Spagna (e Catalogna), l’equilibrio precario del governo Sanchez - Fondazione PER
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Spagna (e Catalogna), l’equilibrio precario del governo Sanchez

di Vittorio Ferla

 

L’astensione del partito secessionista catalano Esquerra Republicana de Catalunya (Erc) permette ai socialisti spagnoli di formare il governo con la sinistra populista di Podemos. Nella seduta di ieri del Congresso spagnolo, Pedro Sanchez è stato eletto presidente del governo con 167 voti a favore, 165 contrari e 18 astensioni. Il voto giunge al culmine di uno dei periodi più travagliati della recente storia di Spagna, dopo la quarta elezione in quattro anni.

Sono tre le fondamentali caratteristiche di una fase che si apre all’insegna di un equilibrio precario: la novità di una coalizione debole, frutto di un parlamento frammentato; un programma esplicitamente progressista che dovrà fare i conti con la severità dei vincoli europei; l’apertura di un dialogo politico con la Catalogna dopo anni di conflitti giudiziari.

 

Un governo “all’italiana”

Il leader del Psoe raggiunge l’obiettivo con il secondo voto (il primo voto di domenica scorsa non gli aveva dato la maggioranza assoluta necessaria al primo turno). Nasce un governo “all’italiana” fondato sull’intesa tra Psoe e Podemos, con il sostegno dei deputati di alcuni partiti minori ((Pnv, Más País, Compromís, Nueva Canarias, Teruel Existe e Bng), rappresentanti di comunità regionali. Determinante l’astensione di due partiti nazionalisti di sinistra: i catalani di Erc e i baschi di Euskal Herria Bildu. È la prima volta nella storia della Spagna democratica. Una novità assoluta che, dopo le elezioni del 10 novembre 2019, ha richiesto due mesi di estenuanti trattative e l’assunzione di più di 300 impegni. Maggiori trasferimenti di risorse, sistemi di finanziamento autonomo, reti stradali, corridoi ferroviari, miglioramenti della banda larga, misure per le zone rurali, riduzione dei pedaggi autostradali: la lista delle rivendicazioni localistiche è lunga e contraddittoria. “Il regime parlamentare in Europa non è più in grado di garantire quelle prestazioni minime di unità e di governo che una nazione ha diritto di attendersi”, spiega a proposito del caso spagnolo Carlo Fusaro, costituzionalista. “Non solo nessuna forza politica riesce a raggiungere i consensi sufficienti a governare da sola, ma le coalizioni sono diventate di formazione e gestione più difficile, quando non impossibile. C’è più bisogno di compromessi, ma ne mancano sempre più i presupposti”.

 

Il successo di Podemos

Chi gongola più di tutti è certamente Pablo Iglesias. Il leader del Podemos ha ottenuto infatti la redazione di un programma iperprogressista – è questa la seconda caratteristica del nascente esecutivo – ricco di misure ispirate alla giustizia sociale, al femminismo, all’ecologismo e alla lotta al cambiamento climatico. Non sappiamo se siano effettivamente realizzabili. Nel frattempo però può sbandierare contro le destre un po’ di antifascismo militante con la definizione di celebrazioni antifranchiste, le esumazioni delle vittime di Franco ancora sepolte nelle fosse comuni e la rimozione della simbologia della dittatura dai luoghi pubblici.

 

Un tavolo di dialogo con i secessionisti catalani

L’accordo decisivo concluso da Sanchez – arriviamo qui alla terza caratteristica di questo governo – è però quello con Erc, il partito secessionista e progressista catalano. Ed è basato su due punti sorprendenti: il riconoscimento del conflitto politico con la Catalogna e la necessità di creare un tavolo di dialogo per cercare di risolverlo. Il 14 ottobre scorso, la Corte suprema di Madrid aveva condannato i leader indipendentisti catalani, colpevoli di sovversione dell’ordine pubblico della Spagna con il referendum sulla secessione dell’ottobre 2017 e la conseguente proclamazione della Repubblica indipendente di Catalogna. Le pene comminate dai giudici sono state pesantissime: ben 13 anni di reclusione per sedizione e malversazione sono stati inflitti proprio a Oriol Junqueras, ex vicepresidente della Generalitat e presidente di Erc, rinchiuso in carcere da quasi due anni. Un totale di cento anni di carcere, poi, per tutta la prima linea dei partiti indipendentisti. Altri leader catalani, come Carles Puigdemont, sono fuggiti all’estero per evitare la prigione. Il 3 gennaio scorso, la Giunta Elettorale Centrale ha destituito per disobbedienza dal parlamento regionale Quim Torra, attuale governatore della regione che aveva promesso “un nuovo referendum e l’indipendenza entro il 2021”.

 

Catalogna: la via giudiziaria non è quella giusta

La destra chiede a Sanchez un intervento deciso e muscolare contro gli indipendentisti: durante il dibattito, Pablo Casado, leader del Partido Popular, lo ha accusato di “fare accordi con terroristi e golpisti”. Viceversa, la sinistra estrema vuole un accordo politico con Barcellona. Ma non si capisce ancora quale accordo sia possibile, visto che, come ha chiarito la Corte Suprema, la contrapposizione tra l’indipendenza della Catalogna e la Costituzione spagnola è insanabile.

“La responsabilità di trovare una soluzione alla questione politica pesa su quanti hanno incarichi politici a Madrid e a Barcellona”, dice il costituzionalista basco Alberto Lopez Basaguren, tra i massimi esperti dei processi indipendentisti. E aggiunge: “La via giudiziaria e l’uso della forza per frenare le rivendicazioni degli indipendentisti sono stati gli errori dei governi di Madrid guidati dal Ppe”. Durante il dibattito in aula Sanchez ha usato proprio questo argomento per conquistare la fiducia dei catalani. In verità, non si è mai affermata chiaramente in questi anni una maggioranza di catalani a favore della rottura con Madrid, mentre per il diritto di decidere in un referendum, o per una maggiore autonomia, la maggioranza è invece ampia.

L’accordo con Erc prevede, in ogni caso, un tavolo di negoziati che conduca nel giro di qualche tempo a una consultazione diretta dei cittadini. L’esperimento di Sanchez è ancora all’inizio. Ma l’esito finale sarà, in ogni caso, da brivido.

 

Vittorio Ferla
vittorinoferla@gmail.com

Giornalista, direttore di Libertà Eguale e della Fondazione PER. Collaboratore de ‘Linkiesta’ e de 'Il Riformista', si è occupato di comunicazione e media relations presso l’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale del Lazio. Direttore responsabile di Labsus, è stato componente della Direzione nazionale di Cittadinanzattiva dal 2000 al 2016 e, precedentemente, vicepresidente nazionale della Fuci. Ha collaborato con Cristiano sociali news, L’Unità, Il Sole 24 Ore, Europa, Critica Liberale e Democratica. Ha curato il volume “Riformisti. L’Italia che cambia e la nuova sovranità dell’Europa” (Rubbettino 2018).

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