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Tre strade per completare il progetto europeo

di Federico Bonomi

 

Nel corso di queste ultime settimane, i cittadini di tutti gli stati membri hanno assistito all’esplosione di un dibattito molto acceso sulla natura e sul futuro dell’Unione Europea. I momenti più caldi sono stati la dichiarazione della presidente della BCE Lagarde, lo scontro tra paesi del nord e del sud Europa su rigore vs solidarietà, e la decisione della Corte federale tedesca che mina il principio del primato del diritto UE sugli affari comunitari. Questi episodi mettono in luce tre contraddizioni che caratterizzano lo stato attuale del processo di integrazione europea.

La prima contraddizione riguarda il dibattito in corso tra economisti e decisori politici sulla riduzione e la condivisione di rischi nell’eurozona. I fautori della riduzione dei rischi, capitanati da un paese virtuoso e rigorista quale l’Olanda, affermano che la priorità per salvaguardare la tenuta dell’Unione monetaria sia che i singoli paesi facciano di tutto per garantire la sostenibilità delle proprie finanze pubbliche. Altri paesi, principalmente i mediterranei guidati da Italia e Spagna, chiedono invece che tutta la zona euro faccia subito uno sforzo per condividere i rischi, creando nuovi strumenti a tal fine. Il paradosso di questa contrapposizione è che riduzione e condivisione dei rischi, se combinati, possono produrre il risultato migliore (Bénassy-Quéré, et al., 2018), mentre nel dibattito politico attuale questi aspetti sono messi in una contrapposizione tale che risulta sempre più difficile giungere a una mediazione.

La seconda contraddizione, di carattere istituzionale, è che l’Unione monetaria manca delle strutture sufficienti per avvicinarsi quanto più possibile a un’area valutaria ottimale (Mundell, 1961). In mancanza di una politica fiscale comune che assicuri maggiore simmetria tra i paesi membri dell’Unione monetaria durante le crisi, la BCE è costretta a dotarsi di strumenti di politica monetaria sempre maggiori. Questo fatto è emerso con chiarezza grazie alla dichiarazione di Christine Lagarde del 12 marzo, nel momento in cui la presidente ha detto che il ruolo della BCE non era quello di ridurre gli spread tra i titoli di stato degli stati membri. Tale dichiarazione, criticata dalla maggior parte dei commentatori e in seguito sconfessata sotto forte pressione politica, cela una verità di fondo: la BCE è riluttante ad assumersi ruoli che in aree valutarie standard sarebbero assunti da altre istituzioni, tramite ad esempio l’imposizione fiscale e le politiche di redistribuzione. La sentenza del Tribunale costituzionale federale tedesco conferma implicitamente questa incompletezza: presupposto che gli stati non hanno ceduto competenze in materia di politica fiscale alle autorità sovranazionali, la BCE non può agire al di là delle proprie competenze assumendosi ruoli che non le spettano. La famosa metafora dell’Europa in mezzo al guado è quindi più attuale che mai, dove le due rive del fiume rappresentano il ritorno a politiche monetarie nazionali e il completamento del progetto europeo.

Si giunge quindi a individuare la terza contraddizione, che è di natura politica. Il completamento dell’Unione monetaria con la creazione di un’Unione fiscale comporta necessariamente una maggiore cessione di sovranità da parte degli stati membri. Questa operazione risulta più difficile rispetto a quanto avvenuto con la creazione dell’euro, perché quest’ultima fu fatta in un momento storico in cui si pensava che le banche centrali dovessero essere autonome dalla politica, su indicazione della teoria monetarista (McNamara, 1998). La politica fiscale è invece sempre stata al centro del conflitto politico, e in suo nome sono state combattute rivoluzioni come quella americana. La cessione di sovranità in materia fiscale risulta complessa non soltanto per la riluttanza della classe politica degli stati membri a cedere funzioni, ma anche per la mancanza di consenso sul punto di arrivo del progetto europeo. La contraddizione emerge nella misura in cui l’Europa non ha sufficiente legittimità per ricevere questa nuova funzione e nel frattempo le classi politiche nazionali la usano come capro espiatorio per giustificare i problemi che sorgono a livello nazionale causati dalla mancanza di una maggiore presenza europea nelle politiche fiscali. Questo circolo vizioso rende sempre più difficile raggiungere questo risultato finale.

Per sanare queste tre contraddizioni e avvicinarsi al compimento del progetto europeo occorre avviare una fase di discussione complessiva. Infatti, questi problemi richiedono soluzioni complesse che necessitano di un consenso da parte di tutti gli stati per poter essere messe in pratica.

La risposta alla prima contraddizione è scardinare la dialettica sovranità nazionale vs vincoli europei, aumentando la cosiddetta ownership nazionale delle regole fiscali. Nel momento in cui tutti gli stati e le rispettive opinioni pubbliche faranno propri i vincoli europei – come dimostra il caso virtuoso dell’Olanda che, tramite il suo Fiscal Council (Bos & Teulings, 2013), spinge l’opinione pubblica a richiedere politiche austere alla propria classe politica – i rischi verranno ridotti, la fiducia tra i governi aumenterà e sarà più semplice creare ulteriori strumenti di condivisione dei rischi.

Accanto a questo passaggio occorre aumentare la legittimità politica dell’Unione europea. L’istituzione di meccanismi decisionali più democratici a livello sovranazionale favorirebbe lo spostamento del confronto politico dalla dimensione intergovernativa a quella sovranazionale. Le opinioni pubbliche pertanto assisterebbero meno a uno scontro tra paesi e più a uno scontro tra modalità diverse di gestione della cosa europea. Infine, la creazione di un’unione fiscale allevierebbe il fardello della BCE e avvicinerebbe l’eurozona al modello dell’area valutaria ottimale.

Se è facile immaginare una risoluzione di queste contraddizioni, non lo è pianificare una sua messa in pratica. A tal fine una finestra potrebbe aprirsi con l’imminente conferenza sul futuro dell’Europa, fortemente voluta dalla presidenza francese e ritardata a causa degli sviluppi della pandemia in corso. Per quanto ci sia da temere per l’irrilevanza della suddetta conferenza, occorre agire politicamente affinché questi temi siano portati nella discussione e conclusioni ambiziose e condivise siano raggiunte. L’Italia può giocare un ruolo importante attraverso i parlamentari nazionali che faranno parte della conferenza e la delegazione italiana dei parlamentari europei. Sta all’intelligenza della classe politica non sprecare questa occasione.

Federico Bonomi
bonomi@per.it

Si occupa di studi europei con particolare interesse verso la governance dell'Unione Economica e Monetaria europea. Laureato a Pavia in Scienze Politiche, è stato allievo del Collegio Ghislieri e dello IUSS. Laureando in European Politics and Society presso il St. Antony’s College di Oxford. Fa parte del Think Tank Agenda dal 2018.

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