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Verso le Zoom Town. Ecco come cambiano le città dopo il Covid

di Francesco Gastaldi

 

Con la crisi del Covid c’è stata una messa in dubbio delle centralità urbane e della città compatta, si ipotizza che, anche in condizioni “ordinarie”, resterà una parte di lavoro a casa (es. 1-2 giorni a settimana). Una riduzione dell’afflusso di lavoratori verso i grandi contenitori e le centralità urbane, appare ormai scontato. Il periodo che abbiamo vissuto ha agito da catalizzatore, acceleratore, amplificatore per importanti tendenze strutturali a lungo termine già in atto e già tecnologicamente possibili. E tutto questo cambierà le nostre città, in Italia si è dibattuto molto del South-work o perfino di ritorno delle periferie, ma in attesa di analisi più approfondite, è a tutti evidente che molti lavoratori e studenti fuori sede sono tornati nelle proprie regioni di origine o a vivere con i genitori per risparmiare sui costi di affitto e svolgendo attività lavorative e didattiche da remoto tramite Zoom e altri programmi. Il lavoro da remoto non cesserà, la presenza quotidiana in un ufficio non sarà più la norma, anche se Covid-19 passerà, un modo diverso di pensare al mondo e al modo in cui lavoriamo, è destinato probabilmente a restare. E questo vale per abitudini, consumi, stili di vita.

Un indizio di questa tendenza lo troviamo nel “caso Vodafone”, è stato già firmato l’accordo per regolare lo smart working tra Vodafone Italia e i sindacati. L’intesa prevede l’utilizzo per tutti i seimila lavoratori del gruppo, anche dopo la fine dell’emergenza, con una fase sperimentale della durata di un anno, ma si prevedono già dei principi che potrebbero essere adottati definitivamente. A regime gli impiegati del gruppo lavoreranno al 60% da remoto, nell’ambito dei call center si arriverà all’80 per cento. Precedentemente Facebook aveva già scelto di abbracciare lo smart working permanente, Mark Zuckerberg aveva spiegato che entro i prossimi 5-10 anni, il 50% dei dipendenti dell’azienda lavorerà sempre da remoto. Per il CEO, questa soluzione presenta numerosi vantaggi: non solo permetterà a Facebook di collaborare con professionisti sparsi per tutto il mondo e avrà anche un impatto positivo sull’ambiente. E’ proprio attraverso la realtà virtuale che si stanno sviluppando nuove forme di relazione e apprendimento professionali. Le attività produttive stanno scoprendo che non necessitano di grandi spazi per gli uffici, mentre aumenta la domanda da parte dei cittadini di case più grandi e più elastiche (per vivere, lavorare, con uno spazio palestra ecc. ecc.).

Durante il periodo culmine della pandemia da Coronavirus, ogni città ha cercato di organizzarsi predisponendo norme di prevenzione e arginamento dei contagi su breve periodo. Il periodo buio che ha caratterizzato ormai l’intero 2020, dovrebbe insegnare come da una crisi possa uscire al contrario un’opportunità unica per avere città migliori e al passo con i tempi che le tecnologie ci offrono. Nonostante il pensiero troppo rivolto al futuro possa sembrare azzardato e controverso, è fondamentale capire che le nostre città saranno diverse per flussi, gravitazioni, percorsi, uso degli spazi e degli uffici pubblici. Ci sono anche rischi, il timore di un diffuso contagio potrebbe creare enclave elitarie in qualche modo autosufficienti per persone che possono permetterselo sul modello delle gated community nate prevalentemente intorno al tema della sicurezza e il senso di protezione che offrono attraverso la separazione dal resto del tessuto urbano.

La Cina sta progettando una nuova smart city a prova di Covid-19, con un quartiere autosufficiente progettato per rendere la vita delle persone più facile in caso di nuovi lockdown e pandemie. La città sorgerà nei pressi di Pechino, sarà dotata di terrazze per i droni, ampi spazi per lavorare da casa e grandi stampanti 3D condivise, che consentiranno ai cittadini di produrre localmente e di godere tutti i servizi anche nei periodi “di reclusione”. La nuova city, come annunciato dal presidente cinese, Xi Jinping, rappresenta “un nuovo standard nell’era post-Covid” da applicare anche in altri Paesi del mondo.

Francesco Gastaldi
gastaldi@per.it

Francesco Gastaldi (1969) è Professore associato di urbanistica presso l’Università Iuav di Venezia. È stato ricercatore presso la stessa università nel periodo 2007-2014. Laureato in architettura presso l’Università degli Studi di Genova, ha conseguito il dottorato di ricerca in pianificazione territoriale e sviluppo locale presso il Politecnico di Torino. Svolge attività di ricerca su temi riguardanti le politiche di sviluppo locale, la gestione urbana, le vicende urbanistiche della città di Genova dal dopoguerra ad oggi. Partecipa a ricerche MIUR e di ateneo, ricerche e consulenze per soggetti pubblici e privati.

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