
03 Dic Macron e la crisi del governo parlamentare (ovvero: l’eccezione francese)
di Caterina Avanza
Il cambiamento fa ormai parte integrante del nostro modo di vita.
Il cambiamento è la cifra della vita privata… e di quella pubblica
A livello personale – nelle grandi città un matrimonio su due finisce in divorzio. A livello professionale – sono rare le persone che svolgono tutta la carriera nella stessa impresa o istituzione. A livello geografico – solo il 10% dei francesi muore nella città dove è nato. Non ho il dato per gli italiani, ma essendo quest’ultimi dei migranti per tradizione non mi stupirebbe che la mobilità geografica sia ancora più accentuata nel nostro paese.
Le abitudini di voto non fanno eccezione. Anche in politica la fedeltà diviene sempre più rara, non si vota più un partito seguendo una tradizione famigliare o geografica. E del resto, la durata di vita dei partiti è sensibilmente più corta. Partiti possono nascere e fare il pieno in pochi anni per poi sgonfiarsi rapidamente.
Durante la campagna presidenziale francese, l’opinione veniva analizzata giorno per giorno, e ci siamo resi conto che più di 1/3 degli elettori ha scelto per chi votare l’ultima settimana di campagna elettorale. Stiamo parlando di milioni di persone.
In questo contesto di volatilità del voto assistiamo ad una vera e propria balcanizzazione della sfera politica. Ed è quindi necessario porsi la domanda dell’adeguatezza del sistema di Governo parlamentare.
L’instabilità della politica è diventata la norma
Se l’instabilità e l’ingovernabilità politica sono di norma in Italia dal dopoguerra ad oggi, come spesso accade, il nostro paese è in anticipo su fenomeni storici che poi divengono realtà nel resto del continente e al di là.
In Belgio e Olanda servono ormai mesi e mesi per formare i Governi, spesso di minoranza. In Danimarca è nato un Governo minoritario sostenuto da sei partiti molto diversi fra loro, la Spagna non fa eccezione e persino al di fuori del continente europeo si assiste alla stessa scena, come in Israele dove gli elettori sono chiamati per la terza volta alle urne senza riuscire a dare vita ad un Governo.
E anche la Germania non è risparmiata. Il voto cattolico e conservatore tedesco non danno più alla CDU la maggioranza necessaria per governare. Ricorrere a coalizioni totalmente innaturali come quella fra la SPD et la CDU è ormai d’obbligo.
Il sistema proporzionale è il più democratico?
Ma quindi la domanda da farsi oggi è la seguente: siamo sicuri che nel contesto attuale di volatilità e balcanizzazione del voto, il sistema proporzionale all’interno di un sistema parlamentare, rimanga il più democratico? Perché se è vero che il proporzionale da rappresentanza a tutte le espressioni politiche, allo stesso tempo la volontà dell’elettore è ormai quasi sistematicamente tradita. L’elettore che vota SPD lo fa anche perché non è d’accordo con la proposta della CDU e invece il suo partito è costretto a governare con l’avversario se vuole avere una chance di dare un governo al paese.
Ma tutto non può essere messo soltanto sulle spalle del proporzionale perché nella patria del maggioritario a doppio turno, il Regno Unito, per il momento il Governo regge grazie a un partitino nordirlandese espressione di 10 deputati!
Ecco perché sono sempre più convinta che, nel contesto attuale, il sistema più democratico sia il maggioritario a doppio turno con l’elezione al suffragio universale dell’esecutivo, cioè in poche parole il sistema francese!
I vantaggi del sistema semipresidenziale francese
Il sistema semipresidenziale francese prevede l’elezione diretta del capo dello Stato con il maggioritario a due turni.
Le elezioni legislative sono ricalcate sulla presidenziale, come il capo dello Stato, i deputati sono eletti in ogni circoscrizione con uno scrutinio uninominale a due turni. Passano al secondo turno soltanto i candidati che hanno raggiunto il 12,5% degli iscritti al voto.
Quindi nel sistema francese, alle presidenziali come alle legislative vince chi arriva primo. Emmanuel Macron può quindi governare 5 anni avendo ottenuto il 24% dei suffragi al primo turno e 66% al secondo.
Avendo ridotto a 5 anni il mandato presidenziale e avendo fissato le legislative due mesi dopo le presidenziali, la Francia non ha più conosciuto la coabitazione, cioè il fatto di avere un presidente e una maggioranza parlamentare (e quindi un primo ministro) che non sono espressione della stessa famiglia politica.
Il sistema francese garantisce stabilità e governabilità al paese, e garantisce all’elettore chiarezza su chi vince e chi perde, chi governa e chi sta all’opposizione, permette all’elettore di premiare o sanzionare il mandato svolto.
Permette al candidato vincitore di applicare il programma sul quale ha messo la faccia durante la campagna elettorale, senza essere sotto minaccia costante di finire in minoranza.
En Marche ha potuto creare un sito Internet che si chiama “on l’a dit, on l’a fait” (l’abbiamo detto, l’abbiamo fatto) https://transformer.en-marche.fr/fr che permette di seguire l’avanzamento della realizzazione del programma proposto agli elettori dal candidato Macron.
Senza contare i vantaggi economici di questa stabilità politica.
La partecipazione dei cittadini non si può lasciare ai populisti
Detto ciò non si può negare che il maggioritario ponga delle questioni di rappresentanza. Marine Le Pen ha ottenuto il 21% dei suffragi al primo turno della presidenziale e il 13% alle legislative, e può contare soltanto su un piccolo pugno di 8 deputati alla Camera.
Per colmare questo deficit di rappresentanza, il candidato Macron ha promesso nel suo programma, di introdurre una dose di proporzionale del 15% (misura non ancora messa in atto).
Ma la di là delle regole elettorali scelte, c’è un dato fondamentale da tenere in considerazione: i cittadini oggi non sono più disposti a stare a guardare per 5 anni, aspettando la prossima elezione. Al di là del voto, oggi i cittadini esprimono una voglia di partecipazione attiva, alla quale la pratica del potere deve dare una risposta.
La presidenza Macron, scossa anche dalla crisi dei Gilet Gialli, sta sperimentando tutta una serie di spazi per il dialogo sociale e la partecipazione. Strumenti che in qualche modo hanno vocazione a compensare questo deficit di rappresentanza: il Grand Débat, la convezione cittadina sul cambiamento climatico, gli stati generali dell’alimentazione, il Grenelle delle violenze fatte alle donne, la consultazione sull’uso dei pesticidi in agricoltura, la co-costruzione della riforma delle pensioni, ecc..
Tornando all’Italia, l’aver lasciato al Movimento 5 Stelle il monopolio della partecipazione e dell’innovazione in materia di pratica politica è stato un grave errore anche perché la promessa è stata tradita portando alla luce l’inconcludenza e l’inadeguatezza della piattaforma Rousseau.
Ma se sbagliare è umano, perseverare è diabolico: in Italia il progressismo sarà partecipato o non sarà.
Antoine
Pubblicato il 10:56h, 07 DicembreRiflessione interessante, si dice che il sistema francese ha come contro una “bipolarizzazione” eccessiva della vita politica che impedisce il compromesso e quindi le riforme ambiziose, ma gli esempi dati, dalla Spagna a Israele passando dall’Italia, dimostrano che la crisi di incapacità colpisce anche i sistemi maggioritari. Quindi innovare e trovare nuove modalità di partecipazione è fondamentale, a prescindere dal sistema elettorale. Buon lavoro!