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Ripresa economica: tutte le analogie tra Piano Marshall e Next Generation Eu

di Emanuele Bernardi

 

“L’Europa ha bisogno di un nuovo Piano Marshall” ha dichiarato il 14 aprile la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, indicando un modello di riferimento la cui carica simbolica ancora attraversa l’opinione pubblica mondiale. E in poco tempo eccoci a ragionare sul presente del Next Generation Eu (2021-2023), con un occhio a quel non lontano passato, utile per interpretare il nostro tempo.

Il Piano Marshall (European Recovery Program) promosso dagli Stati Uniti nel 1947 prese forma in un contesto nazionale e internazionale precipuo: i devastanti effetti economici, monetari e sociali della seconda guerra mondiale, le distruzioni e le perdite umane, l’incipiente guerra fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica con la prima a costruire la propria egemonia sull’Europa da ricostruire.

Ma le analogie tra l’attuale Piano per la ripresa dell’Europa e il piano americano sono numerose.

 

Il peso della crisi economica

1- Il peso della crisi economica in primo luogo: il crollo del Pil nel 2020 è stato per l’Italia dell’8,9%, rispetto al -6,6% della zona euro (Germania, -4,9%; Francia, -8,1%; Spagna, -10,8%). Numeri paragonabili a quelli del 1947, annus horribilis per l’Europa occidentale, sia sotto il profilo alimentare che monetario. Per reagire a quella crisi, l’Italia e gli altri 15 paesi partecipanti importarono sul Piano Erp enormi quantità di cibo e di materie prime (dal grano al cotone, dal carbone al mais al ferro e così via). Giunsero in Italia strumenti di produzione più moderni, attrezzature per gli ospedali (impianti a raggi X) e medicine (penicillina e streptomicina), calcolatori elettronici. I prestiti e il fondo lire generato da quegli aiuti spinsero la modernizzazione industriale e agricola in senso produttivistico, favorendo innumerevoli interventi sul territorio: nel Mezzogiorno, basti ricordare la costruzione o il completamento dei porti (Messina, Siracusa, Napoli, Bari) e di dighe per la produzione di energia idroelettrica e l’irrigazione agricola (Metaponto); o le rilevanti percentuali dei fondi assegnate a scuole, strade, bonifiche e ferrovie. Un complesso di interventi, tra pubblico e privato, cui inevitabilmente si guarda ancora.

 

Il risanamento dell’economia italiana

2- Seconda analogia: il risanamento dell’economia italiana e l’adozione delle riforme (amministrativa, fiscale, della giustizia oggi, le prime due e quella agraria nel secondo dopoguerra) sono parti di un piano che vuole ricostruire e, allo stesso tempo, rafforzare lo status dell’Italia nel consesso europeo. Le riforme erano e sono tutt’ora un banco di prova, tra nazionale e internazionale: costituivano e costituiscono punti ineludibili per combattere arretratezze e disuguaglianze crescenti; e consolidare così il progetto europeo. Oggi sono, come osserva il Presidente Mario Draghi nella premessa al PNRR, interventi consustanziali agli investimenti, che rischierebbero di essere inefficaci senza le riforme, o di aggravare squilibri e fratture, vicine e lontane. Un’implicazione appare a questo proposito evidente: ormai insostenibile è il continuare a opporre alle pressioni europee per le riforme la particolarità della situazione italiana, strumentalizzando le debolezze del paese.

 

Italia ed Europa: destini incrociati

3- Terza analogia: il destino dell’Italia è legato al destino dell’Europa e della comunità internazionale. Avendo il piano italiano le maggiori risorse rispetto a quelli degli altri paesi (il solo RRF garantisce 191,5 miliardi di euro, da impiegare nel periodo 2021-2026), il successo (o l’insuccesso) dell’Italia saranno il successo (o l’insuccesso) anche degli altri paesi europei: questa corresponsabilità fa sì che i tempi delle riforme e la capacità degli enti locali e del Governo Draghi di implementarle alla luce di un rigido cronoprogramma (come allora fu per il Governo De Gasperi), potrà essere un punto di forza (o di vulnerabilità) dell’intero progetto di ricostruzione, potenziandone il messaggio modernizzatore o – nel caso d’insuccesso – incrinando, con esso, l’immagine dell’Europa rispetto ai nazionalismi. Le debolezze dell’alleato italiano nel declinare il vincolo europeo rischiano in altre parole oggi di trasmettersi alla stessa Comunità europea, e di avvantaggiare quei partiti e movimenti sovranisti e populisti che contestano ancora il disegno dell’integrazione comunitaria: venti nazionalistici contrastati negli anni del dopoguerra dalla lungimirante scelta dell’interdipendenza e della cooperazione europea contro le resistenze delle destre (neofasciste) come delle sinistre (socialisti e comunisti).

 

La diade Stato-Mercato

4- Ultima analogia con gli anni del Piano Marshall è la diade Stato e mercato. Il Recovery Fund – come allora l’Erp – è un piano pluriennale, animato quindi dallo spirito della programmazione e da una governance che ambisce a ridefinire, più o meno silenziosamente, le relazioni col mercato, ridisegnando la cornice dell’economia europea. Con un occhio attento ai divari preesistenti e strutturali, che la crisi pandemica ha aggravato. Se il piano europeo mira a ripristinare una maggiore presenza dello Stato nei settori sensibili (sanitari, economici e non solo) e a combattere le rendite e i monopoli all’insegna di una maggiore concorrenza, lo fa infatti riconoscendo la necessità di assegnare una quota rilevante al Mezzogiorno (il 40% dei fondi, pari a circa 82 miliardi). Nel 1950, due leggi, per la riforma agraria e l’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno, entrambe sostenute con fondi americani e accompagnate come tutti i progetti dell’Erp da un continuo confronto tecnico (quello che Manlio Rossi-Doria considerò un’utilissima fertilizzazione incrociata), segnarono il tentativo dello Stato nazionale di promuovere crescita, giustizia sociale e sviluppo per supplire alle insufficienze degli attori locali e del mercato. Guardando al futuro, questi passaggi di un Risorgimento incompiuto proiettarono il nostro paese in uno sforzo di convergenza Nord-Sud che voleva essere anche convergenza con gli altri paesi europei nel contesto delle relazioni euro-atlantiche. Un duplice processo di sviluppo, che oggi il Piano Europeo sembra riproporre, in chiave aggiornata, all’insegna di un’idea della modernizzazione e della produttività più equa, solidale e sostenibile.

Emanuele Bernardi
bernardi@per.it

Professore associato di Storia contemporanea nel Dipartimento di Storia, Antropologia, Religioni, Arte e Spettacolo dell’Università La Sapienza di Roma. Tra le sue pubblicazioni, "La riforma agraria in Italia e gli Stati Uniti" (il Mulino-Svimez, 2006); "Riforme e democrazia. Manlio Rossi-Doria dal fascismo al centro-sinistra" (Rubbettino, 2010) e "Il mais «miracoloso». Storia di un’innovazione tra politica, economia e religione" (Carocci, 2014). Per Donzelli ha curato, nel 2011, "Manlio Rossi-Doria, Una vita per il Sud. Dialoghi epistolari 1944-1987", e nel 2020, "La Coldiretti e la storia d'Italia. Rappresentanza e partecipazione dal dopoguerra agli anni ottanta".

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