
09 Giu Medvedev: “farò sparire i nemici della Russia”. È scontro di civiltà con l’Occidente
di Vittorio Ferla
“Mi viene spesso chiesto perché i miei post su Telegram sono così duri. La risposta è che li odio. Sono bastardi e imbranati. Vogliono la nostra morte, quella della Russia. E finché sono vivo, farò di tutto per farli sparire”. Queste le frasi incandescenti scritte ieri su Telegram dal vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo ed ex presidente della Federazione russa, Dmitry Medvedev. Parole riferite genericamente ai nemici della Russia che non sono esattamente una promessa di dialogo. “Le affermazioni che arrivano oggi non lasciano dubbi e allontanano da parte russa la ricerca della pace. Piuttosto danno linfa a una campagna d’odio contro l’Occidente, contro quei Paesi che stanno cercando con insistenza la fine delle ostilità in Ucraina”: è la risposta del ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio. Se si pensa anche agli appelli di Joe Biden di questi mesi, con l’invito alle democrazie occidentali ad unirsi contro la minaccia che viene dalle autocrazie (soprattutto, quelle orientali), cresce la sensazione che il conflitto militare in corso, scatenato dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, sia anche uno scontro di civiltà.
Un esito imprevedibile che i paesi europei ancora faticano ad accettare. Basti pensare al valore inestimabile della grande letteratura russa che, a tutti gli effetti, è un pezzo portante della cultura europea. Basti pensare al fascino che metropoli importanti come Mosca e Pietroburgo hanno esercitato sul vecchio continente. Basti pensare, ancora, alla grande opportunità che sembrava emersa dalle macerie del Muro di Berlino: una Russia che abbandona l’incubo ideologico del regime sovietico e diventa amica dell’Occidente. Qualcuno ne auspicò perfino l’ingresso nella Nato. Dopo la fine della Guerra Fredda, la Russia di Vladimir Putin è stata capace di esercitare un’attrazione su alcuni settori dell’opinione pubblica occidentale – in Francia, in Italia, in Germania – diventando un punto di riferimento per una certa destra cristiana, per alcuni circoli conservatori e per tutti i partiti populisti, di destra e di sinistra.
Il peso della minaccia islamica è stato decisivo, soprattutto in Francia. Molti movimenti sovranisti sono cresciuti sul rifiuto dell’Islam e degli immigrati provenienti dai paesi arabi. Una lunga serie di conflitti locali – dal Sudan alla Siria, toccando i Balcani e il Caucaso – sono stati interpretati come una lotta tra l’Occidente cristiano e l’Islam. Le stesse rivolte nelle banlieues francesi sono state descritte e vissute, anche nel mondo intellettuale, come il segno di una guerra intestina tra europei e musulmani. In questo contesto, la Russia è stata spesso percepita come un alleato o addirittura come un baluardo dell’Occidente. Non è un caso se settori del vecchio Front National di Marine Le Pen abbiano visto in Vladimir Putin un compagno di ventura capace di rilanciare un’alleanza tra l’Europa cristiana e la Russia ortodossa per lottare contro l’Islam sunnita.
A questo scontro di civiltà se ne è aggiunto un altro, tutto interno all’Occidente, sulla sfida dei valori. La Russia di Putin è stata percepita da molti cristiani conservatori come il baluardo dei valori religiosi tradizionali contro i diritti civili delle persone lgbt e contro le legislazioni permissive nei confronti dell’aborto. Così si spiega, per esempio, la simpatia di molti evangelici e cattolici conservatori americani nei confronti di Putin. Una simpatia che è poi traslata nel trumpismo più becero, ispirato dalle teorie populiste di Steve Bannon. Ma lo stesso vale per il lepenismo in salsa cristiana, per il leghismo da rosario di Salvini, per le frange più reazionarie delle destre dell’Europa orientale.
L’Occidente fa ancora fatica ad accettarlo, ma la verità è che l’aggressione dell’Ucraina racconta un’altra storia. Quella di una Russia imperiale e imperialista, ispirata all’eredità zarista, che percepisce l’intero Occidente come un nemico e una minaccia. La visione di Putin è quella del Russkiy Mir, il “mondo russo”. Putin ne ha parlato la prima volta nel 2007, in un intervento spartiacque a Monaco che ha escluso la possibilità di integrare la Russia all’Occidente. Questa idea di civiltà si allarga a tutti gli slavi di lingua russa che vivono fuori dai confini della Russia attuale, quindi anche agli ucraini e ai bielorussi. I quali, appunto, non hanno identità propria, ma vanno assimilati nella prospettiva organicistica del Russkiy Mir. Ogni desiderio di identità distinta, pertanto, va cancellato. Proprio come sta avvenendo in Ucraina.
Questa visione supera sia il nazionalismo russo che il patriottismo sovietico. A differenza del primo ha una dimensione imperiale. Il che significa che è anche capace di assorbire civiltà esterne come quella islamica. Un vanto di Putin è proprio il fatto che la Russia raccoglie dentro di sé tutti, anche etnie e regioni musulmane, a differenza dell’Occidente che le schiaccia. A differenza dell’Urss, poi, il Russkiy Mir non ha una ideologica economica da promuovere. Putin non ha alcuna simpatia per il sistema comunista di cui conosce le falle, né per l’avanguardismo repubblicano di impronta leninista. Dell’eredità sovietica, però, apprezza e raccoglie la struttura imperialista di Stalin che rese egemone la Russia nell’Europa orientale e in molte parti del mondo. Al punto da considerare la fine dell’Urss come “la più grande tragedia del XX secolo”.
In più, lascia che la chiesa ortodossa si riprenda il suo spazio. Basti pensare all’anatema di Kirill contro l’Occidente degenerato: per il patriarca di Mosca la guerra in Ucraina è, allo stesso tempo, un affare divino e uno strumento per sconfiggere i valori occidentali. L’impronta religiosa – che distingue nettamente l’ideologia del mondo russo dal vecchio regime sovietico – aiuta anche a resuscitare il mito della Terza Roma, affermatosi tra il 1400 e il 1500. Dopo la caduta di Costantinopoli, mentre l’Europa occidentale si emancipa dal passato greco-romano e va alla conquista dell’America, gli zar russi (non a caso czar, “cesare”, è un titolo imperiale) sposano la prospettiva di un grande impero autocratico ortodosso. E chi è il nemico? Ovviamente, l’Occidente. Per Putin, tuttavia, la dimensione imperiale trascende quella religiosa: tant’è vero che le ultime aggressioni scatenate da Mosca nell’ex spazio sovietico, hanno preso di mira paesi cristiani e ortodossi. L’aggressione diretta contro la Georgia è andata a vantaggio degli abkhazi musulmani. Durante l’ultimo conflitto in Nagorno-Karabakh, i russi erano dalla parte dell’Azerbaigian a scapito degli armeni. Putin ha sostenuto il leader ceceno Ramzan Kadyrov che è islamico. Oggi Putin attacca un’altra nazione ortodossa, l’Ucraina, provocando una frattura anche religiosa. La verità è che per Putin e la sua cerchia l’Ucraina non è una vera nazione, ma una parte fondante del Russkiy Mir. Il desiderio degli ucraini di diventare “occidente” costituisce pertanto una inammissibile crepa nell’egemonia imperiale russa. Come dice Dmitry Medvedev, aiutare l’Ucraina significa “volere la morte della Russia” e per questo i nemici occidentali della Russia devono “sparire”. Proprio come si cerca di far sparire l’Ucraina.
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