
12 Mar Politica agricola comune 2021-2027: le proposte della Commissione UE
di Ermanno Comegna
Nel mese di giugno 2018, la Commissione Europea ha presentato ufficialmente le proprie proposte per la riforma della PAC per il settennio 2021-2027. Nei mesi successivi, c’è stato un intenso confronto nelle diverse sedi istituzionali (Parlamento e Consiglio dei Ministri), per comprendere gli orientamenti dell’esecutivo comunitario e per definire la posizione comune con la quale presentarsi al negoziato interistituzionale (trilogo).
I 18 mesi che sono trascorsi hanno consentito di svolgere i necessari approfondimenti, comprendere la portata innovativa delle proposte dell’esecutivo comunitario e preparare gli emendamenti da porre sul tavolo della discussione.
L’iter di approvazione della riforma è stato condizionato dalle scadenze istituzionali relative al rinnovo del Parlamento europeo e del collegio dei commissari, oltre che dalle incertezze sul futuro del bilancio dell’Unione Europea e sullo stanziamento da destinare al settore agricolo.
Dopo l’insediamento della Commissione agricoltura del Parlamento Europeo e la nomina del nuovo Commissario, il processo di riforma ha ripreso vigore, con alcune novità intervenute recentemente. Il riferimento va in particolare alla comunicazione della Commissione sul Green Deal Europeo e alla strategia che sarà annunciata entro la prossima primavera denominata “farm to fork”.
L’impressione è che gli ultimi eventi accentueranno l’orientamento verso i temi della sostenibilità ambientale, della salvaguardia e tutela della biodiversità, degli sforzi per affrontare i cambiamenti climatici e delle iniziative per contribuire a realizzare un’economia circolare.
Non è sfuggito il richiamo del Presidente della Commissione ed alcuni riferimenti contenuti nei documenti ufficiali sulla necessità di garantire agli agricoltori europei e alle loro famiglie condizioni di vita dignitose e quindi preservare la capacità della PAC di proteggere il reddito e governare i mercati.
Pertanto, si può ritenere che non ci sarà uno stravolgimento delle proposte dell’esecutivo comunitario. Sicuramente interverranno delle modifiche e delle integrazioni, ma l’architettura della riforma dovrebbe essere salvaguardata, soprattutto in relazione ai capisaldi del nuovo modello di gestione (orientamento al risultato e maggiori responsabilità decisionali degli Stati membri), della nuova architettura verde della PAC, del mantenimento del regime dei pagamenti diretti.
In tal modo, anche la riforma 2021-2027 si pone nel solco delle precedenti, con cambiamenti importanti, ma di carattere parziale e con il mantenimento degli elementi essenziali della ormai rodata politica di sostegno, basata su due pilastri: il primo orientato al sostegno del reddito ed al governo dei mercati ed il secondo mirato sullo sviluppo rurale.
Di sicuro, sarà preservato il ruolo dominante dei pagamenti diretti, come strumento per garantire un reddito minimo agli agricoltori. Allo stesso tempo, però, si può dare per assodato il mantenimento della non abbastanza biasimata complessità di gestione ed attuazione degli strumenti della PAC.
Per incidere su tale elemento e per avere una politica agricola europea che ridimensiona il ruolo dei pagamenti diretti bisognerà aspettare la fase post 2027 e quindi iniziare a lavorare tra qualche anno, con linee guida di tipo politico sulle quali poi la Commissione europea avrà modo di riflettere in vista della predisposizione del successivo pacchetto di riforme.
Gli elementi salienti della proposta di riforma
La revisione della PAC in corso, come accennato, non agisce sui classici strumenti fino ad oggi utilizzati (pagamenti diretti, interventi settoriali e sviluppo rurale), la cui impostazione rimane pressoché inalterata, anche se i Paesi membri avranno la possibilità di incidere sulla loro impostazione e funzionamento, magari anche introducendo approcci fortemente innovativi.
Sicuramente il nuovo modello di gestione rappresenta la principale novità, in quanto, produce un cambiamento nei ruoli e nelle responsabilità delle diverse istituzioni che sono coinvolte nella programmazione e nella gestione della PAC. Ciò è vero in particolare per gli
Stati membri a struttura regionalizzata, dove, finora, un ruolo decisivo nel governare la PAC è stato ricoperto dalle Regioni.
In Italia, questi enti hanno avuto la responsabilità e l’autonomia di mettere in campo la politica di sviluppo rurale, attraverso dei programmi da essi stessi stabiliti e poi gestiti fino alla selezione dei beneficiari e alla istruttoria delle domande di pagamento e, in molte Regioni, fino alla erogazione finale dei contributi (in particolare quelle con propri organismi pagatori).
In questo modo, le Regioni hanno acquisito una certa visibilità ed hanno assunto la responsabilità di decidere su una porzione fondamentale della PAC, avendo anche il compito di interloquire direttamente con i servizi comunitari nella fase di programmazione ed attuazione.
Fino ad oggi, il Ministero ha ricoperto la responsabilità degli interventi settoriali, del regime dei pagamenti diretti e di una porzione circoscritta del secondo pilastro della PAC (gestione del rischio, interventi a favore delle associazioni zootecniche, grandi investimenti irrigui).
Con il nuovo modello di gestione, si passa ad una pianificazione strategica unitaria e pluriennale a livello nazionale, all’interno della quale, le Regioni, le Provincie Autonome e il Ministero devono trovare un nuovo modello virtuoso di interazione, per selezionare nel miglior modo possibile gli interventi di sostegno, in maniera tale che essi siano in linea con i fabbisogni del sistema agricolo territoriale e per attuarli in modo efficacie ed efficiente, utilizzando in pieno le risorse finanziarie e facendo giungere con celerità i contributi a favore dei beneficiari.
Non è facile gestire la transizione verso il nuovo modello di gestione, dopo una lunga fase di stabilità del sistema di governance e di coordinamento delle politiche agricole europee a livello nazionale.
Non c’è solo in ballo la revisione del tipo di relazioni ed interazione tra istituzioni regionali e nazionali, ma vi sono pure da considerare le maggiori responsabilità degli Stati membri e le conseguenze derivanti dal già richiamato principio dell’orientamento al risultato. Fino ad oggi, i regolamenti della PAC ed i documenti di lavoro dei servizi comunitari hanno stabilito un quadro di riferimento con regole e linee guida assai minzione. Ciò per un verso ha limitato i margini di manovra delle autorità nazionali e per l’altro le ha spinte a concentrarsi prevalentemente sulla conformità.
Il nuovo modello di gestione è un approccio con diverse sfaccettature che andrebbe approfondito e sviscerato per fare emergere appieno l’impatto ed il significato. Esso è composto da tre essenziali elementi:
1- la devoluzione delle responsabilità decisionali dal livello comunitario al livello nazionale. Questo implica, ad esempio, che la scelta del numero, della tipologia, dell’impostazione e del funzionamento degli interventi dello sviluppo rurale da attuare, è lasciata alla completa discrezionalità dei Paesi membri, senza più l’impostazione dirigistica che è stata finora dettata nei regolamenti di base e applicativi dell’Unione europea;
2- la semplificazione del quadro normativo comunitario che, con la riforma in discussione, si limita a stabilire le sole regole generali di riferimento, senza entrare nei dettagli;
3- la valutazione dell’operato dei Paesi membri non più sulla conformità e sul rispetto delle disposizioni e linee guida comunitarie, ma sulla capacità di raggiungere gli obiettivi programmatici individuati nel piano strategico nazionale.
Per chiudere con l’argomento del New Delivery Model, pare opportuno sottolineare come, a differenza di quanto comunemente si ritenga, il nuovo approccio non va a compromettere il ruolo politico delle Regioni, anzi a parere di chi scrive, lo esalta. Ciò, grazie ai più ampi gradi di libertà che sono disponibili, pur in un contesto di perdita del rapporto diretto con i servizi della Commissione Europea, per quanto essi siano basati, oggigiorno, sulle valutazioni di conformità e non sulle scelte di tipo strategico.
L’altro caposaldo della proposta della Commissione risiede nella nuova architettura verde della PAC che è trasversale sia al primo che al secondo pilastro, andando ad incidere sulla condizionalità, sullo schema ecologico come nuova componente dei pagamenti diretti, sulla impostazione degli interventi settoriali e, infine, sulle scelte per lo sviluppo rurale.
Le proposte della Commissione si preoccupano di migliorare le prestazioni ambientali dell’agricoltura europea e di aumentare la sensibilità degli operatori verso i temi della biodiversità, del cambiamento climatico, del benessere degli animali, della qualità del suolo, dell’acqua e dell’aria, dei sistemi agricoli ecologici e sostenibili.
La nuova architettura verde si basa su un sistema di condizionalità rafforzata, con più vincoli e requisiti per le imprese e meno deroghe ed esenzioni rispetto a quanto contenuto nell’attuale PAC.
Le tre misure del greening, che oggi assorbono il 30% dello stanziamento per i pagamenti diretti, sono mantenute e rese più rigorose (non si parla più di diversificazione colturale ma di avvicendamento) ed incluse tra le regole della condizionalità e quindi considerate come prestazioni ecologiche ed ambientali minime, non oggetto di alcuna compensazione finanziaria.
Il nuovo regime ecologico nell’ambito dei pagamenti diretti assegna agli Stati membri la responsabilità di definire un elenco di pratiche agricole, in grado di provocare un impatto benefico per il clima e per l’ambiente, la cui attuazione da parte dell’agricoltore è facoltativa.
Non sarà agevole per l’autorità nazionale, programmare e gestire questa nuova componente del regime dei pagamenti diretti, in particolare per quanto riguarda la scelta degli impegni da proporre ai potenziali beneficiari che, oltre al requisito dell’efficacia in termini di prestazioni ambientali, deve anche soddisfare altre esigenze, come quella di non discriminare tra aree geografiche, tipologie di aziende e settori produttivi.
C’è poi il grande capitolo degli impegni agroambientali che devono essere inseriti nell’ambito degli interventi dello sviluppo rurale, tenendo conto degli ampi margini di manovra a disposizione delle autorità nazionali e regionali e della conseguente possibilità di mettere in campo soluzioni originali, innovative ed in linea con i fabbisogni del territorio.
Ci sono altri due elementi di interesse nell’ambito della proposta di riforma dell’esecutivo comunitario e sono l’attenzione alla questione del ricambio generazionale e la sensibilità nei confronti del tema della ricerca, dell’innovazione e della conoscenza.
A dire il vero, anche la PAC oggi vigente è piuttosto sensibile rispetto a tali tematiche e vi dedica specifici interventi e cospicue risorse finanziarie. L’aspetto nuovo è la maggiore centralità che i giovani agricoltori e l’innovazione rivestiranno in futuro, sia in termini di politiche specifiche di sostegno che di stanziamento di risorse finanziarie e di interdipendenza tra i diversi strumenti.
Come per tutti gli altri interventi, anche in questo caso il risultato finale dipende dalle scelte delle autorità nazionali e regionali, in termini di efficace programmazione e di capacità degli operatori e dei destinatari delle politiche a cogliere le opportunità che si presentano e utilizzare in modo responsabile gli strumenti a disposizione.
Le questioni aperte
Il percorso verso l’avvio del negoziato interistituzionale tra Commissione, Consiglio e Parlamento europei sta subendo una sostanziale accelerazione, dopo i tentennamenti che ci sono stati a partire dalla primavera dello scorso anno.
Si prevede che, entro giugno prossimo, i “triloghi” possano iniziare e, prima della fine del corrente anno, il pacchetto di riforma potrebbe essere approvato. Se cosi fosse basterebbe solo un anno transitorio e cioè il 2021 e la nuova PAC partirebbe, con i programmi strategici nazionali, il primo gennaio 2022.
Ci sono tuttavia diverse incognite ed ostacoli da superare, il più importante dei quali è certamente la decisione in materia di bilancio pluriennale dell’Unione Europea, dalla quale scaturisce il fondamentale parametro delle risorse finanziarie con cui alimentare gli interventi della PAC per l’intero periodo di programmazione.
Oltre al nodo delle risorse, ci sono diverse altre questioni sulle quali permangono delle incertezze e potrebbero esserci sostanziali novità.
L’iniziativa politica del Green Deal Europeo inciderà sicuramente sugli aspetti ambientali della nuova PAC. Si può senz’altro prevedere un aumento dell’attenzione delle istituzioni verso il tema delle prestazioni ambientali delle aziende agricole ed una maggiore severità nel valutare i piani strategici nazionali sotto tale profilo.
Non si può escludere la possibilità che intervengano proposte di emendamento da parte del Parlamento e del Consiglio che incidano direttamente sugli interventi per la sostenibilità ambientale della nuova PAC. La stessa Commissione europea potrebbe decidere di rivedere le proprie proposte su tali argomenti, alla luce delle prese di posizione assunte dal Commissario Wojciechowski, il quale ha annunciato l’intenzione di promuovere l’agricoltura biologica e di presentare un piano di azione forte in materia.
Un secondo tema oggetto ancora di confronto è la convergenza esterna, e cioè il dispositivo in base al quale il valore medio dei pagamenti diretti incassati dagli agricoltori dei diversi Stati membri deve avvicinarsi e, al limite, tendere all’uniformità. È un tema piuttosto sensibile, perché comporta la redistribuzione delle risorse finanziarie tra i vecchi ed i nuovi Paesi membri dell’Unione Europea, penalizzando i primi e avvantaggiando gli altri.
L’Italia segue con una certa apprensione le decisioni su tale argomento, le quali vengono prese dai capi di Stato e di Governo e non dai ministri dell’agricoltura. Un’ipotesi di convergenza forte, sostenuta dal gruppo dei paesi dell’Europa centrale ed orientale, comporterebbe effetti notevoli per le imprese agricole italiane.
C’è una terza importante questione aperta ed anche essa discende dalla iniziativa del Green Deal e riguarda le conseguenze sulle politiche commerciali verso i paesi terzi e sugli interventi di sostegno a favore di determinate produzioni agricole europee. Tra le azioni annunciate dal Presidente della Commissione, vi è la strategia “farm to fork” con la quale si pensa di introdurre delle misure, anche a livello legislativo, tese a favorire un consumo alimentare sostenibile e promuovere alimenti sani a prezzi accessibili per tutti. In tale contesto, si prevede che le produzioni agricole ed alimentari importate dai Paesi terzi debbano essere conformi alle corrispondenti norme europee in materia ambientale e di sicurezza alimentare. In mancanza di tale conformità, l’importazione non è autorizzata.
Inoltre, come sottolineato dal Commissario Europeo all’Agricoltura, il Green Deal tende a promuovere il più possibile le filiere agroalimentari corte e cerca di ridurre il trasporto a lunga distanza delle materie prime agricole, con particolare riferimento agli alimenti per la zootecnia. Il Commissario Wojciechowski ha parlato di frenare le importazioni di soia e derivati dall’America e sostenere una produzione interna di proteine vegetali.
È del tutto evidente come questi elementi incidano sia sulle politiche commerciali dell’Unione Europea, sia sulle scelte in termini di interventi di sostegno a favore di specifici settori produttivi.
Conclusioni
Il pacchetto di riforma della PAC post 2020 presentato dalla Commissione UE a metà 2018 ha incontrato diversi ostacoli, ma ora sembra avere imboccato la giusta direzione e ci sarebbero le condizioni per l’approvazione entro la fine del 2020 e per la prima applicazione dal 2022, con un solo anno di ritardo rispetto al cronogramma iniziale.
La politica agricola per il prossimo periodo di programmazione conferma i tradizionali strumenti della PAC (primo e secondo pilastro) ed introduce novità sostanziali in termini di governance e di ripartizione delle competenze tra le Istituzioni comunitarie e quelle nazionali.
Il nuovo modello di gestione con la programmazione unica pluriennale a livello nazionale e il passaggio dalla conformità all’orientamento ai risultati esige un approccio originale, innovativo, virtuoso da parte della Autorità nazionali coinvolte nell’applicazione e tale da segnare una discontinuità rispetto al passato.
Il Green Deal Europeo accentuerà l’orientamento verso le questioni ambientali, del cambiamento climatico e della tutela della biodiversità.
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