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La personalizzazione della leadership e il futuro dei partiti politici

di Mara Morini

 

Gli scritti di Max Weber, “il classico dei classici”, possono fornire uno strumento metodologico, una chiave di lettura fondamentale, basata sull’approccio storico-comparato, per riflettere su alcuni processi di trasformazione sociale, politica ed economica che hanno determinato l’ascesa del leader nella competizione politica e nel processo decisionale.

In un saggio del 1916 Weber riconosce una pluralità di sfere di valori inconciliabili che si riflette nel dualismo tra l’etica dei principi (Gesinnungsethik) – anche tradotto come etica delle convinzioni o delle intenzioni – e l’etica della responsabilità (Verantwortungsethik). La prima si riferisce a principi assoluti, che inducono gli individui a prendere decisioni senza valutare le conseguenze delle azioni intraprese, tipici dell’etica del rivoluzionario, del religioso e del sindacalista. Si tratta di una convinzione umana, relativa al proprio schema valoriale, che influenza fortemente il pensiero e l’azione individuale.

Alla convinzione personale si contrappone la responsabilità civile-politica, basata su una valutazione razionale dell’agire in termini di mezzi/fini, che tiene conto delle conseguenze (prevedibili) delle proprie azioni. Questa distinzione concettuale presente nella teoria etica normativa distingue la razionalità etica da quella politica, delineando due modelli oppositivi dell’agire umano. Tuttavia Weber precisa che “l’etica della convinzione e quella della responsabilità non sono assolutamente antitetiche ma si completano a vicenda, e solo congiunte formano il vero uomo, quello che può avere la vocazione alla politica”.

Sulla base di questa distinzione è possibile conciliare la dimensione carismatica che impone l’obbedienza della persona a principi assoluti con la dimensione istituzionale che deve rendere conto delle proprie azioni? Quali sono le cause del passaggio dalla democrazia dei partiti alla democrazia del leader? Quali sono i prodromi dei processi di leaderizzazione della politica e l’avvento di movimenti e leader populisti?
Partire dal contributo euristico di Weber sul tema del capo carismatico e dell’etica dei principi, per rielaborarlo sulla base delle teorie e della ricerche empiriche della tradizione politologica, può dimostrare l’originalità e la contemporaneità delle categorie weberiane.

 

Dal capo carismatico alla democrazia del leader

Il capo carismatico emerge in una “situazione straordinaria” (una crisi economica, sociale, politica, culturale, un mutamento sociale o un’emergenza pubblica come un’epidemia, la disoccupazione, l’immigrazione) nella quale riesce ad ottenere la fiducia dei suoi seguaci che gli riconoscono “il dono della grazia”, doti straordinarie, uniche e fondamentali per risolvere la situazione in atto.
Il capo carismatico può, quindi, concentrarsi sulla missione da compiere attorno alla quale si crea una comunità o un movimento a sostegno che è indicatore della “dominazione carismatica” attraverso la quale si crea una dedizione personale nei suoi confronti, scaturita dalla convinzione delle doti possedute dal leader e dal gap fra le aspettative e la situazione reale di mutamento/crisi che le persone stanno affrontando e che producono sentimenti di incertezza come la paura, l’ansia, l’angoscia. Questo status psicologico costituisce la motivazione principale per affidarsi ad un leader carismatico, capace di diffondere speranza e far nascere un diffuso e rinnovato entusiasmo nella massa.

Il modello carismatico di Weber è ricco di ambivalenze perché può essere utilizzato come una categoria interpretativa di alcune forme di personalizzazione delle leadership contemporanee oppure una soluzione auspicabile e percorribile dinanzi all’esasperazione burocratica e alle tendenze disgregatrici della società che possono tradursi in forme di cesarismo legate alla democrazia plebiscitaria. Il processo carismatico weberiano ha consentito di individuare la presenza di nuovi elementi di natura emotiva e ideologica nel rapporto capo-masse. Da un lato, il leader può diventare colui al quale le masse si affidano con profonda fiducia; dall’altro, egli può incarnare agli occhi delle masse, idee e valori, oggetto di grande investimento emotivo da parte da parte delle stesse che rimandano ad una comune visione del mondo, giungendo a forme di venerazione del leader che può diventare un vero e proprio culto della personalità, come storicamente è avvenuto, per esempio, con Lenin, Hitler, Castro.

L’obbedienza è data dai seguaci solo ad un leader carismaticamente qualificato, che ha la consapevolezza di dover compiere una missione, considerata come un dovere interiore per risolvere una situazione di caos, percepita come un problema collettivo. Da questo obiettivo il capo carismatico trae la sua forza e la sua pretesa di dominio; esige di essere obbedito e seguito in virtù del suo scopo. Questa forza di attrazione esercitata dal capo su un seguito di massa appare evidente nella formazione di un gruppo assolutamente a lui devoto o, perfino, di un movimento che nel suo nome cerca di cambiare e introdurre radicali innovazioni nella società. Col tempo il leader cerca di consolidare il proprio potere all’interno del suo partito costituendo il proprio seguito o cerchia ristretta di fidati collaboratori (aristocrazia carismatica), soffocando il più possibile la libertà d’opinione di altri dirigenti dissenzienti e dimostrando la propria indispensabilità, basata sulla competenza, virtù oratoria, abbondanza di frasi ad effetto e aggressività risoluta; caratteristiche che lo rendono anche insostituibile seppur oggetto di “velenosi vapori oligarchici”.

Weber aveva definito il concetto di “democrazia con un leader” – in cui rientra anche il tipo della “democrazia plebisicitaria” – in riferimento alle democrazie del Regno Unito e degli Stati Uniti per delineare strumenti che potessero cogliere le caratteristiche e gli sviluppi di alcune democrazie occidentali verso quello che oggi nella letteratura politologica viene definito come il processo di presidenzializzazione della politica e dei partiti. Questo fenomeno che viene solitamente analizzato nella dimensione elettorale, nel potere dell’esecutivo e del partito si caratterizza per la quantità di risorse di potere politico e autonomia esercitate da leader individuali e la concomitante perdita di potere di attori collettivi come i gabinetti, il parlamento e i partiti politici.

L’autonomia nelle proprie funzioni deriva dalla legittimità acquistata nel processo elettorale dove il leader assume una posizione di rilievo che mette in secondo piano l’azione dei partiti politici. Gli elettori instaurano un rapporti di fiducia personale nei confronti del leader/candidato favorito, in tempi più recenti, anche dai mezzi di comunicazione e dai nuovi social media. Rivolgersi direttamente ai propri cittadini (going to public) attraverso il processo di disintermediazione ha indebolito sempre di più i partiti politici e favorito la personalizzazione della politica e, soprattutto, della leadership. Nella sfera dell’esecutivo la personalizzazione della leadership coincide con il concetto di presidenzializzazione ovvero una concentrazione delle funzioni di governo in una persona che richiama alla mente l’eroe carismatico o il principe democratico. Ma questa concentrazione di potere può avvenire anche come leader di un partito, dando vita all’etichetta di partito personale dove l’esistenza del partito è associata all’immagine del leader, che spesso è “l’imprenditore politico” e il titolare del nome e/o dei simboli.
La tendenza alla concentrazione del potere nelle mani dei leader di partito produce effetti rilevanti nelle sue funzioni istituzionali attraverso una centralizzazione e verticalizzazione del potere a favore di organi monocratici, specialmente nel rapporto tra partiti a livello locale e nazionale.

La leaderizzazione della politica costituisce ormai un fenomeno diffuso sia nelle democrazia consolidate sia nei paesi che stanno avviando o hanno affrontato un processo di democratizzazione, laddove il peso delle eredità del passato è difficilmente neutralizzabile e le nuove organizzazioni partitiche sono ancora deboli, orientate maggiormente alla competizione elettorale, alle istituzioni di natura carismatica.

 

Dalla democrazia dei partiti alla personalizzazione della politica

Come aveva già immaginato Weber nel 1922 i partiti sono diventati macchine al servizio del leader. A conferma di questa previsione vi sono presupposti legati alle profonde trasformazioni sociali, a partire dalla seconda metà del secolo scorso, che costituiscono l’esito della post-modernità e hanno accentuato l’individualismo. La personalizzazione della politica non sarebbe altro che il riflesso della personalizzazione della società.

Il partito di massa, analizzato dal punto di vista organizzativo anche da Weber, si afferma in un periodo storico in cui il processo di formazione dello Stato e la rivoluzione industriale determinano la formazione di conflitti sociali (cleavages) su cui si plasmano i programmi politici e le ideologie dei partiti. Le sue caratteristiche strutturali sono costituite dalla formazione di sezioni, milizie e cellule nelle quali ricopre un ruolo importante la figura del militante del partito che costituisce la principale fonte di finanziamento del partito e di mobilitazione durante le campagne elettorali. Il ricorso ad un’ideologia specifica è volto ad incentivare un senso di solidarietà collettiva, di condivisione di un progetto politico che rafforza il rapporto di appartenenza tra iscritti/elettori e partito attraverso l’identificazione con l’etichetta/il simbolo e l’ideologia.

Contestualmente alla presenza dei partiti di massa, come ha rilevato Stein Rokkan, si verifica un “congelamento” del comportamento elettorale in Europa che negli anni Sessanta del Novecento rispecchia la medesima configurazione dei sistemi partitici degli anni Venti, rafforzando l’ipotesi di un perdurante senso di appartenenza che induce una quota fissa di elettori a votare sempre per il medesimo partito. Con l’espressione di nuovi valori post-materialistici il partito di massa avvia un processo di trasformazione organizzativa e, soprattutto, una deideologizzazione necessaria per ampliare il bacino elettorale, basato anche sul voto di opinione, che determinano la nascita del partito pigliatutti privilegiando l’arena elettorale quale locus entro cui avviene la selezione dei candidati, avvalendosi anche di nuovi strumenti come i mezzi di comunicazione di massa. Al contempo si producono modifiche nel rapporto all’interno del partito attraverso un maggior ruolo dei dirigenti in contrapposizione ad un minor coinvolgimento degli iscritti nei processi decisionali, nella selezione della leadership, dei candidati, nella definizione dell’agenda decisionale.

È in questa fase che emergono i primi sintomi di una progressiva delegittimazione che i partiti politici hanno subìto nelle democrazie contemporanee, annullando qualsiasi funzione di integrazione sociale e politica, propria dei partiti di massa, ma favorendo l’individualizzazione del rapporto elettore-partito. E proprio il processo di allentamento del partito dal sistema sociale, per essere incluso nel sistema politico e diventar parte della struttura statale anche attraverso il finanziamento pubblico ai partiti, costituisce il punto di arrivo della destrutturazione del partito di massa sotto il profilo organizzativo e ideologico. Si attiva un processo di sostituzione della burocrazia di partito con tecnici specializzati nel marketing elettorale e prevale la figura del leader rispetto agli organismi dirigenti. La televisione insieme ai gruppi di interesse, diventa una cinghia di trasmissione fra partiti ed elettori più importante delle organizzazione collaterali tradizionali, dei funzionari, degli iscritti.

È indubbio che il ruolo della televisione a partire dagli anni Sessanta del XX secolo abbia determinato un cambiamento nel modo di fare politica: mediatizzazione della politica (Mazzoleni e Schulz, 1999), video-politica (Sartori 1997), democrazia dei media (Meyer 2002), videocrazia (Pharr 1997) e politica pop (Mazzoleni e Sfardini 2009) sono ormai termini e strumenti concettuali che hanno ben evidenziato come i media abbiano favorito il processo di personalizzazione della politica e semplificazione del linguaggio, vincolato alle regole dei nuovi social media come Twitter e Facebook.

In tale contesto il leader carismatico è colui che riesce ad entrare in empatia con il suo “pubblico” che gli riconosce capacità, doti comunicative, qualità eccezionali nell’accezione weberiana e apprezza la sua storia personale, sulla base di una narrazione costruita attorno alla sua figura. E proprio una delle principali conseguenze della mediatizzazione della politica è la proliferazione di partiti personali “al servizio di questo o quel leader politico” nella versione anche di partito impresa ovvero una personalizzazione della leadership politica che ha ridotto al minimo la struttura organizzativa e assume una connotazione simile a quella dei partiti di notabili dove conta l’immagine del leader, spettacolarizzando il discorso politico e alimentando il ruolo del denaro in politica per affrontare costose campagne elettorali, impostate da agenzie di comunicazione e di marketing politico-elettorale.

La crescente rilevanza delle strategie di comunicazione politica è accompagnata da una crescente centralità della personalizzazione della politica. In assenza di coordinate ideologiche a cui riferirsi l’immagine del leader è divenuta una scorciatoia cognitiva in grado di ovviare in termini di mobilitazione ai tradizionali orientamenti programmatici del partito. La centralità del leader è ormai una costante dei partiti moderni che stanno diventando sempre più macchine al servizio del leader politico con effetti strutturali ed elettorali fortemente negativi sull’identificazione/appartenenza partitica e sulla progressiva diminuzione della membership.

Tuttavia è opportuno fare due considerazioni di merito. Il primo aspetto è che il potere personale, esercitato da un leader di governo o di partito, non si traduce automaticamente in potere carismatico. Nonostante i tentativi di insegnare tecniche di comunicazione politica per affrontare, ad esempio, dibattiti nei talk show televisivi non tutti i leader hanno qualità carismatiche. Il secondo elemento è che il potere carismatico, essendo un dono messianico individuale, difficilmente è tramandabile ad altri membri o è di natura ereditaria. In assenza di una routinizzazione esaustiva del carisma, il problema, in questo caso, riguarda come può sopravvivere il movimento/partito carismatico (si pensi alla questione della successione di Berlusconi alla guida di Forza Italia) quando il leader muore o non è più nelle condizioni di governare.

 

Conclusioni

L’etica dei principi e della responsabilità sembrano trovare un punto di incontro nella declinazione del fenomeno populista che sta imperversando da alcuni decenni nel mondo in un’ottica di perseguimento del bene pubblico come principio e azione istituzionale e operativa.

La forma mentis populista è il legame tra leader e seguaci, capo e popolo, dove il primo incarna la volontà e la dignità etica del secondo. Molti analisti, ma senza un accordo unanime, ritengono che il carisma connoti i leader populisti in diverse democrazie contemporanee (Jean Marie Le Pen, Matteo Salvini, Beppe Grillo, Jörg Haider e altri ancora).

Il leader populista ha una retorica persuasiva che attira la sensibilità emozionale dell’elettorato e ha una professione/vocazione (come è noto il termine Beruf può essere tradotto come professione e/o vocazione) da compiere: il cambiamento della classe politica e la lotta contro i partiti tradizionali. Il radicalismo populista ha, infatti, una sua dimensione rivoluzionaria e non solo riformista. Gli appelli populistici fomentano l’antipolitica e sfociano nell’interpretazione bonapartitistica della sovranità del popolo ovvero di una democrazia che per essere fattiva assume l’aspetto di un benevolo dispotismo.

La principale conseguenza di questo fenomeno è il progressivo degrado della qualità democratica di un paese, di una crisi nel regime, nel suo funzionamento e nella garanzia dei diritti civili e politici, come i recenti avvenimenti dimostrano in Polonia e in Ungheria, che rischia di tramutarsi in una crisi del regime che apre la strada ai nuovi autoritarismi, contraddistinti da una facciata democratica, solitamente limitata alla presenza delle elezioni e di un pluralismo partitico, ma con evidenti restrizioni e repressioni che limitano le libertà dei cittadini e l’attività dell’opposizione politica.

In sostanza, la leadership personalistica nei partiti europei è il risultato di un processo riconducibile storicamente a ciò che Weber aveva già previsto nel 1922: i partititi politici sono diventati macchine al servizio del leader.

L’età dell’oro dei partiti di massa è scomparsa per mutamenti sociali e culturali che hanno accelerato il loro declino, in gran parte imputabile, secondo alcuni studiosi, all’assenza di accountability ovvero la capacità di tenere conto delle richieste provenienti dalla società e di rendere conto dell’operato svolto in sede istituzionale. La crisi degli attori fondamentali per la rappresentanza politica, i partiti politici, sembra ormai un processo ineluttabile. Eppure, seguendo gli insegnamenti weberiani, con la routinizzazione del carisma, scaturita dalla connessione tra potere carismatico e quello legale-razionale potrebbe verificarsi un passaggio di lealtà dei membri dal capo all’organizzazione politica. Si tratterebbe di un ritorno ad un ruolo più efficace dei partiti, guidati da leader capaci di incarnare il giusto equilibrio delle due etiche, ovvero del “professionismo della politica” con una visione, progettualità e azione decisionale. D’altronde, come ci ricorda Weber ne “Il lavoro intellettuale come professione”: “La politica consiste in un lento e tenace superamento di dure difficoltà, da compiersi con passione e discernimento allo stesso tempo. È perfettamente esatto, e confermato da tutta l’esperienza storica, che il possibile non verrebbe raggiunto se nel mondo non si ritentasse sempre l’impossibile”.

 

Mara Morini
morini@ciao.it

Associate Professor in Politics of Eastern Europe a Unige. Esperta di politica russa. Editorialista per Domani. Chair dello SG Russia e spazio postsovietico

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