La controriforma sovranista dell'articolo 81 porterebbe l'Italia fuori dall'Europa - Fondazione PER
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La controriforma sovranista dell’articolo 81 porterebbe l’Italia fuori dall’Europa

di Federico Bonomi

 

La controriforma dell’Articolo 81 della Costituzione e l’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea

 

Il 25 marzo scorso, i deputati membri della commissione bilancio Claudio Borghi e affari europei Molinari hanno presentato una proposta di legge costituzionale volta a modificare gli articoli 81, 97 e 119 della Costituzione.

 

La proposta Borghi-Molinari

La proposta di riforma interviene su due punti molto specifici delle norme costituzionali, ossia il principio di equilibrio dei bilanci pubblici e il riferimento all’ordinamento dell’Unione Europea.

1- Dell’articolo 81 rimuove ogni riferimento all’equilibro dei conti pubblici al netto del ciclo economico, abrogando il primo, il secondo e il quarto comma.

2- Dell’articolo 97 rimuove il primo comma, che dispone che: “le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico”.

3- Per quanto riguarda l’art. 119, sopprime dal primo comma le parole “nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea” e dal secondo comma le parole “con la contestuale definizione di piani di ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l’equilibrio di bilancio”.

4- Infine, la legge abroga l’articolo 5 della legge costituzionale 1/2012, che disciplina il monitoraggio degli andamenti di finanza pubblica e la prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici per il complesso delle pubbliche amministrazioni, e la legge 243/2012, che definisce i dettagli dell’attuazione del principio di equilibrio di bilancio, investendo tutta la pubblica amministrazione, inclusi gli enti locali, e istituisce l’Ufficio Parlamentare di Bilancio.

 

La storia del Fiscal Compact

Per capire la portata di questa riforma costituzionale, occorre avere ben chiaro il contesto storico in cui queste modifiche sono state introdotte, di cui chi scrive si è occupato in dettaglio nel proprio lavoro di ricerca. La riforma costituzionale Borghi – Molinari punta infatti a reintrodurre l’articolato costituzionale antecedente le riforme dell’Unione europea avvenute tra 2010 e 2012.

Con la crisi del 2008, l’assetto delle regole fiscali dell’Unione europea, ossia i parametri di deficit e debito di Maastricht e i vincoli del Patto di Stabilità e Crescita (introdotto per garantire il rispetto di tali parametri da parte di tutti gli stati membri), fu messo in crisi e necessità di una riforma profonda.

La crisi infatti fece esplodere gli spread tra i titoli di stato dei paesi più vulnerabili, tra cui l’Italia, innalzando i tassi d’interesse dei loro titoli di stato e aumentando di conseguenza deficit e debiti pubblici. Questa situazione, sommata alla crisi di fiducia che si generò tra gli stati, in particolare dei paesi virtuosi nordici verso i mediterranei, rese necessario inserire maggiori vincoli sulle finanze pubbliche a livello degli stati membri.

Il Patto Euro Plus e il Trattato sulla Stabilità, il Coordinamento e la Governance, più noto come Fiscal Compact, furono le pietre miliari di questa fase, nella misura in cui richiesero agli stati di inserire nei propri ordinamenti giuridici, preferibilmente a livello costituzionale, il principio di equilibrio dei conti pubblici. La ratio di vincolare gli stati membri ai livelli più alti delle loro gerarchie delle fonti, in assenza di un Leviatano europeo che potesse imporre la disciplina su tutte le finanze pubbliche nazionali, fu quella di rendere i vincoli comuni più effettivi, ristabilire la fiducia tra i paesi e consentire la creazione di strumenti di condivisione dei rischi quali il Meccanismo Europeo di Stabilità.

Nel luglio 2011, su impulso delle conclusioni del Patto Euro Plus, l’Italia avvia la discussione sulla modifica costituzionale e diverse proposte di riforma, volte a introdurre una regola sul debito e sul deficit in costituzione, vengono proposte dal parlamento e dal governo Berlusconi IV.

Il Fiscal Compact venne stipulato il 2 marzo 2012, quando il parlamento aveva già approvato in prima lettura con larghissima maggioranza una proposta di riforma costituzionale unitaria sintesi di tutte le proposte di legge presentate. La stipula del Fiscal Compact, avvenuta sotto il governo Monti, non fu attraversata da polemiche relative al vincolo costituzionale, in quanto l’Italia era già in fase avanzata di approvazione di questa misura. La riforma modifica dunque il testo costituzionale inserendo il principio di equilibrio dei conti pubblici, modificando gli artt. 81, 97, 117 e 119, e richiamando le disposizioni dell’Unione europea in materia di finanza pubblica.

 

Una controriforma antieuropea

La riforma costituzionale Borghi – Molinari rimuove questi principi e riporta il testo costituzionale allo status quo ante la riforma del 2012. Per questa ragione si tratta a tutti gli effetti di una controriforma, senza voler rimandare nell’immaginario alla Riforma cattolica del XVI secolo.

Il riferimento all’Unione europea nella costituzione resterebbe esclusivamente nell’art. 117, che affida allo stato la competenza esclusiva delle proprie relazioni con l’UE, abrogando ogni riferimento alle comuni regole fiscali.

L’abrogazione dell’art. 5 della legge costituzionale 1/2012 e della legge 243/2012 consentirebbe inoltre al parlamento di smantellare l’Ufficio Parlamentare di Bilancio qualora risultasse un interlocutore scomodo nell’esercizio delle sue funzioni.

 

I rischi per l’Italia

Le conseguenze di questo atto sarebbero di duplice natura, riguardanti l’Italia in quanto tale e il rapporto tra Italia e Unione europea.

1-Per quanto riguarda l’Italia in quanto tale, la controriforma costituzionale segnalerebbe ai mercati il disimpegno del paese verso il mantenimento di una finanza pubblica sostenibile. Ciò provocherebbe un immediato e irreversibile aumento dei tassi d’interesse, mettendo a dura prova la tenuta del debito pubblico e rendendo verosimile una sua ristrutturazione, a danno dei detentori del debito stesso.

2-Per quanto riguarda il rapporto con l’UE, questo passaggio segnerebbe la fine di ogni rivendicazione italiana per strumenti di condivisione dei rischi, quali in questo periodo sono stati il recovery fund e l’alleggerimento delle condizionalità del MES. Il fatto costituirebbe inoltre una violazione del Fiscal Compact, aprendo a una lunga serie di contenziosi, fino alla sanzione. Tutti questi elementi sarebbero prodromi all’uscita dell’Italia dall’eurozona e dalla stessa Unione europea, presupponendo che non sia possibile uscire dalla prima senza uscire anche dalla seconda.

 

Apriamo una discussione positiva sul federalismo fiscale europeo

Nonostante con tutta probabilità la controriforma Claudio Borghi – Molinari non vedrà mai la luce, anche solo avviare una discussione parlamentare sull’argomento, in un momento così delicato dei negoziati europei, non farà altro che indebolire la posizione negoziale dell’Italia nei negoziati intergovernativi.

Per questo sarebbe molto preferibile, se proprio la classe politica vuole ripensare radicalmente il funzionamento dell’Unione Economica e Monetaria, avviare una discussione propositiva sul federalismo fiscale europeo, ossia su come potenziare le risorse europee (che siano dell’Unione o dell’eurozona) in modo sufficientemente elevato da consentire un rilassamento della disciplina di bilancio a livello degli stati membri. Si tratta senza dubbio di una prospettiva più seria e non meno probabile dell’uscita dell’Italia dalla moneta unica e soprattutto largamente preferibile per chi si dichiara riformista, progressista ed europeista.

Federico Bonomi
bonomi@per.it

Si occupa di studi europei con particolare interesse verso la governance dell'Unione Economica e Monetaria europea. Laureato a Pavia in Scienze Politiche, è stato allievo del Collegio Ghislieri e dello IUSS. Laureando in European Politics and Society presso il St. Antony’s College di Oxford. Fa parte del Think Tank Agenda dal 2018.

1 Comment
  • Enrico Morando
    Pubblicato il 20:20h, 24 Maggio Rispondi

    Ottimo intervento. Ti ringrazio , perché mi hai segnalato una novità di enorme significato politico. Dalla fine di Marzo ad oggi il cosiddetto “dibattito politico” italiano si è concentrato su questioni irrilevanti, mentre il principale partito italiano proponeva formalmente di uscire dall’Unione e dall’euro. Enrico morando

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