Russia-Ucraina/ Quel sedicente ‘piano di pace’ che serve a far vincere la Cina - Fondazione PER
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Russia-Ucraina/ Quel sedicente ‘piano di pace’ che serve a far vincere la Cina

di Vittorio Ferla

 

“Ottenere cento vittorie in cento battaglie non è prova di suprema abilità. Sottomettere l’esercito nemico senza combattere è prova di suprema abilità”. Così dice uno dei più celebri distici dell’Arte della guerra, il trattato di strategia militare attribuito al generale Sun Tzu, vissuto in Cina probabilmente tra il IV e il V secolo avanti Cristo. È vero: la vera forza di un generale sta nel conquistare senza dover usare le armi. Anche perché la conquista totale e senza spargimento di sangue, consente di mantenere intatte, per quanto possibile, sia le risorse del vincitore che le risorse dello sconfitto. Solo così la vittoria lascia un terreno su cui poter costruire, mentre la distruzione lascia soltanto le devastazioni. Ancora oggi, a distanza di millenni, sembra che la diplomazia di Pechino continui a ispirarsi a quell’insegnamento, dove la scaltrezza opportunistica prevale sulla atavica saggezza. Basta vedere l’atteggiamento della Cina nel conflitto russo-ucraino. Basta leggere i 12 punti del sedicente piano di pace che da ieri sta in bella mostra sulla pagina web del Ministero degli Esteri della Repubblica popolare cinese. A dire il vero, non sembra il caso di scomodare Sun Tzu: il testo sembra un mix tra un bignamino dei principi internazionali dell’Onu, un compendio generico di buone (e ovvie) azioni diplomatiche e il discorso obliquo di un vecchio leader doroteo. Verrebbe da chiedersi: dove sono le proposte di pace?

I 12 punti non sembrano molto di più di un catalogo di buoni consigli che qualsiasi studente universitario di diritto internazionale può scaricare comodamente dai siti di appunti online. Qualche esempio? Il documento cinese chiede misure per alleviare la crisi umanitaria, chiede la protezione dei civili e il rispetto dei prigionieri di guerra, chiede di mantenere la sicurezza delle centrali nucleari e ricorda – e grazie tante! – che “le armi nucleari non devono essere utilizzate e le guerre nucleari non devono essere combattute”. Nientemeno, al punto 3, a proposito della cessazione delle ostilità, il testo recita: “Il conflitto e la guerra non giovano a nessuno. Tutte le parti devono rimanere razionali ed esercitare moderazione, evitare di alimentare il fuoco e aggravare le tensioni e impedire che la crisi si deteriori ulteriormente o addirittura sfugga al controllo. Tutte le parti dovrebbero sostenere la Russia e l’Ucraina nel lavorare nella stessa direzione e riprendere il dialogo diretto il più rapidamente possibile, in modo da ridurre gradualmente la situazione e raggiungere infine un cessate il fuoco globale”. Bello no? Volemose bene! Non è un caso dunque se, di fronte a queste originalissime ‘proposte’, il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti Jake Sullivan abbia subito ricordato ai diplomatici cinesi che la guerra “potrebbe finire domani se la Russia smettesse di attaccare l’Ucraina e ritirasse le sue forze”. In sostanza, il documento del governo di Pechino si distingue prima di tutto per quello che non c’è scritto. E cioè che la Russia ha aggredito l’Ucraina, senza alcun titolo o ragione per farlo. E non può esserci nessuna equidistanza tra una potenza nucleare dispotica che invade un paese pacifico, bombarda le sue strutture civili, devasta le sue città, massacra i suoi abitanti, deporta i suoi orfani, e lo stato aggredito. E sebbene nel primo dei dodici punti, il governo cinese affermi che “la sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale di tutti i paesi devono essere effettivamente sostenute”, nemmeno una parola è spesa per riconoscere la violazione della sovranità ucraina e del diritto internazionale da parte della Russia. Anzi l’articolazione nebulosa e ambigua del primo paragrafo potrebbe lasciare pensare che, dal punto di vista di Pechino, quella davvero in pericolo sia la sovranità della Russia, minacciata dalle forze che sostengono l’Ucraina.

Nulla di cui stupirsi: Vladimir Putin fece visita a Xi Jinping pochi giorni dell’invasione del 24 febbraio, proprio al fine di riceverne la copertura. Da allora il presidente cinese non ha mai espresso una parola di condanna dell’invasione, né ha mai messo in agenda un colloquio con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.

La pretesa neutralità di Pechino è pertanto gravemente minata dal suo rifiuto di riconoscere la natura del conflitto – mai definito per quello che è: una invasione – e dal suo sostegno diplomatico ed economico a Mosca. In più, in questi ultimi giorni Washington ha lanciato l’allarme circa le intenzioni dello stato cinese di fornire armi al Cremlino in futuro. Si capisce perché il ruolo della Cina come paese mediatore appare assai improbabile.

La verità è che il taglio del documento, il suo stile e il suo linguaggio, rivolgono una critica diretta all’Occidente. Addirittura, al punto 2, il position paper chiede di abbandonare la “mentalità da guerra fredda”. Una critica che sembra velata, ma che nel linguaggio felpato della diplomazia cinese è secca: “La sicurezza di una regione non dovrebbe essere raggiunta rafforzando o espandendo i blocchi militari. I legittimi interessi e le preoccupazioni di sicurezza di tutti i paesi devono essere presi sul serio e affrontati adeguatamente”. Un paragrafo che fa da cassa di risonanza alla voce del Cremlino: proprio pochi giorni fa Putin ha ripetuto la tiritera vittimistica secondo cui la responsabilità della guerra deve ricadere sull’Occidente, colpevole di perseguire l’espansione della Nato ai danni della Russia. L’interpretazione della storia (l’America governa il mondo) e la missione nella storia (liberare il mondo dall’America) che uniscono Xi e Putin, due leader accomunati dalla comune formazione comunista e antiamericana, sono le stesse. Non stupisce pertanto che, al punto 10, il documento del ministero degli esteri cinese sferri un attacco alle sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti e dall’Ue alla Russia. “Sanzioni unilaterali e massima pressione non possono risolvere la questione; creano solo nuovi problemi”, recita il testo che chiede ai “paesi interessati” di “smettere di abusare delle sanzioni unilaterali”. Una richiesta che, se non ci fosse da piangere vista l’insensibilità nei confronti della tragedia ucraina, farebbe ridere. Non mancano, infine, nel documento, alcune richieste tattiche che hanno lo scopo di aumentare il ruolo globale del Dragone: quelle di “facilitare le esportazioni di grano” e di “mantenere stabili le catene industriali e di approvvigionamento”, unite alla promessa di impegno nella “ricostruzione postbellica”. Ritorna la millenaria saggezza strategica di Sun Tzu: mentre gli altri si fanno la guerra, il gigante cinese cerca di vincerla senza sparare un colpo. Eccolo il piano di pace della Cina. L’idea è furba, ma è probabile che il capolavoro di Sun Tzu sia stato letto anche a Washington.

Vittorio Ferla
vittorinoferla@gmail.com

Giornalista, direttore di Libertà Eguale e della Fondazione PER. Collaboratore de ‘Linkiesta’ e de 'Il Riformista', si è occupato di comunicazione e media relations presso l’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale del Lazio. Direttore responsabile di Labsus, è stato componente della Direzione nazionale di Cittadinanzattiva dal 2000 al 2016 e, precedentemente, vicepresidente nazionale della Fuci. Ha collaborato con Cristiano sociali news, L’Unità, Il Sole 24 Ore, Europa, Critica Liberale e Democratica. Ha curato il volume “Riformisti. L’Italia che cambia e la nuova sovranità dell’Europa” (Rubbettino 2018).

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