
04 Lug La seconda ondata epidemica: sereni ma vigili
di Enrico Bucci
Molti si affannano a rincorrere date o periodi, nel prevedere quando e se ci sarà una seconda ondata epidemica.
Tantissime volte mi sono occupato di smentire quelli che ostentano sicurezza nel garantire che tutto sia finito, e che quindi il virus non tornerà; questa volta vorrei occuparmi con qualche dettaglio del perchè la previsione opposta – specie se pensiamo di individuare il periodo o di prevedere la forza dell’ondata di ritorno – è semplicemente una missione impossibile.
Partiamo quindi con l’esaminare i dati rilevanti.
Ci interessano due categorie di fatti: quelli che ci permettono di stimare se è possibile e quanto è probabile un ritorno del virus, e quelli che ci permettano di prevedere, nel caso il virus ritorni, se e quanto sarà virulenta la sua ripresa – cioè quanto danno farà alla salute delle popolazioni colpite.
Per quello che riguarda la possibilità del ritorno del virus, direi che le condizioni necessarie e sufficienti ci sono tutte: il virus circola ancora in maniera abbondante in tutto il mondo, ed anzi la quantità di soggetti infetti è in forte ascesa; la sua infettività non sembra diminuita; inoltre, molti paesi sono fuori lockdown e si preparano soprattutto a riaprire le connessioni internazionali.
Il punto, però, è che il ritorno del virus – o i focolai che stiamo continuando, come previsto, a scoprire – non significano in automatico una riesplosione della pandemia – la cosiddetta seconda ondata, per intenderci. Questa, infatti, è influenzata da una miriade di altri fattori, in un modo che non conosciamo precisamente (temperatura, umidità, contatti sociali) ed anche in un modo che risente delle nostre azioni (distanziamento, mascherina, tracciamento e isolamento, igiene delle mani, riorganizzazione degli ospedali).
A maggior ragione, non possiamo sapere se il ritorno (o semplicemente la permanenza) del virus avverrà in una data o in un periodo precisi: si tratta di un evento la cui probabilità è dettata dal prodotto delle probabilità di eventi casuali, parametrizzati su fattori a noi ignoti e su altri che dipendono dal nostro comportamento.
Dunque: possibile il ritorno o la permanenza per lungo tempo del virus, ma quanto ad intensità della prossima curva epidemica e periodo in cui si verificherà, nessuno può fare altro che tirare ad indovinare. Che il virus ritorni, vista la situazione mondiale e l’improbabilità che scompaia da solo in tre – quattro mesi, direi che è probabile; che ciò si verifichi in autunno, in inverno, la prossima primavera o domani mattina, e la forma e l’intensità di questo ritorno, non è in nostro potere prevederlo.
Guardiamo ora agli effetti sulla salute di una popolazione colpita da una seconda ondata del virus. Diamo per scontato, per amor di discussione, che vi sia un ritorno in grande stile, con una salita di casi infetti simile a quella che si sta verificando per esempio in Texas, e che non sia limitato ad aree già pesantemente colpite in precedenza (ove ci sono meno soggetti suscettibili, periti o guariti nella prima ondata, e più soggetti immuni). Sappiamo che, se non cambiano le cose, come in Texas o in altri stati USA, le terapie intensive tornerebbero a riempirsi; questo, infatti, dipende dal fatto che il virus non è mutato a sufficienza, e che in Italia esiste ancora un’ampia fetta di popolazione suscettibile di sviluppare sintomi gravi, perchè il virus è circolato relativamente poco nel nostro paese. Tuttavia, oggi abbiamo maggior contezza di quali siano alcuni trattamenti efficaci e quali i problemi da tenere sotto controllo – desametasone, Tocilizumab, anticolagulanti, almeno in parte Remdesivir – e soprattutto di cosa dobbiamo proteggere – le RSA e gli ospedali.
Inoltre, il numero di posti in terapia intensiva, così come in semiintensiva, è stato aumentato, e disponiamo di molti più caschi respiratori che in passato. Quindi, possiamo ragionevolmente assumere che, a parità di intensità di una seconda ondata epidemica, questa volta non registreremo più le anomale mortalità Lombarde, ma nemmeno quelle medie dei paesi colpiti dalla prima ondata: se non ci faremo trovare con le farmacie ospedaliere e i depositi vuoti, avremo modo di combattere più efficacemente il virus, diminuendone almeno gli effetti peggiori.
Dunque, se guardiamo alla probabilità condizionata che, essendosi verificata una seconda ondata paragonabile o peggiore della prima, si arrivi a mortalità ed effetti seri sulla salute in maniera percentualmente equivalente o superiore rispetto alla prima ondata, direi che, per quanto non sappiamo dare numeri precisi, questa probabilità sia piuttosto bassa.
Questo quindi è il quadro ad oggi:
A) Probabilità di permanenza o ritorno del virus alta;
B) Probabilità di ritorno in autunno, in inverno, in primavera o domattina non stimabile, in nessun modo, a partire da dati consolidati (chi fa previsioni in questo senso non propone altro che le proprie ipotesi preferite);
C) Probabilità che si abbia una seconda ondata (cioè che il virus non solo ritorni, ma che monti una vera epidemia a livelli uguali o superiori a quella che abbiamo visto) non stimabile, ma condizionata a fattori stocastici ed al nostro comportamento e preparazione (prima abbandoniamo distanziamento, mascherine, igiene delle mani, tracciamento, isolamento e misure di contenimento negli ospedali, più innalziamo la probabilità di onde epidemiche di ritorno di alta intensità)
D) Probabilità che, a parità di casi, si osservi la stessa letalità e la stessa serietà del quadro clinico osservata nella prima ondata scarsa, perché se proprio non abbiamo preso lucciole per lanterne in tutti i dati pubblicati, oggi abbiamo alcune terapie che riducono mortalità, permanenza in ospedale e rischio di terapia intensiva, e si spera che non rimanderemo i soggetti infetti nelle RSA ad infettare gli anziani.
Cosa potrebbe cambiare (in meglio) il quadro?
A) Una mutazione che sia associata ad alta infettività e bassa patogenicità del virus, che si diffonda rapidamente nel mondo, in modo che sia soppiantanta l’attuale popolazione virale. Probabilità: non stimabile, perché dipendente da eventi stocastici sia nella sua generazione (radicata in eventi quantistici) sia nella sua diffusione più o meno rapida (dipendente dal luogo di insorgenza, dagli scambi tra soggetti infetti eccetera).
B) Terapie migliori entro poco: possibile, se guardiamo per esempio al rapido sviluppo di anticorpi monoclonali ad azione antivirale e ad altri anticorpi antinfiammatori, ma difficile da definire nella sua probabilità.
C) Disponibilità di un vaccino efficace: possibile, ma certamente non in tempo per prevenire il ritorno del virus (se ci sarà) e a probabilità ignota, perchè alcuni elementi circa la durata e l’efficacia della risposta immune indotta non sono noti.
Come vedete, tante incertezze, poche sicurezze, tra cui quella che il nostro comportamento può cambiare il corso degli eventi, che il virus c’è ancora, e che non possiamo prevedere se, quando e con che violenza ci colpirà di nuovo.
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