Pechino si schiera di fatto con Mosca - Fondazione PER
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Pechino si schiera di fatto con Mosca

di Vittorio Ferla

 

L’idea di una competizione globale tra democrazie e autocrazie sembrava del tutto teorica quando Joe Biden la formalizzò nel corso della sua campagna per la presidenza. Oggi, dopo un anno di invasione dell’Ucraina da parte della Russia e il sostegno di fatto di Pechino a Mosca, è diventata perfino troppo attuale. L’amicizia senza limiti tra Vladimir Putin e Xi Jinping è stata rinnovata nei giorni scorsi con la visita di Wang Yi, l’alto diplomatico del Partito Comunista Cinese, accolto plasticamente sul lato corto di quel tavolo ovale al quale Putin ha viceversa tenuto a siderale distanza gli interlocutori europei. Così, la Cina offre ancora una volta la mano alla Russia, auspica una “soluzione politica” della crisi ucraina e, addirittura, mette in circolazione l’ipotesi di una proposta di pace in dieci o più punti che, almeno per ora, sembra essere più una fantasticheria.

Nel frattempo, il discorso propagandistico di Vladimir Putin all’assemblea della Federazione Russa ha confermato la paranoia vittimistica del capo del Cremlino: la colpa della invasione dell’Ucraina sarebbe degli Usa e della Nato, la Russia non può che difendersi da questo intento imperialista e reagisce dichiarando una lotta senza quartiere contro l’Occidente e i suoi valori. La realtà dei fatti viene clamorosamente rovesciata e trasporta tutto il popolo russo in una sorta di mondo parallelo, abitato dal delirio del suo dittatore. Sul piano geostrategico, con il totale rifiuto dell’Occidente Putin imbocca definitivamente la via ‘asiatista’, in un’alleanza sempre più stretta con la Cina. L’illusione di una Russia integrata nel mondo occidentale e, addirittura, amica della Nato, coltivata più di tutti da Silvio Berlusconi dai tempi dell’accordo di Pratica di Mare, viene così radicalmente smentita e finisce nella soffitta della storia. Viceversa, Russia e Cina si ritrovano sempre più legati dalla sfida aperta contro le norme del diritto internazionale e dal rifiuto della primazia dei valori occidentale di libertà e democrazia che hanno sostenuto l’ordine internazionale per decenni.

Questa partnership è, tuttavia, asimmetrica. La guerra in Ucraina ha messo in luce la debolezza russa, perfino sul piano tecnologico e militare, mentre la Cina è diventata la seconda potenza economica mondiale. A dispetto della sua estensione territoriale, la Russia si rivela un nano economico che vale appena un decimo della potenza cinese.

Questa premessa è abbastanza importante per dare un contesto al tentativo di Pechino di intromettersi nella gestione della crisi ucraina. Nelle ultime settimane il governo cinese si è mosso nella direzione di una soluzione politica del conflitto, ma fin qui solo pensieri nebulosi e nessuna soluzione concreta. Viceversa, gli Usa lanciano l’allarme sui piani reali del Dragone, che, secondo l’accusa di Washington, si appresta perfino a fornire armi alla Russia per la guerra in Ucraina. L’allarme statunitense non va sottovalutato, per non ripetere di nuovo l’errore compito all’inizio del 2022, quando Biden avvertì sulle intenzioni bellicose di Putin sull’Ucraina ricevendo il silenzio o l’ironia dei paesi europei.

Il più diretto coinvolgimento della Cina potrebbe dipendere dal fatto che la Russia stia perdendo. Dal punto di vista di Pechino, una rapida vittoria di Putin sarebbe stata vista con soddisfazione come uno schiaffo in faccia agli Stati Uniti. Ma il protrarsi del conflitto ha galvanizzato l’Unione europea e rinvigorito la Nato. Alla lunga, l’indebolimento della Russia potrebbe creare un vuoto politico lungo il confine settentrionale della Cina che potrebbe tramutarsi in una grave minaccia alla sicurezza di Pechino. Per Xi Jinping questa potrebbe essere una buona occasione per entrare a pieno titolo nel governo del pianeta, mettendo in discussione l’egemonia statunitense. Tuttavia, il fatto di essere ormai il principale partner strategico della Russia e di avere beneficiato della guerra potendo accedere alle risorse naturali russe a basso prezzo, rendono la Cina un mediatore ben poco credibile. A ciò si aggiunga il fatto che la posizione politica della Cina è del tutto incompatibile con le prospettive occidentali: non soltanto il governo di Pechino si è rifiutato di condannare l’invasione di Putin, ma in più rinnova da mesi la stessa ricostruzione degli eventi forniti da Mosca secondo cui gli Stati Uniti e la Nato usano l’Ucraina per fare guerra alla Russia.

Viceversa, con i suoi comportamenti obliqui, Pechino potrebbe avere diversi buoni motivi per prolungare la guerra. In primo luogo, c’è l’interesse di distrarre gli Stati Uniti e le sue risorse militari dal Pacifico, indebolendo gli sforzi di Biden di rispondere al dominio cinese in Asia. In secondo luogo, un conflitto di lunga durata potrebbe determinare delle divisioni tra Stati Uniti ed Europa, creando anche una stanchezza nelle società civili europee, a favore degli obiettivi di politica estera della Cina. Allo stesso modo, il protrarsi della guerra potrebbe scatenare il dissenso politico a Washington, rendendo più debole l’amministrazione Biden. In terzo luogo, infine, Pechino potrebbe non avere fretta di vedere la fine della guerra in Ucraina proprio perché questo potrebbe far crescere nel mondo l’immagine degli Stati Uniti come paese guerrafondaio mentre aumenterebbe le chances cinesi di presentarsi come un mediatore globale, anche a dispetto dell’amicizia con Mosca. Non bisogna sottovalutare che il mondo è molto più grande di quanto lo vediamo dalle capitali europee e che il “pubblico” di riferimento di Pechino è sempre più il cosiddetto Sud del mondo: molti paesi che non fanno parte del blocco occidentale hanno espresso un tiepido sostegno alla posizione dell’Ucraina e non coltivano particolare simpatia per i paesi europei, men che meno per gli Stati Uniti. Un sondaggio condotto in 15 paesi dallo European Council on Foreign Relations pubblicato mercoledì scorso rivela un divario crescente tra l’Occidente e il mondo in via di sviluppo circa l’atteggiamento nei confronti della guerra, della democrazia e dell’equilibrio globale di potere. Ecco perché, sventolando la bandiera della pace e del dialogo, proprio mentre la guerra si trascina stancando tutti, la Cina conta di prendere il sopravvento morale e politico globale sugli Stati Uniti agli occhi del mondo in via di sviluppo.

Vittorio Ferla
vittorinoferla@gmail.com

Giornalista, direttore di Libertà Eguale e della Fondazione PER. Collaboratore de ‘Linkiesta’ e de 'Il Riformista', si è occupato di comunicazione e media relations presso l’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale del Lazio. Direttore responsabile di Labsus, è stato componente della Direzione nazionale di Cittadinanzattiva dal 2000 al 2016 e, precedentemente, vicepresidente nazionale della Fuci. Ha collaborato con Cristiano sociali news, L’Unità, Il Sole 24 Ore, Europa, Critica Liberale e Democratica. Ha curato il volume “Riformisti. L’Italia che cambia e la nuova sovranità dell’Europa” (Rubbettino 2018).

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