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La maternità surrogata. Le ragioni di un no

di Emma Fattorini

 

Nella parte conclusiva della sua Modernità liquida, (Laterza 2011, pp.214-216,) Zygmunt Bauman parla del “corpo come ultimo rifugio e santuario di continuità e durata… l’ultima trincea dell’incolumità, una trincea esposta a un continuo bombardamento nemico o ultima oasi tra sabbie mobili spazzate dal vento”.

 

Noi siamo il nostro corpo

Oltre e dentro la rassicurante comunità il corpo sarebbe insomma ” isola d’intima e confortevole tranquillità in un mare di turbolenza e inospitalità… il corpo è diventato l’ultimo rifugio e santuario di continuità e durata…Da qui la rabbiosa, ossessiva, febbrile e nervosa preoccupazione per la difesa del corpo … il confine tra il corpo e il mondo esterno è una delle frontiere maggiormente vigilate. Gli orifizi corporei (i punti di ingresso) e le superfici corporee (i punti di contatto) sono oggi i principali focolai di terrore e di ansia generati dalla consapevolezza della mortalità, nonchè forse gli unici”.

Mi ha fatto riflettere rileggere queste frasi nei giorni in cui impazza la paura del coronavirus e mentre scrivo a proposito di maternità surrogata.

Il corpo sacralizzato come un santuario che custodisce un individuo-monade dentro una comunità-chiusa: è in questa serie di matriosche che si custodirebbe il simulacro di quella sicurezza identitaria che la liquidità spazza via. E due sono le associazioni che mi sorgono circa la GPA: quanto deve essere potente e irrefrenabile il desiderio di un figlio se si è disposti ad infrangere, pur di ottenerlo, questa sacralità corporea assemblando pezzi e materie genetiche, ovuli, sperma, uteri diversi ancorché controllati e perfetti nei committenti più ricchi che possono avvalersi delle migliori garanzie offerte dal mercato o dalla “generosità” di chi li vuole donare. Potenza del mercato quando si sposa alla potenza del desiderio (di chi se lo può permettere).

E la seconda associazione riguarda proprio il tanto declamato sentimento di generosità: quanto dovrebbe essere grande, quale insondabile gratuità si nasconderebbe dietro l’idea di “regalare” addirittura un corpo, una vita.

Perché è sulla generosità che si concentra l’argomentazione, quella inconsapevolmente più subdola, dei difensori della maternità surrogata nei confronti di chi la osteggia e per questo è accusato di essere arcigno, arretrato, egoista e illiberale perché non coglierebbe la grandezza di simile “trascendenza” del corpo. Di tale senso di generosità e altruismo.

Insomma per dirla semplicemente: è vero che non tutte le situazioni sono uguali, che c’è una differenza tra le madri surrogate, sfruttate nei paesi poveri, e le donne californiane o canadesi che magari “prestano”, “affittano” il proprio utero per arrotondare lo stipendio ma resta sempre il punto irrinunciabile e cioè che il corpo e la vita non solo non sono una merce che si compra o si vende ma neppure che si scambia o che si dona, tanto più quando in gioco ci sono la maternità e un figlio che viene al mondo. Questo è un principio fondativo dell’umanesimo e il fatto che sia stato trasgredito nella storia antica o recente non è una argomentazione per essere più indulgenti.

Perché noi siamo il nostro corpo. Il corpo non è autonomo da noi. E nelle donne questo è particolarmente evidente.

Nella cultura giudaico-cristiana che ha “superato” quella greco-platonica il corpo non va per conto suo, non è separato dall’anima o dalla mente. Solo un estenuato spiritualismo o un banale materialismo potrebbero affermarlo. Cristo che si incarna in una donna – ”nato da donna” dirà S.Paolo – risorgerà nel e con il corpo.

Certo non è questo il riferimento della nostra cultura moderna, ci sono la tecnica, la sperimentazione, la libertà, ma le nostre radici stanno lì, la nostra civiltà riposa lì. Per dirla in termini urticanti.

Anche se a partire da una lettura che vede, all’opposto, nella religione l’origine della neo-spiritualizzazione e idealizzazione del corpo Sylviane Agacinski giunge alla stessa conclusione: “La speranza di liberarsi della carne non è tuttavia sparita. Si è spostata e si è rivolta verso la sola potenza alla quale noi Moderni crediamo: la potenza tecno-scientifica”. Nel suo recente, interessante pamphlet, S. Agacinski attribuisce alla Genesi e alla tradizione cristiana l’origine della spiritualizzazione del corpo – mentre a mio parere è l’esatto contrario -, il fatto di partire da presupposti così diversi e di giungere a conclusioni del tutto simili mi rafforza ancora di più nell’idea di come spesso da appartenenze culturali e religiose nonché politiche anche tanto diverse si giunga ad una comune valutazione negativa circa la pratica della maternità surrogata (L’uomo disincarnato. Dal corpo carnale al corpo fabbricato, prefazione di Francesca Izzo, Neri Pozza 2020 p.28

Attraverso il concetto di psicosessualità Freud mette in primo piano la stretta relazione tra mente e corpo: in particolare del lavoro che la psiche deve fare in virtù  dei suoi legami con il corpo. “La prima mette, le radici nel secondo. Il corpo, luogo di nascita della mente, è anche il suo limite… La stessa medicina psicosomatica attuale considera corpo e mente come due categorie del medesimo organismo e presta attenzione  ai due sistemi, psichico e fisico,  che da vertici diversi possono esprimere la medesima problematica. Il riconoscimento che la patologia si esprime attraverso il corpo a livello non-simbolico, ma in modo specifico e organizzato, significa accettare che il disturbo somatico esprime un disagio che è frutto di una complessa trama di esperienze che riguardano la persona  nel suo complesso e nel suo rapporto con ‘interno e con l’esterno (cfr.P.Marion in Il disagio del desiderio. Sessualità e procreazione nel tempo delle biotecnologie. Donzelli, 2017). (pp.11-15/45-60 e pp. 103-104)

I trapianti rappresentano un buon esempio di come lavorano il livello mentale e quello corporeo. L’esperienza di alterazione dei confini personali è ben nota a chi ha studiato le conseguenze psicologiche dei trapianti che ovviamente è ben altra cosa che contenere la crescita di un figlio che poi non sarà “tuo”, ma ci consente di riflettere di quanto potenti siano sulla mente le fantasie e le proiezioni che avvengono persino in presenza di scambi di organi. “L’integrazione del nuovo organo comporta, infatti, delicati problemi collegati alla ridefinizione del Sé, al timore di cambiamenti fisiologici incontrollabili e di perdita di integrità   della propri persona (…). L’integrazione intrapsichica del nuovo organo si accompagna a un processo di assunzione delle caratteristiche del donatore, processo che rimane per lo più inconscio (…). In definitiva possiamo dire che  le difficoltà e imprevedibilità legate al lavoro  di integrazione riguardano le fantasie relative al donatore: l’organo impiantato non è solo un oggetto meccanico,  ma un  “pezzo” di un’altra persona che diventa parte di noi e che dobbiamo integrare nel nostro vissuto personale (P.Marion, Siamo davvero alle “invasioni barbariche”? In tema di fecondazione assistita. “ItalianiEuropei”, 1/2004, pp. 189-197).

 

E del resto, infatti, si sono moltiplicate negli ultimi anni gli studi che evidenziano gli effetti di questa crescente separazione tra mente e corpo: la crescente fragilità individuale “non focalizzata ad una sintomatologia specifica… si è inserita in un quadro complessivo di personalità che evidenzia deficit di simbolizzazione, prevalenza dell’agire sul pensare, dominio del corpo e della realtà concreta o, per converso, predominio della mente …con corrispondente slegamento delle pulsioni distruttive…” G. Mariotti, in G. Mariotti, N. Fina Il disagio dell’inciviltà. La psicoanalisi di fronte ai nuovi scenari sociali. Mimesis p.23.

E come ci ricorda N. Fina, le conseguenze di tale fragilità per simili dissociazioni sono pesantissime sul piano sociale, che non ha più compensazioni riparative, e muta profondamente anche la richiesta e la natura del ricorso alla terapia psicoanalitica. “Questa dimensione sostanzialmente privata delle relazioni transpersonali porta con sé caratteristiche di urgenza, di assenza riflessiva e di alienazione della soggettività umana. Ciò rende la richiesta di aiuto altrettanto urgente e assoluta, espressione di una modalità di essere e di pensare condizionate dal bisogno di raggiungere uno stato di quiete interna, di silenzio emotivo, di anestesia psichica” Ibidem p.114.

 

Il desiderio di un figlio non può mai essere un diritto

Le posizioni in campo, che dividono soprattutto il fronte femminile-femminista, sono, molto schematicamente, tra chi rifiuta la Gpa solo se viene praticata a fini commerciali, mentre la ammette e la ritiene espressione di libertà femminile qualora sia a fini solidaristici, la cosi detta Gpa come dono, e chi, al contrario, la ritiene inaccettabile comunque, anche nel caso sia gratuita e fatta come dono. Casi peraltro rarissimi. Questo viene rivendicato in nome della libertà femminile esercitata nella scelta della procreazione e nell’aborto: per la possibilità traslata del possesso sul proprio utero. La mentalità ricorrente al riguardo si potrebbe cosi sintetizzare, secondo espressioni che abbiamo sentito ormai da anni: ”io non lo farei mai, non vorrei che mia figlia lo facesse, ma non ho nessun diritto di vietarla se una donna adulta, in condizioni di non necessità economica ritiene di aiutare un’altra donna che non ha l’utero o una coppia gay, o semplicemente arrotondare il suo bilancio.“ Insomma la libertà del soggetto e la legittimazione del desiderio altrui, ancorchè fondato e doloroso come nel caso della coppia sterile, può e deve diventare diritto.

E però i desideri, anche quando sono legittimi non sono mai un diritto.

il diritto alla felicità non viene interpretato come nella Costituzione americana, il cercare di creare le condizioni per ma viene rivendicato alla lettera: quanto volte ho sentito:“ la nostra politica rivendica il diritto di essere felici” e non a livello simbolico, come aspirazione ma appunto letteralmente. E così un individuo fragile investe la politica, ancora più fragile, di richieste sempre impossibili e sproporzionate.

Sarebbe importante, al riguardo, riflettere sulla distinzione tra bisogno e desiderio che alimenta fantasie e ossessioni “del figlio a tutti i costi”. Penso a quanto diceva Winnicott sul bisogno come riflesso compulsivo del desiderio, frutto invece di maggiore consapevolezza della scelta, per concludere che neanche di desiderio si tratterebbe. Ma sarebbe un discorso lungo.

La surroga non può ritenersi una sorta di tecnica riproduttiva eterologa in caso di sterilità (l’utero, ben più degli altri “pezzi genetici di ricambio” necessari alla riproduzione, implica, per definizione, una relazione), così come non può essere assimilabile alla donazione degli organi (l’utero non è un rene, esiste per contenere un’altra vita, e non ha altra funzione se non quella).

Questa pratica negherebbe la relazione mente-corpo, alla base del rapporto madre-bambino. Lo “spezzettamento” della maternità di tanti segmenti, pezzi diversi, l’ovulo, l’ovocita, l’utero riducono la maternità a un processo meramente biologico. La gravidanza si ridurrebbe alla sua sola funzione biologica come se non esistesse una relazionalità della vita intrauterina. Come se si potesse infrangere quell’unità tra mente e corpo che è stata una delle più grandi scoperte della soggettività novecentesca. E che ha, nel rapporto tra madre e feto, un’indistricabile interdipendenza di emozioni, di scambi chimico-biologici, di significati simbolici. Scoperte non “ideologiche” o tanto meno confessionali ma della migliore scienza del secolo scorso. E del resto infatti la critica “scientifica” che viene mossa a chi critica questa pratica è di essere ancorata a una cultura tardo freudiana, datata, e del tutto superata. Mentre invece sono queste le argomentazioni tardo-scientiste in quanto negano le interrelazioni tra bambino e gestante, che non riguardano solo scambi genetici ma anche sedimentazioni di natura epigenetica: le infinite correlazioni madre-bambino lasciano degli effetti di tipo epigenetico.

Certo c’è una grande differenza tra il modo con cui avvengono queste pratiche ma sottoporre la maternità a un “contratto” mina la libertà femminile e la libertà del nascituro alla radice, ed è un vero passo indietro a tempi passati, è tornare al baliatico o alle serve che partorivano per conto dei loro padroni. O come, viene citato spesso, ad alcune figure dell’Antico Testamento dimenticando che una non piccola rottura tra Vecchio e Nuovo Testamento sta proprio nel fatto che la dignità e la parità della donna abbia trovato la sua vera origine proprio a partire dal suo corpo. Mai mero contenitore.

Al di là di queste argomentazione che abbiamo qui del tutto sommariamente accennato, la questione centrale, quella vera, riguarda che cosa sia la maternità oggi, realizzazione spesso impossibile, per ragioni materiali o psicologiche e, insieme, ricercata ossessivamente, anche attraverso le tecniche più invasive e mortificanti.

Perché la maternità custodisce il cuore e l’essenza, di ciò che oggi è davvero profondamente in crisi e cioè la capacità di relazione, la fatica a relazionarsi per dare spazio all’altro nella libertà che nasce dal limite.

Se la cultura della sinistra italiana si vorrebbe fondata su un umanesimo comune, come dichiara di voler essere, dovrebbe stigmatizzare l’equiparazione della vita umana sia sotto forma di una “merce” sia sotto quella di un “dono”. Quando non avviene è perché si sposa una ragione tecnicista e globalista della maternità, anziché fondata sui princìpi fondativi dell’umanesimo.

Un’altra ragione penso sia un’idea molto superata di “diritto”, la paura di apparire “indietro” rispetto a una continua, indiscriminata e quantitativa richiesta di diritti. Una sorta di dirittismo che nasce anche dai ritardi che nella storia nazionale hanno avuto i diritti civili e individuali. Credo che la sinistra italiana invece di rincorrere in modo provinciale “conquiste” che società “più moderne” stanno peraltro via via abbandonando dovrebbe ritornare a un nuovo umanesimo di tipo generativo, in grado di ancorare le conquiste dei diritti umani non sui desideri dell’individualismo astratto e autoreferenziale ma sul personalismo relazionale. Non un diritto come desiderio ma una politica dei diritti civili inseriti in nuovi paradigmi del rapporto diritti-doveri. Quello dell’uso e dell’abuso dei diritti umani senza discernimento come sommatoria quantitativa, è divenuto una sorta di succedaneo per una cultura progressista e socialista sempre più orfana della sua ideologia novecentesca.

La vera libertà non si realizza nello spazio infinito del moltiplicarsi dei bisogni-desideri, ma si costruisce nel senso del limite, e della relazione con l’altro.

 

Un no trasversale

Il no alla maternità surrogata unisce credenti e atei, persone di sinistra e di destra, in un fronte trasversale sempre più largo.
Non attiene infatti a una scelta confessionale o partitica, ma scaturisce dal capire che questa pratica non solo non favorisce la libertà delle donne, ma ne è una pesantissima limitazione, così come priva i bambini, programmaticamente, di crescere in relazione con la propria madre biologica.

Semmai si riscontra una distinzione generazionale: le giovani sembrano maggiormente propense a sottovalutare le implicazioni psicologiche della relazione intrauterina, a considerare la libertà come valore superiore a una idea di limite, propense ad ascoltare l’onnipotenza del corpo che non i suoi segnali alla moderazione. Sono giovanissime le ragazze che si sottopongono alle cure ormonali per la vendita degli ovociti in America, sono giovani quelle che decidono di farsi congelare gli ovuli per programmare una maternità quando le condizioni esterne saranno più propizie.

Come affrontare il piano legislativo è il vero problema per arginare questa pratica. Non è però accettabile la trascrizione automatica degli atti di nascita dei bambini nati all’estero, divieto già sancito dalla legge 40, e spesso aggirato con sanatorie ad personam. Così come non si può restare indifferenti di fronte al proliferare in rete delle pubblicità di agenzie internazionali che espongono i cataloghi con i relativi tariffari. Nell’indifferenza generale.

Ma il punto è delicatissimo: quando il bambino ormai è nato, deve essere assolutamente tutelato come ogni altro bambino, questa è la cosa principale, che non si può toccare. E però non si può neanche trasgredire a una legge vigente. No quindi a posizioni ideologiche e ad estremismi da una parte o dall’altra, come invece accade tra chi pretenderebbe la trascrizione automatica degli atti di nascita e chi addirittura vorrebbe che si portasse via il bambino al genitore naturale. Ci sono tante realtà intermedie che la politica deve prendere in considerazione con umanità ma anche nel rispetto delle norme.

 

Pacatezza e ascolto

Più che un dibattito spesso è una corrida feroce, dalle due parti, e le personalizzazioni non aiutano. Il dibattito deve riprendere i princìpi fondamentali: la difesa del bambino e della donna, la non mercificazione dell’essere umano. E non può essere sganciato da una visione d’insieme di cosa significhi oggi la maternità e la filiazione, affrontare il problema della surrogata in sé è solo fonte di incomprensione quando non di divisione.

E poi occorre riaprire il tema delle adozioni, perché siano più adatte al mutare dei rapporti familiari e della maternità, meno condizionate da princìpi generali: sesso dei genitori, convivenze stabili, singoli, e poi il divario di età con il figlio adottivo che deve cambiare. E tanto altro ancora.

I media hanno grandi responsabilità, nell’alimentare la rissa tra posizioni, non inquadrano quasi mai la Gpa nel contesto dei valori detti finora. In Italia sembra che il bisogno di ideologizzare non abbia mai fine e che si ripresenti in continuazioni su ogni argomento: bisogna contestualizzare, definire e tornare all’esistenza concreta della persona, solo allora, forse, si possono trovare punti d’incontro. La discussione è in corso da tempo e in Italia non ha interessato molto il dibattito pubblico. Le differenze sono tante ed è normale che sia così ma nel nostro Paese diventano sempre occasioni di scontri furiosi: quando invece su questi temi, come quelli delicati della bioetica, si dovrebbe ricercare il consenso più largo possibile. E però ricercare il massimo della condivisione e continuare a indagare le tante sfaccettature di un problema che tutte sappiamo essere complicatissimo, non deve esimersi dall’esprimere, in ultimo, un giudizio, di avere una opinione ferma. Anzi i tempi sono maturi per posizioni chiare e nette, fuori da reticenze “terziste”.

A ridosso dell’approvazione della legge sulle unioni civili questo dibattito fu addirittura giudicato omofobo.

Dicemmo allora chiaramente di non volere prestare il fianco alle strumentalizzazioni di chi non voleva approvare la legge sulle unioni civili (che peraltro si approvarono e furono mantenute anche in regime salviniano proprio perché fu chiaro il rifiuto alla surrogata) e ribadimmo nettamente che il ricorso alla surrogata riguarda, nei grandi numeri, le coppie eterosessuali .

Ma, al contempo, per non indulgere nella ipocrisia della politica nostrana non si può negare che abbia una rilevanza del tutto speciale nel caso di unioni gay perché due uomini che vogliono un figlio “naturale” non hanno altra soluzione che ricorrere alla surrogata, diversamente che per una unione tra due donne. E, di nuovo, questo non attiene al giudizio sulla genitorialità delle coppie dello stesso sesso ma a come si arriva per ottenerla.

 

Nel resto del mondo

Sono pochissimi i Paesi in Europa che ammettono la Gpa e là dove era permessa come in Svezia c’è un ritorno indietro, mentre in Inghilterra si tende invece a estendere il permesso anche a single e coppie omosessuali.

Il resto del mondo si divide tra paesi in cui il mercato clandestino conosce punte di sfruttamento selvaggio (con veri e propri “allevamenti”), è il caso di molte regioni dell’India dove questo era tollerato e in parte regolamentato. Ora però l’India ha vietato la Gpa che resta invece lecita in Nepal. Ci sono poi alcuni paesi dell’est con un mercato fiorente, come l’Ucraina.

Ma i paesi modelli per contratti affidabili continuano ad essere la California e il Canada dove sotto la voce di “rimborso spese” si stabiliscono contratti con agenzie private legali che a cifre “di mercato”, orientativamente dai venticinquemila mila dollari in su, offrono un catalogo che consente di scegliere i tratti somatici e genetici del futuro bambino. Questi sono i paesi che danno più garanzie, in tutti i sensi, non ultimo per le stringenti clausole del contratto, tra le quali l’impossibilità da parte della madre di rescindere il contratto tenendo per sé il bambino, (e anche per questo occorre la certezza che la madre genetica, la fornitrice di ovuli sia un’altra), o la certezza che la salute del nascituro ( e della madre) vengano monitorata nei termini definiti da contratto, e , in caso di malformazioni il rifiuto di tenerlo o molte altre regole, dal tipo di alimentazione, di stile di vita, nonché le forme del distacco che vieta assolutamente l’allattamento ma obbliga a fornire il latte e molte altre.

Tra le condizioni della gestante c’è che abbia già avuto altri figli e che sia in condizioni “economiche buone” cioè che non siano mosse dal bisogno materiale confinante con la povertà , che siano insomma sufficientemente soddisfatte e in un buon equilibrio psico-fisico-economico. Uno status classico del ceto medio di paesi ricchi. Almeno fino ad ora.

 

*Emma Fattorini è professore ordinario di Storia contemporanea alla Sapienza Università di Roma. E’ esperta di storia della Chiesa.

 

Emma Fattorini
fattorini@per.eu

Professore ordinario di Storia contemporanea alla Sapienza Università di Roma. È esperta di storia della Chiesa.

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