
13 Gen Perché è difficile in Italia ricostruire un partito del Pil
di Natale Forlani
L’obiettivo dichiarato dalle coalizioni che si sono alternate alla guida del nostro paese è sempre stato quello di assicurare la ripresa della crescita economica. Buoni propositi smentiti dall’andamento dell’economia reale che, da vent’anni a questa parte, ha registrato una crescita del Pil costantemente dimezzata rispetto la media dei paesi aderenti alla Ue. E senza significativi scostamenti nel corso dei governi che si sono alternati alla guida del paese, fossero essi di centrodestra, centrosinistra o semplicemente governi tecnici.
Le cause del declino
Eppure, nonostante le evidenze, c’è un rifiuto pressoché generale, a cercare di comprendere le cause del declino, quelle che hanno a che fare con le dinamiche strutturali del nostro corpo sociale. Nella dialettica politica il colpevole assoluto viene sempre identificato nell’avversario di turno, oppure nei complotti internazionali che le varie potenze mondiali ordiscono contro lo 0,8% della popolazione (l’Italia) del globo terrestre.
Alcuni studiosi e osservatori non particolarmente appassionati alla dialettica politica – cito a caso Luca Ricolfi e Piero Angela – sottolineano da tempo i fattori che sono all’origine del declino economico e sociale del nostro Paese:
– la decrescita demografica, che annichilisce l’orizzonte degli investimenti familiari e la vitalità della popolazione attiva;
– la riduzione costante degli investimenti che possono assicurare una solidità futura alla nostra comunità: infrastrutture evolute, risorse umane qualificate, ricerca.
La società signorile di massa
In particolare, Luca Ricolfi, in un recente saggio titolato “La società signorile di massa”, offre una lettura organica e documentata della stagnazione economica e sociale italiana. L’autore la riconduce a tre fattori primari:
– la quota della popolazione attiva minoritaria rispetto al numero delle persone in grado di lavorare,
– il crescente distacco del sistema educativo e formativo rispetto alle dinamiche del mercato del lavoro,
– la ricchezza mobiliare e immobiliare accumulata dalla vecchie generazioni che consente alle giovani generazioni di consumare senza lavorare.
La forma moderna della società signorile, per l’appunto di massa, viene completata dalla generazione di un mercato “para schiavista” di lavoratori, in particolare gli immigrati, costretti a fare a basso prezzo i lavori disdegnati dai cittadini autoctoni.
All’interno di questa lettura è importante constatare il concorso offerto dallo Stato con l’espansione della spesa corrente, in particolare quella previdenziale e assistenziale, e del debito pubblico al sostegno del reddito delle famiglie ed alla formazione dello squilibrio generazionale. Con effetti negativi che sono persino aumentati nel decennio recente caratterizzato da due cicli di crisi della economia.
Una società ricca (il rapporto tra il nostro reddito generato e il patrimonio mobiliare e immobiliare è il più elevato in Europa e al terzo posto a livello mondiale) e che si ingegna in vari modi per cercare di valorizzare il reddito disponibile, anche con il concorso della evasione dei tributi e del lavoro sommerso. Uno Stato povero, ma costretto a far fronte a una domanda di prestazioni insostenibili. Una economia condannata alla stagnazione.
Senza crescita, la distribuzione del reddito diventa un gioco a somma zero. Il contesto ideale per generare l’invidia sociale e l’ostilità verso gli altri che pervade una società smarrita e senza orizzonte.
Contrastare il rischio di autodistruzione
La cosa singolare è l’affermarsi di una politica trasversale rivolta a cavalcare l’autodistruzione della comunità. Con promesse inattuabili, investimenti inesistenti, l’ossessione di redistribuire il nulla salvo complicare la vita a chi produce, l’illusione che possa essere lo Stato, intermediatore e gestore delle risorse, la soluzione dei problemi. Ovviamente ampliando la spesa corrente e il debito con la promessa di ripagarlo tramite una ripresa economica che non si avvera. Ecco spiegato il populismo trasversale che attanaglia la politica italiana, capace di stare al governo, all’opposizione, e persino in piazza contro l’opposizione.
Una continuità sostanziale, oserei dire da manuale, che sollecita la descrizione delle differenze politiche e delle proprie identità, costruendo caricature degli avversari politici.
Un andazzo che dovrebbe essere contrastato dalle forze, altrettanto trasversali, che ancora sopravvivono, nei partiti politici, nelle amministrazioni locali, nelle forze sociali, nelle imprese e nel mondo della cultura. Una sorta di partito del Pil che non si rassegna al degrado e che si ponga il problema di mettere centro delle politiche chi produce, lavora, genera figli e si prende cura delle persone. Semplicemente facilitando il loro compito.
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