
02 Gen La Brexit è cosa fatta. Ma la Scozia rivuole l’Europa
di Rosario Sapienza
Che la Brexit non sarebbe stata una cosa semplice da gestire nemmeno per il governo del Regno Unito era già noto. Tra i non pochi problemi che essa ha generato o acuito, c’è ad esempio quello delle posizioni pro Unione europea degli Scozzesi.
E infatti, puntualmente direi, in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera del 2 gennaio 2021, Nicola Sturgeon, primo ministro scozzese e leader dello Scottish National Party ribadisce la volontà della maggioranza degli scozzesi di rimanere membri dell’Unione europea, anche distaccandosi dal Regno Unito. Lo dice proprio chiaro e tondo.
È vero che sul tema dell’indipendenza della Scozia si è tenuto già un referendum nell’autunno del 2014, che però non fu vinto dagli indipendentisti e causò le dimissioni dell’allora leader dello Scottish National Party, Alex Salmond, cui succedette appunto la Sturgeon. Successivamente, però, al referendum sulla Brexit, il 62% degli scozzesi votò per il remain nell’Unione europea.
Ora, il ragionamento è questo: nel 2014, gli Scozzesi (il 55% di loro per la verità) votò per restare nel Regno Unito che faceva però parte dell’Unione europea. Ora che il Regno Unito non è più un membro dell’Unione, un referendum sulla indipendenza scozzese potrebbe dare esito differente.
Gli scozzesi si sono sempre pensati come distinti dagli inglesi. La storia dei rapporti reciproci lo mostra chiaramente e anche adesso la Scozia gode già in verità di una notevole autonomia nell’organizzazione costituzionale del Regno Unito.
Ma il tema dell’autonomia scozzese, pur avendo solide radici risalenti nel tempo, è diventato attuale solo da qualche tempo. Le prime elezioni per il Parlamento Scozzese si sono infatti tenute solo nel 1999, benché, come qualcuno ricorda, gli Scozzesi abbiano avuto un loro parlamento fino al 1707, anno dell’Act of Union.
Solo che questo attuale parlamento non è la reviviscenza di quello originario, ma il frutto di una devoluzione di poteri da parte del Regno Unito (in seguito a un referendum sulla devoluzione di poteri del 1997).
La rivendicazione dell’autonomia della Scozia all’interno del Regno Unito, che ha indubbiamente ricevuto grande impulso dalla scoperta negli anni settanta di importanti giacimenti petroliferi al largo delle sue coste, è dunque una vicenda relativamente recente.
Poi c’è il problema rappresentato dalla necessità di un assenso da parte del governo del Regno Unito.
L’intero dossier della indipendenza scozzese venne gestito con un certo imbarazzo da Downing Street quando lì risiedeva Cameron. Johnson ha invece piuttosto nettamente chiarito che non darà mai l’autorizzazione a un secondo referendum. E si capisce pure perché, dato che anche l’Irlanda del Nord sente forte l’attrazione dell’Irlanda e dell’Unione europea.
La partita è dunque appena ricominciata e certo con le elezioni a maggio 2021, è del tutto naturale che lo Scottish National Party si collochi su posizioni radicalmente antilondinesi.
Certo le rivendicazioni scozzesi evocano temi cari all’ideale europeista e potrebbero incontrare un qualche sostegno in Europa. Il tema della Europa delle Regioni, come propugnata da Denis de Rougemont e dell’autodeterminazione dei popoli anche al di là degli attuali assetti costituzionali trova ancora non pochi sostenitori.
Ma non nei governi dei Paesi europei. A parte i problemi di Londra con Scozia e Irlanda del Nord, ci sarebbero, a tacer d’altro, quelli di Madrid con Catalogna e Paesi Baschi.
Difficile dire dunque come andrà a finire. Ma sarà una partita interessante.
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