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Summit Nato a Bruxelles/ Putin fa il miracolo di riunire l’Occidente. E Biden ne riprende la guida

di Vittorio Ferla

 

L’Occidente sempre più unito e compatto a difesa dell’Ucraina e delle democrazie liberali. È l’immagine che si impone con la maggiore evidenza nella giornata di ieri. La Nato sembrava morta: Macron aveva parlato di “morte cerebrale”. L’Unione europea appariva ancora sgangherata sul fronte della sicurezza. Usa ed Europa venivano da anni di distanze e incomprensioni. L’appello di Joe Biden all’unità delle democrazie liberali contro i regimi autoritari fino ad oggi era rimasto inascoltato. Ma con la sua inaspettata escalation militare, Vladimir Putin è riuscito nel miracolo di ricompattare il fronte occidentale. Dal vertice Nato e dal G7 di ieri arriva un messaggio di “straordinaria unità degli alleati”, conferma il premier Mario Draghi, a margine delle riunioni tenute a Bruxelles.

I leader della Nato sono unanimi nel portare al 2% del PIL nazionale le spese per il settore della difesa e approvano il dispiegamento di quattro nuove unità di combattimento multinazionali in Romania, Ungheria, Bulgaria e Slovacchia per fronteggiare la minaccia russa. “Abbiamo anche deciso di fornire ulteriore supporto all’Ucraina e di continuare a imporre costi alla Russia. La solidarietà transatlantica resta vitale”, dice il segretario generale Jens Stoltenberg, riconfermato fino al settembre 2023 a causa dell’emergenza bellica. Oltre agli aiuti finanziari e umanitari, la Nato fornirà all’Ucraina armi anti carro, difese anti missili e droni, “che si sono dimostrati molto efficaci”, sottolinea Stoltenberg.

Nella dichiarazione finale del summit si legge che, in risposta alle azioni della Russia, la Nato dispiegherà 40 mila soldati sul “fianco orientale, insieme a importanti mezzi aerei e navali”. Ma le misure restano “preventive, proporzionate e non estensive”. Nonostante le ripetute richieste di aerei e carri armati da parte di Volodymyr Zelensky – che si è collegato da Kiev per un messaggio al plenum dell’alleanza – la Nato non vuole correre il rischio di far tracimare il conflitto oltre i confini dell’Ucraina. “Abbiamo una responsabilità: garantire che questo conflitto non diventi una guerra su larga scala – quindi tra la Nato e la Russia – che potrebbe diventare ancora più pericolosa e devastante”, assicura Stoltenberg. Che però avverte Mosca: “La Russia sta cercando un pretesto per usare armi biologiche e chimiche, accusando l’Ucraina, gli Usa e gli alleati. Le accuse sono assolutamente false. L’uso di queste armi cambierebbe la natura del conflitto, sarebbe una palese violazione del diritto internazionale e avrebbe conseguenze molto vaste e molto pericolose”. Il segretario Nato si rivolge anche alla Cina: “Dovrebbe unirsi al resto del mondo e condannare la guerra brutale contro l’Ucraina, non sostenendo la Russia economicamente e militarmente”.

La dichiarazione conclusiva del summit è un appello all’unità. “La guerra non provocata della Russia contro l’Ucraina rappresenta una sfida fondamentale ai valori e alle norme che hanno portato sicurezza e prosperità a tutti nel continente europeo. La scelta del presidente Putin di attaccare l’Ucraina è un errore strategico, con gravi conseguenze anche per la Russia e il popolo russo”, scrivono i leader dei trenta stati che compongono l’Alleanza. E concludono: “Rimaniamo uniti e risoluti nella nostra determinazione di opporci all’aggressione russa, aiutare il governo e il popolo ucraino e difendere la sicurezza di tutti gli alleati”.

E così, mentre l’aggressione armata trasforma definitivamente Vladimir Putin nel nemico pubblico numero uno, Joe Biden riconquista un ruolo di primo piano per gli Stati Uniti. Il presidente americano saluta la ritrovata unità, annuncia che schiererà forze aggiuntive al confine orientale dell’Europa, promette di “difendere collettivamente ogni centimetro del territorio della Nato”. Gli Stati Uniti restano tuttavia contrari alla fornitura di caccia all’aviazione militare ucraina: potrebbe essere interpretata dalla Russia come un’escalation del conflitto in corso. Ma la presenza di Biden a Bruxelles – e poi a Varsavia – va molto oltre: rappresenta plasticamente la nuova direzione verso cui va il mondo. Per la prima volta da trent’anni il continente europeo è scosso dal risveglio dell’orso russo e dalla ritorno dell’incubo nucleare. La fase storica emersa dal crollo del Muro di Berlino e dalla fine della Guerra fredda sembra definitivamente chiusa. Questi anni di prosperità e di pace hanno spento la memoria del vecchio bipolarismo est-ovest e, ancor di più, del legame stretto tra americani ed europei durante la seconda guerra mondiale. Nel frattempo, i paesi europei hanno incassato i vantaggi della pace: l’espansione degli scambi commerciali, anche con autocrazie come la Russia e la Cina, e il rafforzamento dei sistemi sociali e sanitari. Per farlo, però, si sono esposti alla dipendenza dall’energia russa e hanno trascurato i loro sistemi di sicurezza e di difesa. Nel frattempo, gli Stati Uniti hanno spostato il loro interesse verso l’Asia emergente preparandosi alla competizione con la nuova superpotenza rivale: la Cina.

È successo così che i legami incrollabili tra Europa e America si sono allentati. E, soprattutto, è svanito il ricordo delle ragioni di quei legami. La minaccia russa sembrava sparita per sempre. Anzi, i russi si sono trasformati nei danarosi clienti del bengodi occidentale. La mossa avventata di Vladimir Putin ha sconvolto questo schema. Accecato dalla nostalgia dello spazio vitale perduto con la sconfitta nella Guerra Fredda, ossessionato dal mito della grandezza russa e sempre più convinto della arrendevolezza dell’Occidente, il tiranno russo ha manifestato il suo vero volto. Ma le bombe russe sull’Ucraina hanno improvvisamente ricordato all’Occidente il suo ruolo nel mondo e il senso della sua stessa esistenza. Perfino un politico solitamente fiacco come Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, oggi dichiara: “Dobbiamo assicurarci che Putin venga sconfitto. È una questione di sicurezza, per il futuro dell’Europa e del mondo”. E la nuova cortina di ferro che sembra calare sull’Europa riaccende i riflettori su altri scenari. Come quello dei Balcani occidentali. Al termine del vertice Nato, il presidente della Croazia Zoran Milanovic ricorda che “la Bosnia Erzegovina è stata menzionata come un Paese presumibilmente in pericolo. E così la Moldova e la Georgia. Ma non si parla ancora di Serbia e Kosovo”. Un invito ad aprire gli occhi sui futuri obiettivi di destabilizzazione di Mosca.

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Vittorio Ferla
vittorinoferla@gmail.com

Giornalista, direttore di Libertà Eguale e della Fondazione PER. Collaboratore de ‘Linkiesta’ e de 'Il Riformista', si è occupato di comunicazione e media relations presso l’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale del Lazio. Direttore responsabile di Labsus, è stato componente della Direzione nazionale di Cittadinanzattiva dal 2000 al 2016 e, precedentemente, vicepresidente nazionale della Fuci. Ha collaborato con Cristiano sociali news, L’Unità, Il Sole 24 Ore, Europa, Critica Liberale e Democratica. Ha curato il volume “Riformisti. L’Italia che cambia e la nuova sovranità dell’Europa” (Rubbettino 2018).

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