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Nuove sanzioni Ue mentre il rublo va a picco. Ma Scholz non rinuncia al petrolio russo

di Vittorio Ferla

 

In Ucraina continuano i bombardamenti e le devastazioni. Ad oggi almeno 400 civili sono stati uccisi. L’Unione europea valuta pertanto di adottare nuove sanzioni economiche contro la Russia. “In Ucraina il Cremlino sta attaccando ancora civili, donne e bambini. Quindi, dobbiamo preoccuparci di altre sanzioni per affrontare questa situazione”, annuncia Ursula von der Leyen, al termine dei colloqui tenuti ieri a Bruxelles con il premier italiano Mario Draghi. Forti pressioni in questa direzione arrivano anche dal governo ucraino. In un tweet il ministro degli esteri di Kiev, Dmytro Kuleba, chiede armi per il suo paese ma anche sanzioni più severe contro la Russia. Secondo Kuleba, “l’aggressione russa è diversa da tutte le altre guerre di questo secolo. La scala e l’ideologia disumana dietro di essa ricordano la seconda guerra mondiale”. Ecco perché “le azioni per contrastarla devono essere pertinenti”.

“Le sanzioni Ue attuali sono molto forti e vediamo che c’è una tendenza alla crisi economica in Russia”, ammette la presidente della Commissione europea. Ma serve garantire che le sanzioni siano eseguite da tutti i paesi e ne sia garantita l’efficacia. Ad oggi, infatti, i paesi membri più impegnati su questo fronte sono Francia, Germania e Italia. “Come sapete abbiamo già tre pacchetti di sanzioni in funzione, ma ora dobbiamo garantire che non ci siano scappatoie e che le sanzioni siano efficaci”, precisa von der Leyen.

Ritornano in mente le parole pronunciate domenica scorsa dal presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, nel corso in un’intervista su Rai3 con Lucia Annunziata: “Sulle sanzioni tutti giochino la stessa partita o avremo problemi. L’Italia ha messo in atto 490 interventi, la Svizzera 371, il Canada 417, l’Australia 403 e l’Inghilterra invece 16. Tutti sappiamo che il Regno Unito è la residenza di molti oligarchi russi. O giochiamo la stessa partita o sarà difficile giustificare alle nostre imprese che in Russia investono 11 miliardi di euro che devono accettare questo pacchetto di sanzioni quando qualcun altro non gioca la stessa partita”.

In effetti, nelle ultime settimane il governo del Regno Unito è sotto pressione per mostrare al mondo che Londra non è più “Londongrad”, ovvero un luogo accogliente in cui i loschi miliardari russi possono riciclare i loro soldi e ripulire la loro reputazione. Boris Johnson ha accelerato sull’Economic Crime Bill, introducendo un registro delle società straniere nelle quali può nascondersi il denaro sporco di provenienza russa. Ma restano forti le critiche verso il premier inglese. Sotto attacco l’ortodossia dei Tory che ha sostenuto per anni l’apertura totale dell’economia britannica con la conseguenza di chiudere tutti e due gli occhi sul riciclaggio del denaro degli oligarchi di Mosca. Dopo una riunione svoltasi proprio ieri a Londra, tra i capi di governo di Regno Unito, Canada e Olanda, Justin Trudeau, premier canadese, annuncia da parte sua nuove sanzioni contro una decina tra “ex e attuali funzionari, oligarchi e sostenitori del presidente russo Vladimir Putin”, selezionati “da un elenco compilato dal leader dell’opposizione incarcerato da Putin, Aleksej Navalnyj”. L’obiettivo è quello di paralizzare i sistemi finanziari che alimentano i fiancheggiatori di Putin e di sanzionare la Banca centrale russa.

Nel frattempo, in attesa del nuovo pacchetto annunciato da von der Leyen, le sanzioni finanziarie attivate spingono già la Russia verso il default. Come scrive la multinazionale di servizi finanziari Jp Morgan in un report agli investitori, il collasso economico di Mosca potrebbe superare per gravità il default del debito del 1998: il crollo del Pil per il 2022 è stimato intorno al 7%. Sarà anche peggio secondo gli economisti di Bloomberg, che scommettono su un tonfo pari al 9%. Una recessione profonda scatenata dalle sanzioni che – spiega Jp Morgan – minacciano “la fortezza delle riserve in valuta estera della Banca Centrale e il surplus corrente”. La situazione rischia di peggiorare ancora, perché Stati Uniti e Unione europea stanno spingendo sui partner del Fondo monetario internazionale per bloccare il ricorso della Russia ai diritti speciali di prelievo (dsp), speciale valuta introdotta nel 1969 dal Fondo per regolare le sue transazioni con i Paesi membri: il che significherebbe congelare altri 17 miliardi di euro.

Intanto, le sanzioni hanno già mandato in crisi l’economia russa. Si accentua la crisi del rublo sui mercati valutari. È lo specchio di un’economia stressata dalle sanzioni internazionali, dall’isolamento finanziario e dalla fuga delle imprese straniere. La valuta di Mosca, in forte flessione rispetto a tutte le altre monete, passa a 150 sul dollaro, dopo aver toccato un minimo storico di 162, con la moneta americana che è arrivata a guadagnare fin quasi il 32%. Se all’inizio del 2022 bastavano 75 rubli per un dollaro, ora ne servono il doppio. Il governo ha più che raddoppiato i tassi di interesse e aumentato i tassi di risparmio del 21% per cercare di dissuadere le persone dal prelevare contanti. Ma i risparmiatori russi si sono comunque messi in fila agli sportelli automatici per ore per prelevare dollari Usa nel timore di veder sparire tutti i loro risparmi. Lo scenario dei primi anni ’90, quando, dopo la caduta dell’Unione Sovietica, molti russi ricorsero al baratto per ottenere anche beni di prima necessità non è più così lontano.

Ma l’impatto delle sanzioni non riguarda soltanto chi le subisce. Infatti, mentre la Borsa di Mosca resta chiusa per evitare il tracollo, le piazze europee continuano ad andare a picco. Moody’s prevede che i rincari di cereali, metalli, petrolio si sommeranno all’impennata già in atto dell’inflazione, con un impatto formidabile sulle economie dei paesi europei. Spaventa la minaccia di nuove sanzioni: il segretario di Stato americano Antony Blinken annuncia la volontà del presidente statunitense Joe Biden di imporre un divieto d’importazione del petrolio russo. Un argomento sensibile per i paesi dell’Unione europea, alcuni dei quali strettamente dipendenti dalle importazioni di energia dalla Russia. Ecco perché l’annuncio di Blinken ha fatto impennare i prezzi del gas e del petrolio. Proprio per questo motivo, Olaf Scholz ha opposto ieri uno stop alle aspettative di Biden. Il cancelliere tedesco ha chiarito ieri che le importazioni di energia russa sono “essenziali” per l’Europa. Un no deciso all’ipotesi di sanzioni sul greggio chieste dagli Usa. 

Vittorio Ferla
vittorinoferla@gmail.com

Giornalista, direttore di Libertà Eguale e della Fondazione PER. Collaboratore de ‘Linkiesta’ e de 'Il Riformista', si è occupato di comunicazione e media relations presso l’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale del Lazio. Direttore responsabile di Labsus, è stato componente della Direzione nazionale di Cittadinanzattiva dal 2000 al 2016 e, precedentemente, vicepresidente nazionale della Fuci. Ha collaborato con Cristiano sociali news, L’Unità, Il Sole 24 Ore, Europa, Critica Liberale e Democratica. Ha curato il volume “Riformisti. L’Italia che cambia e la nuova sovranità dell’Europa” (Rubbettino 2018).

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