processo di innovazione? Il tema è, comprensibilmente, molto discusso ed alcuni ingredienti sono tutto sommato facilmente identificabili, ad esempio facendo riferimento ai casi sopra citati di periodi storici ricchi di innovazione scientifica e culturale in maniera peculiare.
Abbiamo quindi una serie di meccanismi che devono essere in azione: alcuni agiscono in senso verticale, attraverso ad esempio le generazioni o catene gerarchiche, ed alcuni in senso orizzontale, creando connessioni tra componenti dello stesso tessuto sociale.
1- L’importanza della scuola (e della trasmissione del sapere)
Un primo punto fondamentale per mettere in moto la macchina dell’innovazione è senza dubbio quello della “scuola”. Intesa sia come istituzione con programmi, obiettivi e quant’altro, ma anche in senso più generale come generico meccanismo di trasmissione del sapere, per lo più in maniera verticale. Da chi possiede conoscenze, a chi queste conoscenze le vuole acquisire. La scuola, in senso quasi istituzionale, ma anche quei meccanismi di trasmissione della conoscenza che sono operativi nella classica configurazione delle botteghe artigiane con maestro ed apprendisti.
L’effetto volano, si direbbe oggi, di un meccanismo scolastico di ogni ordine e grado, ben organizzato è imponente, ed anche in effetti ampiamente studiato (9), anche se spesso sottovalutato per il suo carattere sistemico che mal si adatta ai tempi rapidi dei decisori politici e dei meccanismi di creazione di consenso. Si tratta di un effetto positivo in termini di innovazione non solo culturale e sociale, temi che non dovrebbero essere sottovalutati, al di là dell’aspetto strettamente economico che pure è presente ed importante (10). In questo meccanismo catalizzatore dell’innovazione sono le università (11) a giocare un ruolo chiave, ma sarebbe un grave errore non considerare il processo di istruzione nella sua interezza. Così come giocano un ruolo chiave anche i meccanismi di accesso all’istruzione che devono essere tali da poter inibire, almeno parzialmente, le differenze di classe sociale di provenienza.
2- La comunicazione della conoscenza
Un secondo processo di importanza critica, e che si svolge invece prevalentemente con dinamica orizzontale, è quello che della comunicazione della conoscenza. L’esistenza di efficienti mezzi di comunicazione, in proporzione all’epoca considerata naturalmente, è una condizione essenziale perché si instauri un processo di creazione di innovazione. Questi processi devono permettere una comunicazione della conoscenza ed un libero dibattito, quantomeno fra “pari” (12). L’innovazione, in altre parole, si innesca quando si riesce a garantire meccanismi di confronto fra i costruttori di innovazione, gli scienziati, capaci di favorire lo scambio proficuo di conoscenze ed esperienze. Uno degli aspetti che, ad esempio, sfugge alla divulgazione storica è il ruolo chiave giocato dagli efficienti sistemi postali nel mondo pre-industriale. La mole di corrispondenza di grandi scienziati del passato con loro colleghi è un argomento conosciuto negli ambiti più strettamente professionali, ma che tende sovente a sfuggire nelle considerazioni meno accademiche (13).
Abbiamo quindi due ingredienti chiave: la trasmissione del sapere in senso verticale, ovvero scuola e formazione, e la trasmissione del sapere in senso orizzontale, vale a dire dibattito scientifico libero ed efficiente. Cosa manca ancora quindi per creare quelle situazioni in cui l’innovazione fiorisce?
3- La disponibilità di risorse, pubbliche o private
Manca il terzo ingrediente, quello che per certi versi potrebbe essere classificato, erroneamente come vedremo a breve, il più banale. L’ingrediente in questione è la disponibilità di risorse, pubbliche o private, per sostenere il processo di innovazione.
Non è probabilmente motivo di sorpresa per nessuno che senza adeguate risorse a disposizione non ci possa essere innovazione. E questo vale anche nei campi che potremmo più superficialmente immaginare slegati dai temi quotidiani dell’economia, come i temi filosofici o della ricerca di base. Sarebbe un grave errore. Non tanto per il fatto ovvio, ma non scontato, che il lavoro dei ricercatori debba essere sostenuto. Riallacciandosi al discorso sviluppato in precedenza, se anche accettiamo che i talenti portatori di innovazione non siano rari nella popolazione umana, rimane vero che nella gran parte dei casi essi non hanno modo di svilupparsi mancando le condizioni al contorno per poterli alimentare (14). Di fatto, sia pure in base alle differenti strutture sociali, economiche e politiche, uno dei punti comuni fra, ad esempio, la Grecia del V secolo, la Firenze rinascimentale, la Francia di fine ‘800, e così via, è la convinzione diffusa che il lavoro degli scienziati, come anche degli artisti, dei filosofi, in senso più generale per usare un’espressione oggi in voga, dei “professionisti della conoscenza”, sia da supportare come importante, vitale, per il contesto sociale di riferimento.
Questo meccanismo virtuoso può instaurarsi per le più svariate ragioni e modalità. Il mecenatismo delle corti rinascimentali non era disgiunto da questioni di prestigio e, in ultima analisi, di rafforzamento del potere del “principe” e della sua figura pubblica (15). Esattamente come il fiorire di grandi scoperte scientifiche in determinati ambiti spesso è legato ad un filo doppio all’interesse economico e di impresa per le applicazioni pratiche che conseguono, inevitabilmente, dall’innovazione scientifica (16). Di fatto quindi, ancora una volta non il genio solitario, frutto in un certo qual modo del caso, che sposta in avanti i confini della conoscenza. Ma la convergenza di meccanismi ben configurati che portano, in maniera non predicibile nei percorsi, ma in larga misura pianificabile nei risultati, all’instaurarsi di un positivo processo di innovazione nella scienza.
Si tratta, senza dubbio, di una visione non particolarmente romantica del processo di innovazione nelle scienze. Quella tanto cara all’iconografia popolare dello scienziato solitario, magari anche un po’ misantropo, di cui è ricca la letteratura d’evasione (17). Di fatto, però, ha il pregio di costruire un meccanismo unificante che permette di comprendere quali siano i fattori catalizzanti la prodigiosa accelerazione della conoscenza, nella sua accezione più ampia che non si limita solamente a quella tecnico-scientifica, che osserviamo essere avvenuta in contesti storici ben specifici. Si tratta anche di una lezione di governo, si potrebbe dire, ovvero la definizione di “buone pratiche” che enfatizzando il ruolo di alcuni ingredienti: l’istruzione, la comunicazione, e l’allocazione di adeguate risorse, permette in maniera meno paradossale di quanto si possa pensare di “pianificare l’innovazione”, ovvero costruire quegli scenari positivi in cui l’intelletto umano produce i suoi migliori frutti con beneficio ampio, diffuso e perdurante per la società.
L’esempio dei ragazzi di via Panisperna
A titolo esemplificativo, sia pure entro i limiti e la portata di questo intervento, andiamo ora ad analizzare più da vicino un caso “positivo” reale che riguarda il nostro Paese e la sua storia recente. Di modo da seguire come l’instaurarsi dei meccanismi sopra descritti porti agli effetti aspettati. Si tratta dell’episodio di fioritura di talenti scientifici noto, anche mediaticamente, come la vicenda dei “ragazzi di via Panisperna”. Cercheremo di capire, in sostanza, quali meccanismi hanno reso possibile che in un paese, l’Italia, che all’epoca era ancora lontano dall’essere una potenza industriale di primo piano, si registrò, in pochi anni, la crescita ed affermazione di giovani fisici il cui lavoro altamente innovativo ha posto le basi della perdurante tradizione di elevata qualità della ricerca italiana (18).
Chi erano i “ragazzi di via Panisperna”? La personalità di maggiore prestigio fu senza dubbio Enrico Fermi, brillante fisico che ottenne il premio Nobel nel 1938, e che proprio in occasione della cerimonia se ne andò dall’Italia per accettare le offerte professionali che lo avevano raggiunto dagli Stati Uniti, e probabilmente anche per la crescente preoccupazione causata dalle leggi razziali emanate dal regime fascista. La moglie di Fermi, infatti, aveva delle ascendenze ebraiche (19). Insieme al carismatico Fermi abbiamo personalità scientifiche ed umane di grandissimo spessore come Emilio Segrè, a sua volta premio Nobel nel 1959, Edoardo Amaldi, Bruno Pontecorvo, Oscar d’Agostino, Franco Rasetti ed Ettore Majorana. Protagonista, quest’ultimo, di un affascinante caso al bordo fra la cronaca nera e la “spy story”, con la sua misteriosa sparizione nella primavera del 1934 (20). Ma quali sono state, quindi, le condizioni positive che hanno portato, in pochi anni, presso il Regio Istituto di Fisica dell’Università di Roma in via Panisperna, al costituirsi di questo concentrato di talenti scientifici? I requisiti fondamentali sono, come abbiamo detto, scuola, efficiente circolazione delle idee scientifiche, e condizioni economiche adeguate per attività innovative. Ma andiamo per ordine: la scuola.
L’Italia dei primi decenni del ‘900 aveva ancora una lunga strada da percorrere per garantire un accesso efficace all’istruzione ad ampie fasce della popolazione. Tuttavia l’istruzione primaria era, almeno formalmente, obbligatoria sin già dal periodo pre-unitario, e nel 1924 la riforma Gentile (21) estese l’obbligo fino ai 14 anni. Non è certamente questo il luogo adatto per una disamina approfondita della configurazione scolastica del Regno d’Italia negli anni fra le due guerre mondiali (22). Il ruolo stesso della riforma Gentile non è univoco, in particolare proprio in relazione alle materie scientifiche.
Ma quello che qui più ci preme ricordare è però la qualità del dibattito sulla scuola ed il suo valore educativo e formativo. Si trattava di un dibattito che vedeva coinvolte le migliori personalità della vita culturale del nostro Paese. Esisteva, insomma, nelle classi dirigenti del Paese la convinzione diffusa che l’istruzione fosse un viatico essenziale per la formazione dei cittadini dell’ancor giovane Regno. La scuola italiana del tempo, oltre all’insegnamento primario e l’eventuale avviamento professionale, non era ancora di massa ed anzi appannaggio solo delle classi più abbienti. Tuttavia, da diversi punti di vista, era una scuola ambiziosa e di valore (23), con dotazioni in generale adeguate al ruolo ed allo scopo (24). Non per tutti, certamente, ma per coloro che potevano permettersi gli studi la formazione era di elevata qualità.
Il secondo punto da sottolineare è quello del valore della comunicazione scientifica nei decenni a cui ora stiamo facendo riferimento. Il senso di questa riflessione è che gli scienziati italiani del tempo, se lo volevano e ne avevano la possibilità, potevano mantenere contatti estremamente proficui con le aree intellettualmente più attive dell’Europa di allora, vale a dire, come già accennato, quantomeno per la fisica, il bacino (in senso ampio) di lingua tedesca.
Come si svolgevano questi contatti? Ad esempio con la possibilità di permanenze nei migliori istituti di ricerca. Enrico Fermi ebbe modo di completare la sua formazione, ma anche già di produrre ricerca di qualità, durante le sue permanenze a Gottinga e a Leida. Emilio Segrè, invece, ebbe modo di studiare ad Amburgo e successivamente ad Amsterdam. E poi ancora, Ettore Majorana soggiornò a Lipsia e poi a Copenaghen.
In sostanza il punto chiave è che i giovani scienziati italiani di quel tempo avevano, oltre che una formazione di eccellente qualità, connessioni dirette ed importanti con i migliori centri di ricerca europei. E le connessioni implicano, ovviamente, anche conoscenza personale, epistolari con i principali scienziati dell’epoca e, insomma, essere parte di un movimento globale che, proprio in quegli anni turbinosi, vedeva rivoluzionare le nostre concezioni sulla struttura stessa del tempo e dello spazio (25). Si badi che, sebbene senza dubbio in maniera diversa, i centri di riferimento per la fisica di punta di quel tempo, come abbiamo accennato, erano nel centro e nord-Europa, esisteva anche un meccanismo di connessione dal “centro alla periferia”. Ad esempio è noto il ringraziamento di Albert Einstein a Gregorio Ricci Curbastro, un matematico italiano che pose le basi per il formalismo matematico di cui il celebre fisico si servì per le sue formulazioni. Einstein, quindi, era a conoscenza ed apprezzava il lavoro di Ricci Curbastro (26). Altro segno inequivocabile di come il mondo della ricerca italiana, sia pure limitato nei numeri, era fortemente trasparente all’interazione internazionale.
Ed arriviamo allora all’ultimo punto. Le condizioni socio-economiche favorevoli all’innovazione. Si intende questo sia dal punto di vista degli investimenti per la ricerca di base vera e propria, tradizionalmente da parte di entità statali o, oggi, sovrastatali. Ma anche più in generale l’esistenza di una cultura imprenditoriale positiva ed innovativa (27). Va detto in primo luogo che una disamina piena della situazione economica di un paese richiede studi complessi e multi-variati. Tuttavia per lo scopo che ci siamo prefissi può probabilmente essere d’aiuto dare un’occhiata ad alcuni indicatori macroeconomici come il prodotto interno lordo (28), l’indice di produzione industriale, il tasso di analfabetismo, la percentuale di occupati nell’industria, ecc.. In maniera abbastanza uniforme si vede con chiarezza che per l’Italia dei primi decenni del ‘900, fatto salva la parentesi del primo conflitto mondiale, si è trattato di un periodo di robusta crescita economica e sociale, almeno fino a quella che forse è stata la prima grande crisi globale, nel 1929 (29). Certamente si è trattato di un periodo non esente da contraddizioni, anche vistose, ma complessivamente è stato senza dubbio caratterizzato da una notevole vitalità economica e sociale. Per i nostri scopi, tuttavia, più che un’analisi economica forse può essere utile e, spero, interessante raccontare, per sommi capi, una vicenda abbastanza poco nota dell’epoca ma che descrive in maniera espressiva il clima culturale ed economico di quegli anni.
Il telescopio del Reale Osservatorio Astronomico di Brera
Come tutti sanno, alla fine del primo conflitto mondiale le potenze sconfitte furono costrette a pagare ingenti danni di guerra (30) alle potenze vincitrici, tra cui naturalmente anche il Regno d’Italia. Su questo scenario si innesta una vicenda molto interessante che si basa sulla possibilità che i suddetti pagamenti potessero anche comprendere manufatti di, per i tempi, alta o altissima tecnologia.
E quindi vediamo, con una certa gratificante sorpresa, alcuni fra i più attivi intellettuali di area tecnico-scientifica del tempo (31) che si adoperano per ottenere un telescopio, uno strumento per osservazioni astrofisiche, costruito dalla Zeiss ma mai messo in condizioni di operare a causa del conflitto bellico. Il telescopio in questione fu infatti installato, dopo complesse vicende politico-diplomatiche, nella nuova sede distaccata del Reale Osservatorio Astronomico di Brera (32) a Merate, in Brianza nel 1926. Dove è tutt’ora visitabile e, sebbene naturalmente tecnologicamente obsoleto, è ancora perfettamente funzionante (33). Naturalmente il punto qui non è tanto quella della vicenda di questo telescopio di per sé, ma del fatto che la classe dirigente del Paese, in un momento in cui si poteva quantomeno sperare di avere accesso a risorse ingenti che potevano fare gola a vari settori sociali, politici ed economici, spese tempo, risorse ed impegno per ottenere un oggetto il cui scopo era quello di poter far condurre agli astronomi italiani ricerche di base di valore internazionale (34). Un segno chiaro ed inequivocabile di dinamicità sociale, economica e culturale, e che non mancò di produrre frutti cospicui e duraturi. La grande tradizione italiana nelle scienze fisiche ne è un riflesso diretto.
L'”interramento” delle risorse: il caso della Repubblica Veneta
E se invece queste condizioni non si verificano, possiamo delineare un esempio in cui invece di un processo efficace di innovazione abbiamo una stasi, se non una vera e propria regressione? Ancora una volta un esempio interessante lo possiamo trovare nel nostro paese, ed esattamente in quel processo, a volte denominato, con qualche ironia, “interramento”, con cui la classe dirigente della Repubblica Veneta progressivamente abbandonò le imprese commerciali per trasferire i propri ingenti patrimoni nella costruzione di grandiose ville nell’entroterra. Senza alcun dubbio si è trattato spesso di capolavori architettonici che hanno arricchito il territorio, ma per i nostri scopi hanno anche segnato il venire meno della dinamicità imprenditoriale e culturale che per lungo tempo ha caratterizzato la “Serenissima”.
Premettendo che senza alcun dubbio questo non è il luogo adatto per un’analisi dettagliata della millenaria (35) storia della repubblica marinara veneta, da molti punti di vista si è trattata di un’esperienza politica di rilievo. E Venezia fu sempre un centro culturale di rilevanza europea ovvero, per i tempi, globale. Alcune caratteristiche emergono abbastanza chiaramente. Da una parte un’apertura al mondo rimarchevole, dovuta senza dubbio alla vocazione commerciale. Non si trattava tanto di un atteggiamento filosofico, o non solo quantomeno, ma le necessità stesse del commercio implicavano lo sviluppare una legislazione che tutelava le diverse nazionalità con le quali si intrattenevano relazioni d’affari. E questo valeva anche per le minoranze etniche e culturali (36).
Un ambiente intellettualmente stimolante che credeva e promuoveva, oltre che un evidente culto del bello nelle arti, anche conoscenze e competenze nelle più svariate discipline. Le università dell’area, abbiamo già accennato all’importanza dell’ambiente padovano per Galileo Galilei, erano prestigiose ed internazionali (37). Ampia diffusione e circolazione di idee, forte rispetto delle libertà personali, di pensiero e di culto (38). In questo scenario, sia come fattore di causa che come conseguenza diretta, la dinamicità imprenditoriale ed economica della Repubblica forniva gli strumenti per una frizzante ed innovativa vita culturale.
Tuttavia, a partire da grossomodo il XVII secolo le cose cominciano a cambiare. Come sempre non c’è un’unica causa, e si tratta di fenomeni graduali, ma cambiamenti dello scenario internazionale, ad esempio il sorgere di potenze commerciali concorrenti e situazioni specifiche sfavorevoli al commercio lungo la direttrice adriatica (39), portarono ad una rilevante diminuzione dei commerci controllati da Venezia e, in definitiva, al progressivo venire meno del ruolo economico e politico nell’Europa del tempo (40). Diversi aspetti anche aneddotici ci indicano la mutata attitudine della classe dirigente di fronte al rischio dell’investimento, e più in generale diremmo verso l’innovazione. Sempre in questo periodo, infatti, assistiamo alla progressiva sostituzione delle responsabilità commerciali dagli imprenditori veneti con quelli di comunità straniere, oppure alla sostanziale assenza di capitali veneti nel finanziamento delle spedizioni di esplorazione per l’apertura delle nuove grandi rotte oceaniche verso oriente ed occidente. Si badi che si tratta ancora, per lungo tempo, di una classe dirigente dotata di grandi capitali che, però, come si accennava all’inizio di quest’ultima riflessione, non si dedica più ad investimenti in attività potenzialmente ad alta resa seppure, evidentemente, con un profilo di rischio.
Al contrario, queste immense fortune vengono “interrate” con il progressivo ritiro dalle coste verso l’interno caratterizzato dall’erezione di superbe ville, autentici capolavori (41), dove, simbolicamente, ci si ritirava a godere dei capitali accumulati in passato. Di fatto, il ritirarsi di Venezia dal novero delle potenze commerciali e militari europee portò inevitabilmente anche allo scemare del suo ruolo culturale. Certamente la città lagunare rimaneva meta importante di viaggi e di interesse politico e culturale. Ma è facile percepire come “i grandi flussi” della storia ormai prendevano altre direzioni. Si tratta della già descritta connessione strettissima fra vitalità economico/politica ed innovazione, anche in ambiti apparentemente, ma erroneamente, percepiti come slegati da questi temi, come la ricerca scientifica. Abbiamo che ormai le grandi idee e le grandi invenzioni, in altre parole, le grandi spinte innovative, andavano a nascere e svilupparsi in altri ambiti culturali. La vicenda della Repubblica Veneta non è in se diversa dai cicli di espansione e regressione che conosciamo dagli studi storici caratterizzare pressoché ogni sistema politico o sociale.
L’importanza di investire sull’innovazione
Il punto che qui vogliamo però enfatizzare è che, ancora una volta, un’area ricca di tradizione culturale e con istituzioni di valore arriva rapidamente a perdere la sua capacità di creare innovazione, anche nell’ambito squisitamente scientifico. E questo accade quando l’innovazione non viene più percepita come valore nel tessuto sociale che, anzi, pare inseguire un ideale di “quieta marginalità”. Ideale probabilmente anche suggestivo ma che, inevitabilmente, arriva ad influenzare anche gli altri fattori che abbiamo identificato per creare le condizioni per attivare un proficuo processo di costruzione di innovazione nella scienza: circolazione di informazioni e trasmissione della conoscenza.
Le forti analogie che possiamo facilmente percepire con l’insieme di convinzioni che caratterizza ampie fasce della società italiana, o probabilmente anche occidentale, può probabilmente indicarci con chiarezza la necessità impellente di un forte dibattito culturale sull’importanza primaria dell’investimento in innovazione. La pena non è tanto il non essere protagonisti di scoperte scientifiche o tecnologiche, notizie talvolta recepite dalla pubblica opinione con la stessa partecipazione di vittorie sportive. Ma consiste nell’enorme prezzo da pagare quando si perde di vista l’ideale stesso dell’innovare. Magari sedotti da visioni più o meno romantiche di società bucoliche a misura, si dice, “d’uomo” (42). In nessun modo questi temi non meritano una seria ed approfondita discussione. E certamente nessuno può arrogarsi l’autorità di definire a priori il “modello sociale” corretto da implementare.
Tuttavia, la complessa ramificazione tra i vari fattori che portano all’innovazione in scienza con, più in generale, temi come lo stato di salute di una società in economia, cultura, valori giuridici, ecc. dovrebbe suggerire di dare al tema trattato in questo saggio una centralità che, spesso, tende a non avere. Condannato alla marginalità dei discorsi “dotti” o “accademici”, quando probabilmente dovrebbe assumere una priorità strategica nel definire i fondamenti di una società. In fondo, come scriveva il grande Piero Calamandrei (43): “trasformare i sudditi in cittadini è miracolo che solo la scuola può compiere”.
Note
(1) Victor Hugo (1802-1885) è stato un poliedrico e geniale scrittore ed anche politico francese. Fu uno dei primi attivisti per i diritti umani e la sua produzione letteraria, non solo romanzi ma anche poesia e saggistica, ha segnato la stagione più rilevante del movimento romantico in Francia.
(2) La “distruzione creativa” è un concetto importante nell’ambito delle scienze economiche formalizzato dall’economista austriaco Joseph Schumpeter (1883-1950). Al di fuori dell’ambito strettamente economico è un concetto che ha trovato ampie applicazioni, anche solo come riferimento concettuale, in sociologia, etologia, antropologia, ecc.
(3) Ludwig Wittgenstein (1889-1951) è considerato uno dei massimi pensatori del XX secolo ed a noi sono care, in questo contesto, le sue ricerche sul linguaggio ed il suo ruolo nella descrizione della realtà (si veda ad esempio “Ricerche Filosofiche”, 1953).
(4) Si veda anche, ad esempio, “E avvertirono il cielo – La nascita della cultura” (Jaca Book 2020), un dialogo tra Carlo Sini e Telmo Piovani sul tema dell’evoluzione umana.
(5) Dati presi da wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Demografia_dell%27Europa
(6) L’argomento, come si diceva, è tutt’altro che scontato ed esiste un’ampia letteratura specialistica volta a determinare il ruolo ambientale piuttosto che ereditario di determinate attitudini (“nature or nurture”, natura o cultura, è una frequente espressione che si trova nella pubblicistica anglosassone). Per noi, in questo contesto, è sufficiente osservare che questi talenti non sono plausibilmente peculiarmente rari e che un contesto adeguato ne favorisce lo sviluppo. Per approfondimenti si veda, ad esempio: “Innate talents: Reality or myth?“, by Howe et al. (Behavioral and Brain Sciences, 21, 399-407,1998) o “Genetic and environmental influences on the phenotypic associations between intelligence, personality, and creative achievement in the arts and sciences”, by de Manzano & Ullén (Intelligence, 69, 122-133, 2018) e letteratura citata.
(7) “Innovation doesn’t just happen – it is designed by humans for humans”, tratto dal saggio “Canadian Innovation”, Angela Beausoleil (Università di Toronto) pubblicato in “The Conversation”.
(8) “While economists discuss new theories, scientists develop new technologies and industrialists exploit new markets, the process of innovation is first and foremost socially constructed. To navigate its complex and risky path requires courage and knowledge — courage to learn the recipe, and knowledge of the techniques”, stessa fonte precedente.
(9) “Scuola, ricerca, ed industria. Una connessione vitale”, di Stefano Covino ed incluso nel libro bianco curato dall’Associazione Piccole Industrie (API) di Lecco: “Per un domani chiamato industria” (2016).
(10) “The Role of School Improvement in Economic Development”, E.A. Hanushek & L. Woessmann (2007).
(11) “Economia della conoscenza, istituzioni e sviluppo economico”, D. Schilirò (2005).
(12) Effettivamente un tema a questo connesso, ma non completamente sovrapponibile, è quello della relazione virtuosa fra libertà economica, sviluppo e libertà politica. Si veda ad esempio l’intervento di N. Addario in questo volume. Noi qui però ci limitiamo a meccanismi di portata più ridotta, non necessariamente, anche se non lo escludiamo, in grado di influenzare la struttura politica di una società. Si veda ad esempio la capacità di innovazione, anche se ad onor del vero per lo più limitata agli ambiti di immediata applicazione militare, della scienza sovietica anche in presenza di una notevole limitazione delle libertà individuali.
(13) Alessandro de Angelis, nel suo recente “I 18 anni migliori della mia vita” (2021, Castelvecchi Editore), racconta il lungo periodo padovano di Galileo Galilei. Nel testo l’autore fa notare come l’efficiente sistema postale della Repubblica Veneta del tempo, capace di garantire trasmissione e ricezione di posta in gran parte d’Europa, ebbe un ruolo importante nel rendere Padova una sede universitaria di grande prestigio e nel facilitare l’attività di ricerca del grande scienziato.
(14) Un fenomeno storico non ignoto, ma spesso non adeguatamente enfatizzato, che possiamo richiamare a questo proposito è quello dell’esperienza del monachesimo occidentale cristiano ed il suo grande sviluppo dopo l’anno 1000. Non ci riferiamo qui, per ovvi motivi, all’esperienza religiosa in senso stretto ma più laicamente, sebbene i temi non siano in effetti del tutto slegati, alla creazione di una catena di strutture l’accesso alle quali, sia pure con vari limiti, non era limitato solo a persone di adeguato lignaggio. Queste strutture, i monasteri, si insediarono in un contesto sociale e culturale favorevole allo sviluppo di talenti di studio ed innovazione, questo anche in contrasto con i forti stereotipi popolari sugli anni del tardo medioevo, e prevedevano, de facto, un supporto economico per gli studiosi ai quali veniva offerto il necessario per potersi dedicare integralmente alle loro attività. Per approfondimenti su un tema innegabilmente complesso e dibattuto si veda, ad esempio “Sovrastruttura e struttura. Genesi dello sviluppo economico”, di R. Pezzimenti (2006, Città Nuova) o il classico “La civiltà dell’Occidente medievale”, di J. Le Goff (1964, Einaudi).
(15) Si veda ad esempio il saggio: “Arte come identità – Una questione italiana”. Di L. Pratesi, S. Ciglia e C. Pirozzi (Castelvecchi Editore, 2015).
(16) Come già accennato in precedenza, la relazione fra ricerca scientifica e sviluppo economico è strettissima. E questo vale anche per la vera e propria ricerca di base che, talvolta, ed ingenuamente, può essere idealizzata come ricerca “pura” e incondizionata, in contrasto alla ricerca “applicata” visualizzata come compromessa con le logiche del profitto e del mercato. A proposito dell’importanza economica della ricerca e quindi dell’innovazione segnalo anche il saggio di Sergio Ferrari “Società ed Economia della conoscenza” (Mnamon, 2014).
(17) In effetti analizzare come la figura dello scienziato sia tratteggiata nella letteratura è un superbo argomento di ricerca filologica e sociologica. Segnalo qui l’interessante “Formula e Metafora”, a cura di M. Castellari (Ledizioni, 2018), liberamente scaricabile come ebook al sito dell’editore: http://www.ledizioni.it.
(18) Ogni anno la prestigiosa rivista Nature pubblica un indice in cui viene presentato in maniera sintetica l’impatto delle pubblicazioni scientifiche in un dato settore. Il nostro paese, pur in presenza di una percentuale del PIL dedicata a ricerca ed innovazione limitata rispetto ai principali competitori, è sempre stabilmente nelle migliori posizioni (https://www.natureindex.com/news-blog/these-ten-countries-are-the-worlds-best-in-physical-sciences-research). Per uno studio interessante sugli investimenti in ricerca ed innovazione in Italia rispetto ai principali paesi in questo settore si veda questo documento: https://www.openpolis.it/wp-content/uploads/2020/04/Report-ricerca-e-sviluppo.pdf.
(19) Per approfondire la vicenda umana e professionale di Enrico Fermi abbiamo a disposizione un’ampia letteratura. Di particolare interesse segnaliamo: “Enrico Fermi: l’ultimo uomo che sapeva tutto”, di D. N. Schwartz (2018, Solferino).
(20) Anche sui “ragazzi di via Panisperna” c’è una letteratura estremamente ampia, segnaliamo, ad esempio, “La banda di via Panisperna”, di G. Colangelo e M. Temporelli (2013, Hoepli).
(21) Ci si riferisce qui naturalmente al filosofo idealista Giovanni Gentile (1875-1944) che elaborò, da Ministro della Pubblica Istruzione del governo Mussolini, insieme a Giuseppe Lombardo Radice (1879-1938), una fondamentale riforma scolastica che, nelle sue linee essenziali, rimase in vigore ben oltre la caduta del regime fascista.
(22) Ma segnalo volentieri al lettore questo eccellente saggio: “Benedetto Croce, la scienza e la scuola”, F. Vissani (1029), sulla storia dell’istruzione scientifica nella scuola dell’obbligo nel nostro Paese (https://drive.google.com/file/d/1EeIo6KPMN2mpTEnIubDzd_ouYikMnAZv/view).
(23) Si veda ad esempio il saggio “Tutti a scuola!”, di M. Galfrè (2017, Carocci).
(24) F. Vissani nell’opera già citata in queste note riporta il caso dell’Istituto Tecnico O.G. Costa di Lecce che era dotato di un formidabile laboratorio di fisica nei primi anni del ‘900.
(25) I primi decenni del ‘900 sono stati definiti, con qualche ragione, gli anni d’oro della fisica moderna. La combinazione dello sviluppo tecnologico che permise di condurre esperimenti chiave per mettere in evidenza limiti importanti della descrizione fisica del tempo, e di sviluppi concettuali portarono, in pochi anni, alla formulazione della teoria della relatività e della meccanica quantistica. I due pilastri che ancora oggi costituiscono la base della nostra descrizione della natura. Per chi volesse approfondire quel periodo così ricco di scoperte fondamentali segnalo il divertente e qualitativamente rilevante: “La fisica del diavolo: Maxwell, Schrödinger, Einstein e i paradossi del mondo”, di J. Al-Khalili (2012, Bollati Boringhieri).
(26) Anche questa vicenda si presta ad approfondimenti di pregio. Segnalo, ad esempio “Il genio e il gentiluomo”, di F. Toscano (2004, Sironi).
(27) Come già accennato, esiste in effetti una relazione diretta fra imprenditoria innovativa e necessità di competenze avanzate. Esattamente come, ci torneremo in conclusione di questo saggio, quando questa spinta innovativa si esaurisce viene anche meno l’attenzione e spesso addirittura si mette in discussione il ruolo e la centralità dell’istruzione e formazione di alto livello (ad esempio il già citato “Per un domani chiamato industria”, 2016, di S. Covino).
(28) Il lettore è probabilmente al corrente che l’uso del PIL come indicatore dello stato di salute di un’economia è talvolta sottoposto a critica in quanto ritenuto indicatore non affidabile sulla base di varie considerazioni. Sebbene il dibattito non sia privo di interesse, esso esula ampiamente dai nostri scopi. Per chi volesse approfondire, la pagina wikipedia sul cosiddetto “Human Development Index”, HDI, o Indice di Sviluppo Umano, è di sicuro interesse: https://it.wikipedia.org/wiki/Indice_di_sviluppo_umano.
(29) Si tratta di una referenza un po’ datata ma sempre interessante: “Breve storia della grande industria in Italia 1861-1961”, di R. Romeo (1988, Mondadori). Il testo è anche liberamente scaricabile in formato elettronico al sito: http://www.unite.it/UniTE/Engine/RAServeFile.php/f/File_Prof/IUSO_592/L_italia_dall_800_al_900.pdf.
(30) Esiste una sconfinata letteratura a commento di queste vicende e riguardo all’errore sostanziale dell’imporre carichi umilianti e, in pratica, pressoché impossibili da soddisfare agli sconfitti. Su questo tema ancora di grande attualità, ed ancora facilmente reperibile, è il testo del 1929 del grande economista J.M. Keynes “Le conseguenze economiche della pace” (2016, Adelphi).
(31) Un ruolo chiave fu giocato, ad esempio da Luigi Mangiagalli (1850-1928), medico, sindaco di Milano, fra i fondatori dell’Istituto Tumori milanese e poi anche rettore dell’Università degli Studi.
(32) Oggi naturalmente, Osservatorio Astronomico di Brera (http://www.brera.inaf.it/), parte dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF).
(33) Per chi volesse conoscere in qualche maggiore dettaglio la vicenda può leggere una ricostruzione dell’autore di queste note: http://mitescienza.blogspot.com/2016/05/in-conto-danni-di-guerra.html.
(34) Il confronto con le ambizioni odierne del nostro Paese, o almeno di molte sue componenti, è in questo senso abbastanza istruttivo e, purtroppo, sconcertante.
(35) La Repubblica di Venezia smette di esistere come entità indipendente nel 1797 in seguito alla campagna d’Italia di Napoleone Bonaparte. La nascita viene celebrata, come sempre in questi casi al confine fra storia e mito, nel 697.
(36) Non è certamente un argomento che possa valere una piena analisi storiografica, ma il famoso monologo di Shylock, l’usuraio ebreo ne “Il mercante di Venezia”, di William Shakespeare, dove il pur reietto personaggio compie un’appassionata difesa dei diritti e sentimenti suoi e degli altri ebrei veneziani, è davvero suggestivo. E crediamo che non sia un caso che il bardo abbia ambientato la sua opera ed i suoi personaggi appunto a Venezia.
(37) Per quel che valgono gli aneddoti, è noto come Albrecht Dürer sosteneva di sentirsi considerato a casa un parassita ed a Venezia un apprezzato gentiluomo.
(38) Senza voler per questo costruire un’immagine idilliaca tutto sommato anti-storica, un altro aspetto però degno di nota della realtà culturale della “Serenissima” era la netta separazione fra potere spirituale e temporale. La fede cattolica era diffusa e profondamente condivisa sia nelle fasce sociali più semplici come in quelle elevate, era il reale collante di quella società cosmopolita e variegata. E nonostante ciò il potere dei Dogi, con tutto l’apparato istituzionale, mantenne sempre una natura laica molto moderna separando nettamente i due ambiti.
(39) Ad esempio, la cosiddetta “guerra di Candia” (1645-1699) e, più tardi (1701-1714), la guerra di successione spagnola. Non ci interessano qui i dettagli di questi conflitti, ma il loro ruolo nello destabilizzare la rete di commerci veneziana in maniera progressivamente sempre più intensa.
(40) Per chi volesse approfondire segnaliamo il saggio “Storia di Venezia – Industria ed Artigianato” di S. Ciridiacomo (Treccani, 1996). Disponibile liberamente online al sito: https://www.treccani.it/enciclopedia/industria-e-artigianato_(Storia-di-Venezia).
(41) Per gli interessati segnaliamo il recente: “Le ville venete”, di A. Palladio e S. Zuffi (Abscondita, 2020).
(42) Qui l’elenco sarebbe ampio. Andiamo da scenari a volte anti-industriali se non esplicitamente anti-modernisti, ma anche, e non meno sottilmente insidiosi, a ideali di disimpegno come appagati da un benessere ormai raggiunto e visto come definitivamente acquisito.
(43) Piero Calamandrei (1889-1956) fu giurista a politico noto (anche) per l’attenzione al valore centrale della scuola ben oltre il ruolo specifico di trasmissione delle competenze. Si veda, ad esempio, il testo del famoso discorso per il III Congresso dell’Associazione a difesa della scuola nazionale, Roma, 11 febbraio 1950.
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