
09 Lug L’Alleanza Atlantica fu, con De Gasperi, il primo passo dell’Italia verso l’integrazione europea
di Luigi Giorgi
La dimensione atlantica è stata centrale nella riflessione e nell’opera politica di Alcide De Gasperi. Perseguita con determinazione e con attenzione agli equilibri interni ed esterni al paese, non sempre fu condivisa pienamente nel suo stesso partito. La cifra dell’importanza che essa rivestì nella sua azione politica di governo emerge dalle parole da lui stesso utilizzate nel dibattito alla Camera dei deputati dell’11 marzo 1949: «[l’Alleanza Atlantica] è un patto di sicurezza, una garanzia di pace, una misura preventiva contro la guerra. […] L’Italia, che si trova malauguratamente sulle linee strategiche fatali dei possibili conflitti mondiali, si assocerà a tutti gli sforzi per evitare una nuova e irreparabile sciagura.»
La collocazione del paese nel contesto atlantico corrispondeva all’urgenza – percepita da De Gasperi – di creare concrete condizioni di pace nell’Europa che usciva dalla tremenda esperienza della guerra mondiale: a partire da essa in alcuni paesi (l’Europa di Carlo Magno) si era avviato, con la CECA, un primo e fondamentale processo di integrazione economica e politica dell’Europa.
Tale visione, nella sua globalità, apparteneva a un uomo nato in territorio di confine dove aveva sperimentato la tragedia della Grande Guerra e le terribili conseguenze che ne erano derivate. Analoga esperienza dei confini, come fragili barriere nei conflitti tra paesi vicini, avevano vissuto i Padri dell’unità europea. Come ha ricordato Stefano Trinchese ciò valeva per il renano Adenauer, per l’alsaziano Schuman, non meno che per il trentino De Gasperi, fatto per cui la: «ideologia della liminarità, che detta a quelle coscienze, memori delle pagine più tragiche dei nazionalismi fratricidi, l’esigenza di trascendere quei sentimenti in un superiore spirito europeistico, in ordine al quale le antiche sponde debbono essere scavalcate per sempre».
Per l’Italia – e De Gasperi ne era consapevole – l’adesione al Patto Atlantico significava reinserire il paese nel quadro delle nazioni occidentali, superando la fresca memoria che si aveva di esso come aggressore nel conflitto mondiale. Un paese forte di una rinnovata consapevolezza democratica, che egli stesso aveva custodito, assieme ad altri, nei difficili e drammatici anni del regime.
Come si espresse nel noto discorso pronunciato durante la Conferenza di pace di Parigi nell’agosto del 1946: «Signori, è vero: ho il dovere innanzi alla coscienza del mio Paese e per difendere la vitalità del mio popolo di parlare come italiano; ma sento la responsabilità e il diritto di parlare anche come democratico antifascista, come rappresentante della nuova Repubblica che, armonizzando in sé le aspirazioni umanitarie di Giuseppe Mazzini, le concezioni universaliste del cristianesimo e le speranze internazionaliste dei lavoratori, è tutta rivolta verso quella pace duratura e ricostruttiva che voi cercate e verso quella cooperazione fra i popoli che avete il compito di stabilire». Un discorso fra i più densi di De Gasperi, ma fra i più alti, per intensità e dignità, della sua stagione politica.
Lo schema atlantico fu perseguito, quindi, per collocare l’Italia nell’alleanza occidentale con la prospettiva dell’integrazione europea. Tale tensione atlantica ed europea, nel solco dei valori del mondo occidentale, promossa da De Gasperi e proseguita, pur da recenti e evidenti incertezze, dai governi successivi è stata ripresa con forza da Draghi nelle dichiarazioni del 18 febbraio per chiedere la fiducia delle Camere: «Questo Governo nasce nel solco dell’appartenenza del nostro Paese, come socio fondatore, all’Unione Europea, e come protagonista dell’Alleanza Atlantica, nel solco delle grandi democrazie occidentali, a difesa dei loro irrinunciabili principi e valori. […] Gli Stati nazionali rimangono il riferimento dei nostri cittadini, ma nelle aree definite dalla loro debolezza cedono sovranità nazionale per acquistare sovranità condivisa.»
Sarebbe fuorviante, e non corretto, tracciare una linea retta, sic et simpliciter, fra la situazione in cui si trovò ad operare De Gasperi e quella attuale. In quanto lo stesso atlantismo italiano e (non solo) democristiano subì diverse rimodulazioni nel corso degli anni. Rimane vero, però, che con l’attuale esecutivo si è confermata, con convinzione, l’appartenenza a quello spazio culturale, politico, sociale e culturale stabilito nel 1949, sia a livello atlantico che europeo: «Senza l’Italia non c’è l’Europa. Ma, fuori dall’Europa, c’è meno Italia. Non c’è sovranità nella solitudine. C’è solo l’inganno di ciò che siamo, nell’oblio di ciò che siamo stati e nella negazione di quello che potremmo essere. Siamo una grande potenza economica e culturale», ha detto, nell’occasione già citata, l’attuale presidente del Consiglio dei ministri.
Molte sono le sfide sul tavolo, sia per l’atlantismo che per il quadro europeo. Problemi non di facile soluzione in cui soprattutto lo spirito democratico nella sua struttura occidentale, come siamo abituati a conoscerla, sembra in difficoltà e appare a volte, in qualche misura, “snaturarsi” assumendo anche le forme nuove del populismo. In esso la stessa parola popolo pare diventare onnicomprensiva e diluire l’importanza dei diritti e dei doveri dei cittadini e delle comunità organizzate. Ed è opportuno ricordare in proposito le parole di un altro protagonista del cattolicesimo democratico italiano, fondatore del Partito popolare, e cioè Luigi Sturzo (di cui proprio in questo anno ricorre il centocinquantesimo anniversario della nascita). Il quale scrisse che: «Noi non ammettiamo che il popolo sia fonte assoluta di autorità e di sovranità quale principio giuridico; allo stesso modo che non ammettiamo che lo sia il monarca o l’imperatore […] Nessuna ragione assoluta – come ha creduto il liberalismo – risiede nel popolo come unica fonte del diritto». Per cui la democrazia è sforzo costruttivo e inclusivo, è lavoro sul territorio, soprattutto non riconosce assoluti, non perché relativizzi la realtà, ma perché assolutizzare, a livello sociale, politico, economico può condurre a pericolose deviazioni.
Dirà De Gasperi nel 1954, durante il congresso nazionale Dc di Napoli, ragionando sulle conseguenze di una unione difensiva europea sul territorio nazionale e sui suoi confini: «quando si tratterà di tirare le somme, si vedrà che l’alternativa che rimane è se quella parte dei nostri diritti che non trovasse immediata e concreta soddisfazione sarebbe meglio salvaguardata in una combinazione europea o in una posizione di resistenza e isolamento». Una affermazione non retorica sull’opzione europea nel quadro ampio della collaborazione occidentale, che serve a sostenere, ancora oggi, il valore dell’alleanza occidentale in un mondo in cui prevale un multilateralismo minaccioso. Nella situazione pandemica che viviamo, le scelte politiche di De Gasperi e di Draghi, risuonano più che mai attuali ed è doveroso avere presente che il futuro stesso della nostra democrazia è collegato alla nostra Alleanza Atlantica e allo sviluppo pieno dei processi di integrazione europei, coinvolgendo, il più possibile, cittadini, partiti, enti territoriali in una comune prospettiva di solidarietà.
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