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Von der Leyen riempie di significato politico e geopolitico la ripartenza europea

di Michele Marchi

 

Un intervento politico e geopolitico. È stato questo, in estrema sintesi, il primo discorso sullo stato dell’Unione europea pronunciato da Ursula von der Leyen.

La dimensione politica si è dipanata lungo quattro direttrici. Prima di tutto il richiamo alla pandemia ancora in atto e in particolare al suo significato anche simbolico. Dopo le prime drammatiche settimane, l’emergenza sanitaria ha evidenziato in maniera brutale che il processo di integrazione europea, se smette di fondarsi su una qualche forma di “comunità di destini”, perde efficacia e smarrisce qualsiasi senso. Il richiamo alla necessità di costruire un’Europa sanitaria va in questa direzione. La proposta di una Conferenza mondiale sulla sanità (da organizzarsi in Italia come cadeau offerto al presidente Conte) sottintende l’idea che l’Ue possa proporre un modello di governance globale per surrogare il fallimento dell’Oms.

Altrettanto politico è il messaggio di coesione lanciato alla “sua” maggioranza a Strasburgo. Popolari, socialisti e liberali chiamati a compattarsi per il voto al bilancio 2021-2027, decisivo per poter procedere con il meccanismo di emissione di obbligazioni europee e per riprendere quel discorso sul Green Deal, asse portante della Commissione von der Leyen al momento del suo insediamento e poi sacrificato sull’altare della pandemia. I green bond costituiranno l’unione virtuosa tra la battaglia sanitaria e quella sul green.

Terzo tema politico lo sforzo non differibile per mettere in soffitta il regolamento di Dublino e rispondere al grido di dolore dei Paesi dell’area mediterranea, lasciati per troppo tempo soli nella gestione del fenomeno migratorio e nella conseguente crescita dei populismi xenofobi e anti-europei. Prezzo economico e prezzo politico dell’insensato regolamento sono oramai giunti oltre il limite consentito.

E infine un richiamo politico quanto storicamente fondato. Il “club” europeo non accetta soci tiepidamente democratici. Democrazia liberale e integrazione europea costituiscono una coppia indissolubile. È stato valido all’epoca delle transizioni democratiche della penisola iberica, lo è oggi di fronte alle degenerazioni degli ex satelliti comunisti.

Politica sugli scudi almeno quanto la geopolitica e su questo punto von der Leyen riparte esattamente dal luglio 2019, quando aveva parlato di una “Commissione geopolitica”. Tra le righe del suo intervento è possibile individuare un richiamo al metodo e due alla sostanza.

Prima di tutto un’enfasi importante è posta sul concetto di “Europa first” (vedi sovranità europea di Macron). Von der Leyen ricorda però che la formula è destinata a restare tale, se non si scardina il principio dell’unanimità sulle questioni di politica estera. Il velo dell’ipocrisia va strappato.

Europa first oggi implica avere una politica “europea” nei confronti di Cina e Turchia.

Sul primo punto von der Leyen non doveva dire molto di più di quello che i vertici Ue avevano mostrato lunedì scorso al bilaterale Ue-Cina. Von der Leyen e Michel, insieme a Merkel presidente di turno, hanno annunciato a Pechino che è finito il tempo dell’allegro mercantilismo dei primi due decenni del XXI secolo. Non sarà l’Europa a pagare i costi del riequilibrio in atto tra Washington e Pechino. L’Ue è pronta a riempire di contenuti concreti la definizione di “Cina come rivale sistemico”.

Sul versante turco il sostegno, politico ma anche militare (per via francese), a Grecia e Cipro dovrebbero essere i primi e fondamentali passi per un attivismo europeo nel cruciale quadrante del Mediterraneo orientale. Anche in questo caso la scommessa è quella di non restare schiacciata dalla crisi strategica che sta vivendo la Nato di fronte alla politica neo-ottomana della Turchia di Erdogan.

L’importanza delle parole di von der Leyen è dunque politica e geopolitica. Ma lo è anche da un punto di vista sistemico. Tra le righe del volontarismo esibito dal presidente della Commissione si scorge il delinearsi di un ruolo di equilibratore che, se confermato, potrebbe davvero garantire un’epoca nuova per le istituzioni europee. Von der Leyen diventa la chiave di volta e contemporaneamente la cinghia di trasmissione tra la dimensione intergovernativa (con il ritorno prepotente della coppia franco-tedesca) e quella sovranazionale (con un ruolo accentuato del Parlamento europeo).

Il Covid-19 ha portato l’Ue sul baratro. Un colpo di reni tra maggio e luglio ha scongiurato la fragorosa caduta e ha offerto una nuova chance. Von der Leyen ora lancia un messaggio forte e chiaro: riempire di significato politico e geopolitico tale insperata ripartenza. Altrimenti sarà di nuovo baratro. 

Michele Marchi
marchi@per.it

Professore di Storia Contemporanea presso il Dipartimento di Beni Culturali dell'Università di Bologna. Si occupa di storia politica dell’Europa del XX secolo con particolare attenzione per quella francese e per il rapporto tra politica e religione in Francia ed in Italia. Per Rubbettino ha pubblicato "Alla ricerca del cattolicesimo politico. Politica e religione in Francia da Pétain a de Gaulle" (2012). Membro del comitato di redazione della "Rivista di Politica", della redazione della rivista "Ricerche di Storia Politica" e della rivista "Nuova Informazione Bibliografica".

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