Pnrr, un anno dopo: il Mezzogiorno dalle ambizioni alle scelte - Fondazione PER
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Pnrr, un anno dopo: il Mezzogiorno dalle ambizioni alle scelte

di Leandra D’Antone

 

Esattamente lo scorso anno, nel pieno della formulazione del PNRR nella edizione del Governo Conte, Fondazione PER ha pubblicato il suo Quaderno 1, 2021: Il Mezzogiorno in movimento. Proposte e progetti verso il Next Generation. L’UE aveva assegnato all’Italia la quota più alta del Recovery Found per la realizzazione del suo programma, 191,5 miliardi di cui quasi 70 a fondo perduto; più del doppio rispetto agli altri grandi paesi europei, considerando la maggiore gravità degli indicatori economico-sociali del Mezzogiorno, la portata catastrofica e irreversibile che qui vi stanno assumendo da tempo la perdita di capitale umano qualificato e l’inversione della curva demografica, tutto prevalentemente a carico delle giovani generazioni. Era stato fissato un orizzonte di breve periodo per la realizzazione di 6 missioni (in ordine per ammontare di finanziamento: digitalizzazione, rivoluzione verde, infrastrutture per una mobilità sostenibile, istruzione e ricerca, inclusione e coesione, salute), da concludere entro il 2026, con l’ambizione non di un ritorno alla normalità ma di una vera rivoluzione valoriale, capace di informare di sé la vita economico-sociale. Non sono mancati i richiami ricorrenti alla integrale rigenerazione che avvenne per effetto del Piano Marshall, con gli investimenti per la ricostruzione e lo sviluppo nel secondo dopoguerra, quando fu riservata un’attenzione primaria al Mezzogiorno italiano. Nell’orizzonte ravvicinato del 2026, e grazie all’ammontare destinato con le maggiori risorse finanziarie, il Sud sembrava dovere interpretare nel PNRR la più importante sfida, non solo per il suo destino e per quello di un Paese ormai in pluridecennale declino anche nelle regioni più ricche (cadute nel confronto con le più ricche regioni europee), ma anche per quello dell’intero continente dell’euro. Su quest’ultimo incombevano ormai da tempo evidenti asimmetrie economiche e rischiose manifestazioni di rivolta politica, solo accentuate dagli effetti della pandemia. Si mostrava stridente l’assenza di strategia europea nell’area mediterranea, fondamentale nella competizione economica globale con Cina e Russia, o presidiata da Turchia e Russia in Libia e Siria, zone altamente conflittuali e crocevia di grandi flussi migratori.

Peraltro, la frontiera dell’Europa mediterranea era stata alla base delle stesse origini dell’Unione, che già dal 1995 aveva incluso la prospettiva di una zona di libero scambio tra i paesi costieri entro il 2010, e previsto l’innervatura dell’intero continente, in ogni sua direzione, con grandi reti di connessione materiali e immateriali che includessero la Sicilia –i grandi corridoi intermodali del Programma Trans European Network-Transportation- indicando come indispensabili l’alta velocità ferroviaria e l’attraversamento stabile del Ponte sullo Stretto di Messina. Era già fortissima la consapevolezza dell’allarmante stato dell’ambiente dovuto anche alla assoluta dominanza del traffico su strada con uso di combustibile fossile, soprattutto in Italia e soprattutto nelle sue regioni meridionali, dove le ferrovie avevano conservato pressoché interamente l’impronta ottocentesca e dove infrastrutture ferroviarie, autostradali, ma anche aeree e portuali, dividevano l’Italia in due diversi sistemi: a Nord e a Sud di Napoli-Salerno. Fino alla definizione del PNRR, la prospettiva del Sud come piattaforma logistica d’Europa nel Mediterraneo e della Zona di libero scambio, erano sfumate sull’onda di emergenze di ogni tipo, dalla fragilità istituzionale “continentale”, alla crisi finanziaria del 2007-2011 con i suoi effetti sui paesi ad alto debito, alle manifestazioni anti-euro dei paesi sovranisti, al terrorismo islamico, alle emergenze migratorie. Il Continente si era ristretto al suo Centro-Nord e verso il suo fronte orientale, con un’Italia a sua volta in regresso verso una forma di dualismo dai connotati da tempo superati o forse mai avuti. Lega a Nord e M5Stelle al Sud, si affermavano in successione come espressioni politiche contrapposte, ma fondamentalmente convergevano nel freno alla spesa in conto capitale nel Sud: la prima rivendicando al Nord gli investimenti più innovativi; i secondi demonizzando nel Sud le grandi opere (proprio gli investimenti più urgenti e innovativi), complice una sinistra multiforme in perenne dubbio, dovendo riconquistare l’elettorato in fuga. Il TEN-T europeo col Corridoio Scan-Med dell’alta velocità ferroviaria da Berlino a Palermo, si era fermato a stento a Napoli, il Ponte da opera prioritaria nel 2002 nella Smart List dell’Unione Europea, era stato cancellato nonostante la completa valutazione pubblica, tecnologica e amministrativa, del progetto e pur essendo arrivato nel 2011 alla fase di cantiere; lo stesso Corridoio Scan-Med aveva virato verso l’Adriatico per circuire via mare le coste adriatiche, joniche e mediterranee  fino a La Valletta,  e lasciare l’intero Sud del Sud -la Calabria e la Sicilia- ancora privo di infrastrutture cosiddette “core”. Gioia Tauro aveva perso il ruolo di primo porto per il traffico intercontinentale di navi containers nel Mediterraneo, acquisito alla fine del primo millennio.

Nel 2020 la crisi pandemica aveva imposto senza possibilità di proroga all’Europa il tema della sua complessiva ragion d’essere come robusta e consolidata istituzione non solo economica e monetaria intraprendente e competitiva, e non solo difensiva per regole austere; avendo già la Banca centrale europea di Mario Draghi dato ad essa ossigeno con la circolazione di grandi quantitativi di titoli del debito pubblico limitati al mercato secondario nella forma del quantitative easing, soprattutto per soccorrere i paesi in evidente sofferenza a causa della crisi del 2007-2011. Pertanto sia nei documenti europei, che, a maggior ragione, nelle prime elaborazioni del PNRR italiano, svettavano le dichiarazioni euro-mediterranee e meridionaliste con particolare enfasi sull’importanza delle infrastrutture della mobilità sostenibile, sull’alta velocità ferroviaria, sulle Zone economiche speciali e sui porti meridionali.

La prima versione ufficiale del PNRR, ancora con progetti di massima fu un vero flop. L’alta velocità al Sud era finta, si chiamava Alta velocità di Rete, portando le velocità massime a 200 kmh (rispetto ai 300/350 del Centro-Nord), proponendo di fatto beffardamente la semplice velocizzazione della Salerno-Reggio Calabria e oltretutto deviandone il percorso all’interno allo scopo di collegare tre regioni;  seguendo cioè quel tracciato autostradale montano via Cosenza che già dal 1974, anno del completamento dei lavori, aveva diviso l’Italia in due sistemi di mobilità, al punto da aver richiesto al momento della nascita dell’UE lavori di adeguamento agli standard autostradali.

Le ovvie ricadute positive locali, sottolineate di recente anche in un rigoroso studio di Emanuele Ciani e Guido De Blasio e Samuele Poy sul tema Infrastrutture e sviluppo locale, non possono certo fare ombra sulle notissime vicende di una cosiddetta autostrada, di montagna, nata per collegare tre regioni allungando l’ipotetico e migliore percorso tirrenico di oltre 40 Km e costringendo a un tortuosissimo percorso di gallerie e viadotti in salita e in discesa e a velocità molto minori. Allo stesso modo, la “ferrovia veloce autostradale” implicava una diversissima qualità del servizio rispetto al resto del paese: tempi di percorrenza di poco inferiori a quelli incredibilmente lunghi già vigenti, ottenuti con un impiego rilevantissimo di risorse (oltre 20 miliardi), prevedendo circa 200 km di viadotti e gallerie su quasi 400 km di linea, risorse da attingere quasi interamente fuori dal Piano. Gli interventi strategici sui porti si limitavano alle due ascelle settentrionali di Genova e Trieste, nonostante la rilevanza dei porti meridionali del “quadrilatero-adriatico tirrenico” e soprattutto dei porti di Gioia Tauro (il principale italiano per il traffico di navi containers) e di Augusta-Santa Panagia (il principale italiano per il traffico di materie prime fossili). Nessuna strategia figurava per le Zone economiche speciali e per il loro potente incentivo al rilancio industriale; tanto meno per aeroporti meridionali e linee aeree, pur essendo queste ultime letteralmente dominanti per la mobilità da e per il Sud sulle lunghe percorrenze. Niente infine collegamento stabile nello Stretto. A tal proposito allora la Ministra delle Infrastrutture De Micheli aveva istituito un tavolo tecnico, senza alcun ingegnere strutturista, per riesaminare le diverse soluzioni possibili (già da decenni studiate e messe a confronto e dopo la selezione per gara internazionale pubblica di un progetto sottoposto con gare pubbliche a tutte le verifiche di fattibilità e già divenuto esecutivo).

Nel Quaderno 1, 2021, Fondazione Per, con la partecipazione del Presidente della Svimez Adriano Giannola, dall’ambito della massima istituzione meridionalista sostenitore da anni della necessità di un Southern Range logistico e portuale, speculare all’efficientissimo Nothern Range Nord-europeo, come secondo motore italiano nel Sud del Continente, ha raccolto i punti di vista e soprattutto le proposte precise di  alcuni eccellenti specialisti in materia di reti e servizi di trasporto, in particolare di ingegneri come Agostino Nuzzolo, Francesco Russo e Corrado Rindone, di economisti come Pietro Spirito e Mario Sebastiani, studiosi di architettura come Lucia Trigilia, tra le maggiori conoscitrici e promotrici del patrimonio architettonico e dei beni culturali in Sicilia. L’intento è stato quello di dare un contributo concreto alla miglior definizione di questa sezione del Piano, perché corrispondesse ad aspettative e necessità ormai improrogabili.

Nel febbraio 2021 è cambiato il Governo, con una configurazione mista di tecnici e politici, nella permanenza della stessa legislatura (per una politica incapace di formare una maggioranza), ma con una guida di salde competenze di politica economica e monetaria, a mio avviso la migliore possibile, quella di Mario Draghi: un banchiere centrale – figura peraltro con diversi ruoli istituzionali cruciale in età repubblicana nelle fasi di grande trasformazione (come avvenuto già con Einaudi e Menichella nella Ricostruzione, con Ciampi durante la nascita e il consolidamento dell’euro).

E’ sotto gli occhi di tutti come da allora il PNRR abbia assunto rapidamente la configurazione richiesta dalle autorità europee, sia nella parte riguardante le riforme, che in quella riguardante gli investimenti. Nonostante persistenti difficoltà dovute alla pandemia, ma anche nonostante il ruolo decisivo spesso frenante esercitato sulle scelte dalle forze politiche più forti in Parlamento, o da alcuni Ministeri, o dalle Regioni, la fiducia recuperata dall’Italia nel contesto internazionale è stata altissima, conseguendo nell’agosto 2021 la prima tranche dei finanziamenti in 24,9 miliardi di euro e una rapida ripresa del Pil. Oggi purtroppo una preoccupante inflazione – in presenza di un colossale impegno nelle produzioni alternative- dovuta soprattutto al rincaro dell’energia a causa del  conflitto con la Russia grande fornitrice di energia fossile e di parallele attività speculative, è destinata ad abbattersi come una scure su attività produttive e consumi già in sofferenza per la crisi finanziaria, poi per la pandemia, quindi per la forte dipendenza italiana dall’estero.  Le previsioni di crescita del Pil per il 2022 date al 6,5% hanno subito un ridimensionamento al 4,1%. Più ridotte ancora sono le previsioni di crescita del Pil nelle regioni meridionali per cui il semplice impatto del PNRR è previsto all’1,5% tra il 2022 e il 2026. Va ricordato che ancora le regioni meridionali non hanno recuperato il crollo dei valori di reddito, di produzione industriali e occupazionali dovuti alla crisi del 2007-2011.

La “prospettiva meridionalista” del Piano e la maturità tecnica della programmazione inclusa è tuttavia decisamente migliorata. Ciononostante l’antimeridionalismo ideologico o residuale è duro a morire; forse attualmente più per un Sud masochistico, a destra come a sinistra, che per un Nord pregiudizialmente ostile; forse perché per le regioni più meridionali il Mediterraneo continua ad apparire quell’”abisso in cui il Sud ha paura di cadere per non sprofondare nell’Africa” (felice espressione usata da Lucio Caracciolo, in LimesMediterranei”, 2017).

Eppure mai come oggi varrebbe il giudizio pronunciato nel 1949 dall’economista Paul Rosenstein Rodan, della Banca mondiale per la ricostruzione e lo sviluppo,  chiamato a valutare l’importanza del Piano per il Sud al tempo predisposto dalla Svimez e alla base dell’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno, avendo richiesto i finanziamenti dell’Istituto internazionale. Allora l’economista ne evidenziò i vantaggi per tutta l’economia italiana, e non solo. Per il know how disponibile e per le potenzialità maggiori di crescita al Sud, il finanziamento del Piano sarebbe sicuramente divenuto una “pietra miliare” nell’azione internazionale della Banca stessa. Con una consapevolezza: “Come Alice nel paese delle meraviglie l’Italia deve correre molto velocemente per restare ancora ferma”. Ancor più velocemente poteva e doveva correre il Sud. Così avvenne allora, e a maggior ragione dovrebbe avvenire oggi.  Anche oggi il nostro paese intero deve recuperare un declino economico, istituzionale e sociale cresciuto proprio nei tre decenni più recenti, quelli della maggiore diseguaglianza nella destinazione territoriale degli investimenti più innovativi; per questo a vantaggio dell’Italia intera e dell’Europa può e deve correre soprattutto il Sud.

Come Fondazione Per abbiamo deciso di rifare il punto rispetto alla riflessione di inizio 2001 a PNRR completato, già pre-finanziato, ed avviato a realizzazione nelle misure preliminari insieme all’annuncio di un dibattito pubblico sulle grandi opere. Tornano qui ad esprimersi gli stessi autori (Giannola, Nuzzolo-Rindone, Russo, Sebastiani, Spirito, Trigilia). Data la rilevanza della parte del piano riservata alle riforme e alla governance, godiamo in questa occasione anche del contributo di uno dei maggiori studiosi della nostra Pubblica amministrazione, Guido Melis.

Riguardo agli investimenti programmati, richiamo brevemente alcuni aspetti positivi nel PNRR approvato. Ricordo la riserva del 40% sull’ammontare complessivo degli interventi nel Sud, fondamentale, corrispondendo a un passo avanti rispetto al precedente 34%; tuttavia con la consapevolezza che quel 40% non derivi da risorse destinate nel PNRR -vi entrano prepotentemente i fondi europei e un fondo complementare aggiuntivo di 30 miliardi sul bilancio statale- e con la convinzione che la quantità delle risorse destinate al Mezzogiorno non abbia mai di per sé garantito la qualità e la lungimiranza del loro impiego; che quindi anche il 40% possa costituire una sorta di illusione ottica anche sotto il profilo delle scelte.

Limitandoci alle sole infrastrutture fisiche riguardanti le regioni del Sud sembra fortunatamente superata l’idea assurda di realizzare l’Alta velocità Salerno-Reggio Calabria col modulo dell’Alta Velocità di Rete, ovvero con aggiustamenti che consentano al massimo i 200 kmh; sembrano aver ritrovato un ruolo i porti meridionali con le Zone economiche speciali; sembra persino riaffacciarsi il progetto dell’attraversamento stabile dello Stretto di Messina; sembra in sostanza aver finalmente preso corpo l’idea che non solo lo sviluppo del Sud nell’area euro-mediterranea passi necessariamente attraverso le più innovative infrastrutture della mobilità e della logistica, ma anche che questo percorso di sviluppo abbia un contenuto digitale e green tra i più elevati.

Purtroppo. anche nell’attuale versione, l’analisi dettagliata del PNRR, smentisce alcune fondamentali aspettative. A differenza dal secondo dopoguerra, quando la ricostruzione italiana fece leva proprio su un “interesse straordinario per il Mezzogiorno” maturato in ambito nazionale oltre che internazionale, oggi l’idea che non valga la pena investire nel Sud del Sud è dura a morire proprio in ambito nazionale.

Il Piano, dovendo (per esplicita prescrizione del programma europeo) rispettare il completamento entro il 2026, è in grandissima parte composto di progetti già pronti e cantierabili con contenuti tecnici che non consideravano la disponibilità di risorse straordinarie, e quindi in parte già finanziati. Questo costituisce un handicap per un Piano che si propone di essere radicalmente innovativo e compensativo di grandi disuguaglianze territoriali; soprattutto in considerazione della scarsissima capacità di iniziativa e progettuale che ha finora caratterizzato le amministrazioni del Sud.

Sempre per tornare alle circostanze del secondo dopoguerra, tra le ragioni che spinsero la Banca mondiale a finanziare investimenti nel Sud fu -incredibile dictu – il fatto che proprio per il Sud fossero stati predisposti progetti specifici sin dal 1948, in ambito Svimez su sollecitazione dell’allora governatore della Banca d’Italia Donato Menichella, progetti carenti invece nel Nord (lo sottolineò sempre Rosentein Rodan per motivare la non esistenza di una alternativa per l’Italia a finanziamenti  della Banca Mondiale alla Cassa per il Mezzogiorno). Oggi, in assenza o con pochi progetti per le regioni meridionali, è consequenziale che nel Sud ricadranno di fatto anche meno risorse finanziarie e che ciò possa ridimensionare le aspettative di crescita. L’unico progetto cantierabile, quello del Ponte sullo Stretto a campata unica, già esecutivo nel 2011, per quanto di recente sollecitato alla Presidenza del Consiglio dai migliori ingegneri strutturisti italiani e stranieri, non è stato accolto nel PNRR, forse proprio per la sua enorme portata innovativa e di ribaltamento di equilibri territoriali consolidati, nonché per una ostilità alle grandi opere che oggi viene soprattutto dai 5Stelle e dalla sinistra (più che per i tempi tecnici lunghi di realizzazione).

Ma, entrando nel merito e facendoci accompagnare dai nostri autori ben convinti comunque delle potenzialità enormi di cambiamento legate al Piano, emergono molti punti di criticità riguardo soprattutto al Sud; li abbiamo evidenziati proprio perché vengano evitati errori e sprechi che metterebbero in discussione gli stessi obiettivi dichiarati del programma.

Iniziamo con le osservazioni sugli strumenti, che, con diversi approcci, sono oggetto degli interventi sia di Adriano Giannola che di Guido Melis.  Il primo guarda specificamente le politiche per il Mezzogiorno, il secondo alle politiche pubbliche per lo sviluppo e al ruolo dello Stato. Mi limito qui a un accenno.

Siamo, sottolinea Giannola, di fronte a un nuovo intervento straordinario da realizzare senza strumenti straordinari. Impossibile oggi ripetere la eccezionale storia della prima Cassa per il Mezzogiorno con la sua capacità tecnica e organizzativa; col perfetto coordinamento delle politiche straordinarie con quelle ordinarie presidiate da un Comitato dei Ministri per il Mezzogiorno e non da un Ministero ad hoc. Impossibile che un brain trust centrale e autonomo possa oggi esistere, considerati non solo i cambiamenti intervenuti nelle forme della politica, ma anche la forza delle attuali Regioni persino rispetto a quelle istituite nel 1970 che intaccarono, ricorda Giannola, il modello della Cassa “marcata Gabriele Pescatore”. A partire da quella degenerazione, che vide in “sinergia viziosa” Nord e Sud, non potevano che perdere credibilità il più debole Mezzogiorno (osservo io, anche per questo “abolito”) e la fiducia nelle politiche meridionaliste. Quando dal 1998 sotto l’impulso di Ciampi esse hanno ripreso piena cittadinanza e prestigio nell’ambito delle politiche di coesione europea, hanno avuto per direttiva esterna una netta impostazione “regionalista” ed è mancato un vero centro programmatore.  Ricorderei io, che la Nuova Programmazione, svoltasi in un contesto di politiche ordinarie di stampo leghista, ha rappresentato un coraggioso anche se in gran parte fallito tentativo, di riforma della pubblica amministrazione regionale e locale, spesso la più inefficiente, introducendo per la prima volta in una sezione dell’amministrazione centrale italiana una innovativa attività di valutazione e monitoraggio degli investimenti (Open Coesione). Ma, aggiunge Giannola, nelle attuali politiche straordinarie del PNRR, da realizzare con strumenti ordinari, l’idea di missioni e progetti coordinati dal centro e affidati a bandi locali competitivi e premiali, finisce col penalizzare i titolari di legittimi diritti di cittadinanza in base alla capacità tecnica o sensibilità sociale dei comuni di appartenenza. Secondo il Presidente della Svimez il Ministro dovrebbe assegnare le risorse in funzione di fabbisogni e fornire anche il progetto. A questo scopo esistono tutte le competenze necessarie nelle nostre istituzioni scientifiche, Politecnici, Università, centri di ricerca e rendicontazione. Occorre svolgere una politica ordinaria di perequazione e arrestare la deriva italiana interpretando gli autentici interessi dell’Europa nel Mediterraneo: “dare corpo alla fantomatica rendita mediterranea di cui siamo stati fruitori marginali per nostro storico demerito”. 

Secondo Guido Melis il PNRR costituisce la grande scommessa per la capacità della nostra pubblica amministrazione di governare e attuare gli investimenti; l’occasione perché una lunga storia italiana di debolezza dello Stato, rispetto ad altri grandi paesi industriali europei, venga finalmente superata. Grazie alla sua grande conoscenza della storia della pubblica amministrazione italiana, Melis ci ricorda come il nostro Stato riguardo alle politiche pubbliche, abbia fatto molto ricorso, per tutto il Novecento, ad “amministrazioni parallele”. L’Azienda delle Ferrovie dello Stato, l’Istituto nazionale delle assicurazioni, gli istituti speciali per il credito mobiliare, l’Anas l’Iri, la Cassa per il Mezzogiorno, ed altri enti pubblici autonomi, sono stati strutture agili ed efficienti, come non era né poteva essere la struttura ministeriale di un paese povero di capitali, nato dalla fusione dei modelli burocratici di molti piccoli stati e di un grande Regno. Si trattava di stati con diversi livelli di sviluppo economico e in cui una trasformazione industriale peraltro sostenuta dall’intervento pubblico e concentrata nel triangolo settentrionale, impose di fatto all’apparato amministrativo una funzione di compensazione di squilibri economici e sociali con forte impronta territoriale. Ma la lunghissima storia di sostituzione di funzioni fondamentali della nostra pubblica amministrazione l’ha progressivamente indebolita.  L’attuazione di un Piano ambizioso come quello in atto, con una responsabilità condivisa con altri paesi europei, con progetti di contenuto tecnologico elevatissimo e portata globale, non consente più di nascondere carenze amministrative con strumenti straordinari e non ammette proroghe al buon funzionamento dello Stato. Sono indispensabili “innesti di modernizzazione” sino ad ottenere una trasformazione radicale mediante l’organizzazione per funzioni e un reclutamento che ammetta corsie di eccellenza riservata ai giovani più promettenti.

Entriamo infine nel cuore del nostro tema, quello degli investimenti nella mobilità sostenibile, la terza missione del piano per ammontare di finanziamenti dopo digitalizzazione e rivoluzione verde; 31,46 miliardi, di cui 27,97 per rete ferroviaria ad alta velocità e strade sicure e 3,49 per intermodalità e logistica integrata. E’ in questo fondamentale capitolo che con la massima evidenza sia la garanzia della destinazione del 40% delle risorse al Sud, sia le scelte effettive, sembrano vacillare, rischiando di ripetere vicende analoghe a quelle del passato anche recente. Riteniamo che questo equivoco abbia soprattutto ragioni politiche (non solo le convenienze delle aree più ricche, ma anche i veti dei gruppi più forti in Parlamento, e l’impreparazione colpevole delle classi dirigenti regionali soprattutto nel Sud del Sud. Al tempo stesso siamo certi che le argomentazioni rappresentate in questo Quaderno non possano che riuscire – per la chiarezza e la convinzione dedicatavi- ad ottenere l’attenzione almeno della parte più lungimirante del nostro Governo, coerentemente con la decisone di volersi sottoporre al confronto pubblico.

Il cuore del Quaderno – la mobilità sostenibile- riguarda l’investimento più significativo ai fini del superamento di una disuguaglianza di cittadinanza, la più vistosa, ingiustificabile, la più ostinatamente mantenuta ad onta della disponibilità delle tecnologie più efficienti, del massimo del risparmio energetico (oggi sempre più vitale), dei più bassi costi, delle indicazioni internazionali sui tre grandi fattori dello sviluppo sostenibile: ambiente, economia, società. Il diritto negato al Sud, soprattutto alla Calabria e alla Sicilia, con le implicazioni green, di innovazione tecnologica, di impatto economico su occupazione e crescita del Pil, di libertà di movimento, è proprio l’accessibilità, la vera chiave del respiro interno e verso l’esterno nell’economia globale. Su quest’ultimo punto insiste anche Pietro Spirito con le considerazioni e le indicazioni sulla portualità e la logistica meridionale, sulle Zes che implicano visione dell’industria volta a farne crescere la scala dimensionale, dei trasporti ferroviari che distinguano, con grande risparmio di risorse e massima efficienza del servizio l’alta capacità per le merci e l’alta velocità per i passeggeri, l’organizzazione del sistema trasportistico definendone sulla base antimonopolistica la distinzione fra servizi e reti, e, in particolare per la portualità, impedendo la concentrazione di concessioni nelle mani di poche compagnie di potenti operatori globali.

Con evidenza analitica rigorosissima, Nuzzolo-Rindone e Russo, entrano nel merito del contenuto di Alta velocità effettiva da Roma alla Sicilia inclusa nel PNRR o riversato sul Fondo complementare nazionale di 30 miliardi. L’obiettivo è quello di richiamare sulla base di incontrovertibili dati tecnici e finanziari l’attenzione sulle conseguenze delle scelte finora effettuate o prefigurate, nella convinzione che tali conseguenze meritino la massima attenzione. Nuzzolo-Rindone presentano con massima chiarezza gli scenari alternativi in base ai progetti finanziati, in fieri o in fase ideativa- tenendo viva la logica dell’accessibilità, dei grandi corridoi europei e l’obiettivo di eliminare una grave disuguaglianza di diritti fra i cittadini del Centro-nord e quelli del Sud.

Il punto davvero più dirimente, la grande promessa del PNRR per la rivoluzione della mobilità, è l’Alta velocità ferroviaria a Sud di Salerno fino alla Sicilia, dove proprio non esiste; a cui ciononostante il PNRR dedica solo 3,2 miliardi dei circa 16 complessivi, con progetti già precedentemente definiti e finanziati, e rinviando al fondo complementare e al futuro ulteriori aperture di cantieri. Saremmo tuttavia ancora all’interno di una consolidata logica apparentemente “quantitativa”, se non considerassimo l’annuncio da parte del Ministro delle Infrastrutture e di FS, titolare ed esecutrice dei progetti, di indirizzare verso l’interno la ferrovia ad alta velocità del Sud, riproponendone itinerario di montagna e funzione: al momento realizzando solo la tratta Battipaglia-Romagnano e ipotizzando la Praia-Tarsia; in prospettiva persino col rischio della sostanziale cancellazione della vera Alta velocità fino alla Sicilia. Non solo per il suoi decisamente più alti costi di realizzazione -il Progetto delle FS prevede, dovendo attraversare la montagna rispetto al percorso tirrenico, un allungamento di circa 50 km con circa 200 km di gallerie su circa 400 km-. Ma anche per l’idea di mettere insieme una rete Alta velocità-Alta capacità, come avvenuto in Italia del Nord, con costi altissimi e mai attraversate da treni merci che preferiscono linee dedicate con costi di utenza molto più bassi. E’ il punto su cui insiste Francesco Russo, con una documentazione che fa riferimento alla più aggiornata letteratura internazionale sulle tecnologie migliori oggi disponibili per garantire la migliore accessibilità, i più bassi costi, le più elevate velocità, il migliore impatto ambientale ed economico sociale. Roma-Reggio Calabria con tecnologia AV Larg (Lean, Agile, Resilient, Green) dedita esclusivamente ai passeggeri e a treni logistici si può percorrere in meno di tre ore; in presenza di attraversamento stabile da Roma a Palermo si può arrivare in 4 ore e mezza.

Secondo Nuzzolo-Rindone, allo stato attuale del PNRR, date le caratteristiche delle limitate tratte inserite e le limitate risorse destinate nel PNRR sotto la denominazione di Alta velocità (incluso il raddoppio Catania-Palermo: 190 km in 2 ore!), in assenza di collegamento stabile e dato il rinvio al Fondo complementare per ulteriori soli 9 miliardi, è probabile che il target di 4,30 h indicato nel DEF 2020 per il collegamento tra Roma e le principali aree metropolitane italiane, sia destinato a restare una illusione per la linea da Roma a Palermo, trascinando con sé ancora una volta il destino del Sud e dei suoi giovani i soprattutto delle regioni più meridionali, nonché la tanto evocata piattaforma d’Europa nel Mediterraneo.

Nuzzolo-Rindone presentano nei dettagli l’inequivocabile scenario delle alternative in campo, con i loro costi e le loro implicazioni in relazione al disegno dei corridoi intermodali europei fino alla Sicilia e al target dei tempi dell’Alta velocità ferroviaria come sopra definiti. A scenario invariante, con gli interventi già programmati e finanziati del valore di 16 mld, di cui solo 3,2 nel PNRR, in assenza di collegamento stabile, ma col potenziamento per traghettamento incluso nel PNRR e con la velocizzazione della Messina Palermo, i tempi di percorrenza sarebbero quasi doppi rispetto a quelli di una effettiva alta velocità ferroviaria (7,30 h.). A scenario possibile, con le tratte incluse finora ma con attraversamento stabile, si otterrebbero tempi superiori alle 6 ore. Solo a scenario auspicabile, con ipotesi tirrenica solo lievemente variante e attraversamento stabile, si otterrebbero poco più di 5 ore. Dunque, qualunque decisione sulle tratte da inserire (è in discussione la Praia-Tarsia), va assunta con la massima consapevolezza delle implicazioni sul complesso dell’intera rete e sulla sua funzione. Si tratta di scenari che non possono che essere presi nella massima considerazione.

Stupisce la decisione dell’attuale Ministro delle infrastrutture a proposito dell’evidentemente imprescindibile collegamento stabile, di finanziare nuovamente uno studio tecnico che mette confronto fra il ponte a campata unica con quello a tre campate, studio già effettuato in passato con tutti i passaggi procedurali; mettendo in campo persino l’opzione zero!

Con logica di efficienza e di conversione ecologica, vanno piuttosto anche razionalizzate le tratte e i servizi aeroportuali, sebbene, sottolinea Sebastiani tali interventi costituiscano una piccola parte della programmazione della mobilità sostenibile, e sebbene rimanga da risolvere il nodo cruciale della effettiva essenzialità di una compagnia di bandiera che, ancora una volta con l’ITA, anche per la sua modestissima dimensione, è destinata a sopravvivere grazie al solito continuo sostegno pubblico.

Intanto, ricorda Lucia Trigilia, tra i 10 musei più visitati d’Italia nessuno è a Sud della Campania. Non figura tra i primi 10 neanche il Museo di Reggio Calabria, che custodisce i Bronzi di Riace, ammirati da milioni di visitatori di tutto il mondo a Firenze subito dopo il restauro e dimenticati in Calabria; o il Museo Paolo Orsi di Siracusa. 7 siti Unesco in una Sicilia con 5 milioni di abitanti restano poco accessibili.

Leandra D'Antone
dantone@per.eu

Professore Senior di Storia Contemporanea all’Università di Roma La Sapienza. Tra le pubblicazioni: "Senza pedaggio. Storia dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria", Donzelli 2008, "Da Ente transitorio a Ente permanente e L’architettura di Beneduce e Menichella", in "Storia dell’Iri", vol 1, Laterza 2012; "Due, molte una sola Italia", in "L’approdo mancato", a cura di F.Amatori, Annale Feltrinelli 2016; "La via siciliana al credito speciale. La Sezione di credito industriale" (con M.Alberti), in "Storia del Banco di Sicilia", a cura di F.Asso, Donzelli 2017. E’ autrice della voce "Pasquale Saraceno" per il "Dizionario Biografico degli italiani", Treccani.

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