
02 Nov Se la Germania apre i porti alla Cina espone l’Europa alla minaccia di Xi
di Vittorio Ferla
“Non dobbiamo ripetere l’errore fatto con la Russia: non dobbiamo essere indulgenti e superficiali”. Così si era espresso Mario Draghi, il 21 ottobre scorso, uscendo dal suo ultimo Consiglio europeo a Bruxelles. Quelli che, per i paesi europei, “sembrano rapporti d’affari, di concorrenza”, da parte della Cina “sono parte di una regia complessiva”, orientata a rafforzare la supremazia del Dragone e a creare rapporti di dipendenza nelle economie partner. Il monito dell’ex premier italiano appare oggi profetico. Appena cinque giorni dopo il Consiglio europeo, infatti, l’esecutivo tedesco ha dato il via libera a una partecipazione del colosso cinese Cosco per acquisire quote di Tollerort, il più piccolo terminal di container del porto di Amburgo, in Germania. L’accordo firmato il 26 ottobre scorso, che prevede una partecipazione limitata al 24,9%, è un compromesso: oltre a limitare la quota d’ingresso della Cina (all’inizio si parlava di una partecipazione al 35%), prevede che alla Cosco (China Ocean Shipping Company) venga negata la possibilità “di concedersi contrattualmente diritti di veto sulle decisioni strategiche in materia di affari o di personale”. Inoltre alla società di Pechino è vietato di nominare membri del management. La Cosco, compagnia cinese di proprietà statale con sede a Pechino, fornisce servizi di spedizioni e logistica. È la quarta compagnia di spedizione di container al mondo e le sue navi fanno scalo al terminal di Tollerort da oltre 40 anni. L’ingresso del gruppo cinese nel porto di Amburgo rientra nel quadro di un progetto di espansione della Cina in Europa. Questo passo avviene proprio nel momento in cui il governo di Pechino aumenta le sue mire espansionistiche nel mondo, non soltanto sul piano economico, ma anche su quello strategico e militare. Dall’ultimo congresso del Partito comunista cinese il ruolo di Xi Jinping è uscito ancora più rafforzato. Il leader cinese ha reso il suo potere permanente e assoluto, ha tacitato le opposizioni interne, ha lanciato la sfida all’Occidente, ha annunciato la volontà di riprendere il controllo pieno di Taiwan, se necessario con l’uso delle armi. Pertanto, ogni iniziativa economica del governo di Pechino, anche attraverso le società controllate, deve essere attentamente misurata perché può nascondere la volontà espansionistica del colosso orientale. E, come ha avvertito Draghi, un eccesso di apertura potrebbe ricacciare l’Europa in un nuovo incubo, dopo quello scatenato dalla Russia. È proprio questo il motivo per cui l’accordo ha incontrato una feroce opposizione all’interno dello stesso governo tedesco. Ben sei ministri tedeschi si sono espressi il mese scorso contro l’ingresso di Cosco nel porto di Amburgo. Ma il cancelliere Olaf Scholz si è speso per favorire l’accordo. Venerdì 4 ottobre, Scholz sarà il primo leader del G7 a tenere colloqui a Pechino con il presidente cinese Xi Jinping dall’inizio della pandemia di Covid-19. Il cancelliere pensa di difendere meglio gli interessi della Germania presentandosi all’appuntamento con l’accordo siglato. Molti, però, dubitano che si tratti di un buon affare. Secondo il segretario di Stato Susanne Baumann, la transazione “aumenta in modo sproporzionato l’influenza strategica della Cina sulle infrastrutture di trasporto tedesche ed europee e la dipendenza della Germania dalla Cina”. Per Thomas Haldenwang, capo dell’intelligence tedesca, quella di Pechino è, per la sicurezza tedesca, una minaccia perfino superiore rispetto a quella che viene da Mosca. “La Russia è la tempesta”, ha detto Haldenwang nei giorni scorsi in una audizione al Bundestag, “la Cina è il cambiamento climatico”. All’interno dell’esecutivo tedesco i più fieri oppositori dell’accordo sono i Verdi, guidati dal ministro degli esteri Annalena Baerbock. Non a caso in prima linea contro la Russia e a sostegno dell’Ucraina, Baerbock ha spiegato in una intervista alla Süddeutsche Zeitung che i tedeschi non possono più permettersi “di diventare esistenzialmente dipendenti da un paese che non condivide i nostri valori”, come è accaduto con Mosca, e che “la completa dipendenza economica basata sul principio della speranza ci lascia aperti al ricatto politico”. Già oggi, infatti, una buona parte dell’economia tedesca dipende dalla Cina. Secondo il German Economic Institute, solo nella prima metà di quest’anno le imprese tedesche hanno investito in Cina la cifra record di 10 miliardi di euro. Il titolo dello studio dell’istituto, “A tutto vapore nella direzione sbagliata”, spiega bene la preoccupazione degli analisti. La storia economica recente dei rapporti Cina-Germania parla chiaro. Nel 2021, la Cina è stata per il sesto anno consecutivo il principale partner commerciale della Germania, rappresentando il 9,5% del suo commercio di merci. Durante i 16 anni del suo cancellierato, Angela Merkel ha visitato la Cina una dozzina di volte con l’obiettivo di concludere affari, sorvolando sulle violazioni di Pechino nel campo dei diritti umani e politici nello Xinjiang e a Hong Kong. Nel frattempo, la Cina ha superato la Germania sul piano dello sviluppo manifatturiero. Proprio Merkel, nel 2020, è stata la fautrice dell’accordo sugli investimenti tra l’Ue e il Dragone, a dispetto dell’invito di Joe Biden, impegnato in un processo di “disaccoppiamento” delle economie americana e cinese. È molto probabile che già allora Xi Jinping abbia messo in atto una sorta di ricatto economico, minacciando di colpire gli interessi industriali della Germania nel suo paese. Oggi, il timore che attraversa la classe dirigente tedesca è che, nel caso di un attacco di Pechino a Taiwan, possa riprodursi uno schema ‘ucraino’ con la necessaria conseguenza di comminare sanzioni al paese aggressore – questa volta la Cina – dal quale dipende un’ampia fetta dell’economia tedesca. Ancora una volta Scholz sembra bloccato nei suoi tentennamenti e continua a rifiutare quel ‘disaccoppiamento’ delle due economie che molti suoi colleghi di governo auspicano, a partire dal ministro dell’economia Christian Lindner, e che eviterebbe alla Germania di rimanere in braghe di tela nel caso in cui lo scenario globale si incendiasse a causa delle volontà di potenza di Xi. La Germania rischia di diventare il ventre molle dell’Ue.
Ecco perché l’ammonimento di Draghi risuona attuale. “Il sostegno dell’Italia all’Ucraina e l’aumento graduale delle sanzioni contro la Russia sono dannosi per la soluzione dei problemi interni dell’Italia”, ha scritto poco tempo fa il Global Times, tabloid di stato in lingua inglese e ventriloquo del governo cinese. In pratica, per il tramite del suo foglio di regime, Pechino ha accusato Draghi di essersi preoccupato più del conflitto in Ucraina che del benessere degli italiani. Ma Draghi ha fatto di peggio, dal punto di vista della Cina: è stato capace di diversificare il fronte degli approvvigionamenti energetici e di favorire la crescita, sganciandosi dalla dipendenza da Mosca. Un esempio che, anche nei rapporti con la Cina, tutta l’Europa dovrebbe seguire in futuro. Compreso Olaf Scholz.
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